Un’altra discussione alla Camera dei Deputati sul ddl anticorruzione si è conclusa, rinviando a martedì prossimo l’art. 5, quello sulla tutela dei dipendenti pubblici che denunciano illeciti. Nella seduta odierna sono stati votati tre importanti emendamenti, passi avanti dunque?!
Il primo riguarda la trasparenza e in particolare la pubblicità riguardo i dati concernenti gli appalti pubblici. Le stazioni appaltanti cita il testo “sono in ogni caso tenute a pubblicare nei propri siti istituzionali: la struttura proponente; l´oggetto del bando; l´elenco degli operatori invitati a presentare offerta; l´aggiudicatario; l´importo di aggiudicazione; i tempi di completamento dell´opera, servizio o fornitura; l´importo delle somme liquidate. Entro il 31 gennaio di ogni anno, tali informazioni, relative all´anno precedente, sono pubblicate in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto che consenta di analizzarne e rielaborarne, anche a fini statistici, il contenuto. Le amministrazioni trasmettono in formato digitale tali informazioni all´Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture che le pubblica sul proprio sito web in una sezione liberamente consultabile da tutti i cittadini, catalogate in base alla tipologia di stazione appaltante e per regione…”.
Un passo avanti dunque, ma non incisivo se la lotta alla corruzione è il tema in questione. Infatti, la pubblicazione e trasmissione dei dati con un anno di ritardo non farà guadagnare nulla in termini di corruzione dato che nulla potrà essere fatto per contrastarla in modo puntuale nel momento in cui se ne avvertano i rischi. È una misura che non ha il carattere della prevenzione. Inoltre, è una materia quella dei dati pubblici che seppur accolta ben volentieri in generale, dovrebbe ad oggi essere oggetto del dibattito sulla spending review, mantenendo l’accento sulla necessità di poter prevenire fenomeni di corruzione e/o sprechi nella spesa pubblica attraverso gli appalti.
Già dal primo emendamento votato si entra nella logica che ha guidato la seduta di stamani: il tentativo di far rientrare nelle misure anticorruzione una serie di provvedimenti che seppur complementari stanno distogliendo l’attenzione dalle questioni chiave, che in parte saranno successivamente discusse nella prossima riunione.
Anche l’art.4 riguardante invece incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi di dipendenti pubblici è stato approvato: “I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all´articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell´attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri”. Tuttavia il surriscaldamento dell’aula ha congelato l’emendamento (facente capo all’art.4) proposto dal Governo circa l’impossibilità di assumere cariche dirigenziali all’interno della PA per candidati o ex parlamentari se non dopo uno stop di tre anni.
La cronaca dell’aula si fa a questo punto più avvincente. In replica all’art.4 riguardo l’On. Lorenzin (Pdl) si è lanciata in una replica a sfavore dell’emendamento in quanto sarebbe ispirato a un pregiudizio nei confronti della classe dirigente, sia amministrativa sia politica, di assumere con onore e responsabilità l’incarico. Si chiede quindi perché candidati politici non eletti non possano grazie alle loro competenze rivestire cariche dirigenziali all’interno dell’apparato pubblico nei successivi tre anni e perché in generale bisogna astenersi per lo stesso arco di tempo da rami del settore privato che ha intrattenuto rapporti di qualsiasi genere con l’amministrazione pubblica di appartenenza.
Il dibattito aperto dall’On. Lorenzin e sostenuto anche dall’On. Cirielli ha risposto al quesito di entrambi per quanto riguarda la competenza nello svolgere funzioni per cui si è chiamati da parte dell’attuale classe dirigente. Nessun dubbio si è affacciato alle menti dei relatori circa la definizione di conflitto di interesse potenziale ed apparente. Allo stesso tempo ci si può render conto di essere al cospetto di un atto, seppure indiretto, di mera arroganza e autoreferenzialità culturale ed intellettuale. Non sia mai che tra i 60 milioni di italiani ci sia qualcuno che abbia le stesse competenze e abilità dei parlamentari presenti, passati o futuri!? Qualcuno che possa quindi assumersi la responsabilità di una carica dirigenziale senza dover necessariamente esser aggrovigliato a destra e a manca nella matassa delle reti politiche?
Infine, riguardo al tema del conflitto di interessi è stato approvato l’emendamento che prevede “il divieto per tutti i dipendenti pubblici di chiedere o accettare, a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità, in connessione con l´espletamento delle proprie funzioni o dei compiti affidati, fatti salvi i regali d´uso, purché di modico valore e nei limiti delle normali relazioni di cortesia”.
Seppur nell’apparente buona intenzione questa norma è monca e in alcun modo incisiva. Ricordo ancora un dibattito tenutosi durante una lezione con Dirigenti dei Ministeri riguardo il conflitto di interesse e la possibilità di dare o ricevere regali. Ricordo di aver sollevato la stessa questione di adesso: “Cos’è il modico valore”?. E’ un attributo relativo a seconda del livello del proprio reddito (o del flusso dei redditi che possiamo percepire in un quinquennio o decennio di attività). Quindi per un vigile urbano un bellissimo cesto natalizio, per un parlamentare un attico.
Le ore passano, ma ancora nessuna risposta concreta se non colonne di testo parte integrante del paniere su cui anche alla fine di quest’anno potremo misurare il tasso di inflazione normativo in Italia.
Marta Fana @martafana
Laureata in Economia Europea presso l´Università di Roma Tor Vergata. Ha conseguito il Master of science a Toulouse School of Economics e il Master of Art in Economics presso il Collegio Carlo Alberto di Torino