Al Cairo si sta giocando una partita centralissima per gli equilibri mediorientali. Non si può affermare se gli scontri violentissimi di questi giorni sfoceranno davvero in una guerra civile (termine abusato in politica interna ma anche estera). Di sicuro in Egitto sono schierati interessi economici, politici, militari e religiosi in forte contrapposizione fra loro.
Queste stesse forze erano già emerse, in forme diverse, in Siria. Damasco e Il Cairo possono essere considerate da questo punto di vista due facce della stessa terribile medaglia. C’è una filiera neoislamica che vede il Qatar capofila di un’ampia alleanza che vede insieme Turchia, Iran, Hezbollah, Fratelli musulmani, ribelli siriani e movimenti jihadisti vari (con un occhiolino ad Al Qaeda). Si tratta di un gruppo molto eterogeneo di Paesi che possono però contare sul sostegno in Consiglio di Sicurezza dell’Onu da parte della Russia.
Dall’altra parte, Arabia Saudita, Emirati, Kuwait, Giordania, Assad ed esercito egiziano: i vecchi regimi che nel tempo hanno saputo costruire e consolidare un equilibrio con gli Stati Uniti e, soprattutto, con Israele. Ed è proprio Israele il convitato di pietra di questo conflitto. La sicurezza del Sinai e più in generale dei confini di Israele la vera posta in palio. È qui che probabilmente Obama ha fatto male i suoi calcoli quando ha aperto le porte del sostegno americano ai new comers islamici che hanno rovesciato i regimi di Egitto, Tunisia, Libia e ancora solo in parte della Siria. Le tensioni con Tel Aviv dopo questi regime change che gli occidentali hanno voluto romanticamente definire “primavere arabe” sono aumentate, e non poco. Proprio le assicurazioni su una esclusione dei Fratelli musulmani dal governo egiziano sono state fra le condizioni necessarie ala riapertura dei negoziati di pace fra Israele e Palestina. Kerry ci aveva meso la faccia e si capisce perché si sia rifiutato di definire ‘colpo di Stato’ quello del generale Al Sisi.
Il ruolo economico e geopolitico degli Usa nell’area è ormai residuale, dal Nord Africa al Golfo. Crisi finanziaria e rivoluzione dello Shale Oil & Gas hanno prodotto un cambio sostanziale nelle relazioni internazionali degli Stati Uniti. Continua però ad essere dirimente il rapporto con lo storico alleato israeliano ed anche la capacità di contrastare la crescita di influenza di Cina e Russia che hanno ormai dimostrato chiaramente con il caso Snowden di voler (e poter) sfidare la potenza americana. Ad Obama forse le sorti di Tel Aviv non stanno troppo a cuore e le scelte contraddittorie (quando non sbagliate) su Egitto e Siria, per esempio, possono essere spiegate anche così. Speriamo di no. Sarebbe un guaio enorme per tutti, Europa compresa. Ad esclusione della Germania che ha da tempo scommesso sulla relazione doppia, con gli Usa ma anche con Turchia e Qatar. Del resto, i tedeschi non hanno mai avuto troppo in simpatia Israele…