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Intelligence condivisa e sicurezza nazionale. I primi passi in Ue

Di Antonino Vaccaro

È ora di avviare un modello di intelligence collettiva in tutti i settori chiave dell’economia europea. Il dialogo tra Ue e associazioni dei consumatori è un primo, importante, passo. Bisogna adesso allargare gli orizzonti di questo dialogo a tutti gli stakeholder. Il caso della cosmetica nell’intervento di Antonino Vaccaro, professore ordinario e direttore del Center for Business in Society dello Iese Business School e presidente della Commissione per l’Internazionalizzazione della Società Italiana di Intelligence

Negli ultimi anni la letteratura scientifica manageriale si è concentrata sulle conseguenze della “complessità” crescente di prodotti, servizi e mercati sulla sicurezza e tutela di consumatori e cittadini. Basti pensare, per esempio, alle problematiche che emergono dall’utilizzo sempre più pervasivo dell’intelligenza artificiale (come i sistemi di guida autonoma) o alle continue scoperte nel settore medicale e della cosmetica.

Quando la tecnologia “corre troppo” e la regolazione non segue adeguatamente il cambiamento tecnologico, si rischiano “cortocircuiti” che possono ridurre la trasparenza e la confidenza dei mercati, generando situazioni di confusione per consumatori e cittadini.

In questo contesto, il miglioramento normativo, la trasparenza riguardo prodotti e servizi e in ultima analisi la tutela dei cittadini possono essere raggiunti attraverso la collaborazione di tutti gli attori di un determinato settore: non solo le imprese e gli organi di regolazione, ma anche gli organismi del terzo settore, come per esempio le associazioni dei consumatori, le università ed i centri di ricerca o altre organizzazioni che si occupano della tutela di diritti fondamentali.

Questo sforzo viene spesso definito “intelligence collettiva”, un termine che ha origini antichissime, utilizzato, spesso con qualche abuso, da tante discipline, tra cui la filosofia, le scienze organizzative e ovviamente gli studi sulla sicurezza. L’idea è molto semplice: la prospettiva informativa di ciascuna parte, qualora condivisa in maniera responsabile e ben coordinata, può essere utile al sistema nella sua interezza. Quando invece le prospettive rimangono sconnesse, ecco che interi comparti rischiano di soffrire piccoli o grandi corto circuiti.

Per esempio, l’Osservatorio sulla Responsabilità e Sostenibilità del Settore Cosmetico, una joint venture di ricerca composta dallo Iese, dalla Rotterdam School of Management, dall’Essec di Parigi e dalla Cattolica di Lisbona, da qualche anno analizza i trend e alcuni “cortocircuiti” di un settore, la cosmetica, che è di fondamentale importanza per l’economia dell’Unione europea e che si considera il leader mondiale per capacità di produzione e qualità. Basti ricordare che le imprese cosmetiche italiane quest’anno supereranno i 12 miliardi di euro di fatturato, oltrepassando i valori pre-crisi del 2019.

Nonostante la leadership europea, il comparto della cosmetica soffre ancor oggi tante difficoltà che rimandano alla difficoltà di creare un vero sistema condiviso e di implementare quindi un modello di intelligence collettiva. Per esempio, un recente studio scientifico pubblicato su una prestigiosa rivista scientifica internazionale ha mostrato come il calcolo dei fattori di protezione solari sia soggetto a livelli di variabilità in laboratorio estremamente alti. A parità di standard, la stessa crema solare può paradossalmente essere classificata con fattore protezione 10 o 60.

Non è difficile immaginare le dinamiche che emergono da tali situazioni. Basti pensare il recente caso di Biosolis in Belgio. Al ritiro forzoso di prodotti solari, sono seguite le scuse del regolatore belga, la riammissione nel mercato ma un grave danno per l’impresa e per i consumatori sempre più confusi. Ci sono poi i casi dei grandi giganti centro-europei che segnalano, talvolta erroneamente, i prodotti dei competitor più piccoli, proprio per questioni relative al calcolo dei fattori di protezione. Non mancano poi le ciliegine sulla torta, con casi di vero e proprio spionaggio industriale. Il risultato è sempre lo stesso: consumatori spaesati e danno economico diretto ed indiretto per tutto il comparto.

Si tratta evidentemente di dinamiche che creano un danno sociale ed economico, che rafforzano i competitor extra-europei e distruggono valore a livello comunitario. Sono tanti gli esperti che credono che sia ora di mandare avanti un modello di intelligence collettiva in tutti i settori chiave dell’economia europea.

L’iniziativa dell’Unione europea, che ha aperto un dialogo con le associazioni dei consumatori quali Euroconsumers, è certamente un primo, importante, passo avanti. Bisogna adesso allargare gli orizzonti di questo dialogo a tutti gli stakeholder del settore, in particolare per le aziende di piccole e medie dimensioni che in Italia rappresentano una importante categoria della nostra economia nazionale.

A buon intenditor, poche parole.


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