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Tre o quattro cose da sapere prima di chiudere la porta al Mes

Ratificare il nuovo accordo intergovernativo non vuole dire fare una richiesta di finanziamento al Mes. Non ratificarlo, e quindi impedire ad altri Stati dell’eurozona, di adire ai prestiti Mes (in caso di esigenza) significa uno stigma di Paese poco collaborativo con il resto dei 19 dell’unione monetaria, con i rischi che ciò comporta

Condotta in porto la legge di bilancio, non senza un po’ di confusione (in gran misura a ragione dei tempi ristretti tra le elezioni e le scadenze del semestre europeo), ora governo e Parlamento dovranno affrontare il nodo del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) dato che l’Italia è l’unico Stato dell’eurozona che non ratificato l’accordo intergovernativo che lo aggiorna e, quindi, nessuno degli Stati dell’eurozona può utilizzarlo, ove volesse. Ratificare il nuovo accordo intergovernativo non vuole dire fare una richiesta di finanziamento al Mes. Non ratificarlo, e quindi impedire ad altri Stati dell’eurozona, di adire ai prestiti Mes (in caso di esigenza) significa uno stigma di Paese poco collaborativo con il resto dei 19 dell’unione monetaria, con i rischi che ciò comporta.

Cerchiamo di capire cosa è questo Mes, prendendo come traccia la sentenza della Corte Costituzionale tedesca che ha tolto ogni dubbio in merito alla ratifica dell’accordo da parte del Bundestag. Premetto che il Mes resterà uno strumento di limitata efficacia nel prevenire le crisi di finanza pubblica di maggiore dimensione, dato che le sue linee precauzionali di credito non sono tarate sui Paesi che hanno condizioni di bilancio e macroeconomiche più fragili; tali condizioni tuttavia, potrebbero cambiare nel tempo, anche in vista della ridefinizione delle regole di governance già avanzata dalla Commissione europea e prevista entrare in pieno del confronto istituzionale nel corso del 2023.

Il Mes potrà comunque svolgere un compito decisivo nel rifinanziamento o ricapitalizzazione delle banche a rischio di insolvenza e di assicurazione di ultima istanza per i sistemi finanziari; questa seconda caratteristica è particolarmente rilevante per evitare l’avvitamento del circolo vizioso tra crisi di debito sovrano e crisi bancarie ed è, da un canto, essenziale per il completamento dell’unione bancaria e come premessa per l’unione europea dei capitali. Questi aspetti non devono essere sottovalutati data la situazione in cui versano alcuni istituti di credito italiani. La Corte costituzionale tedesca ha escluso, in conclusione del dispositivo della sentenza, che la Banca centrale europea (Bce) possa fungere da finanziatore diretto del Fondo di Risoluzione Bancario (Frb).

Le modifiche dell’accordo intergovernativo sul Mes non sono, secondo la Corte tedesca, di entità tale da cambiare nessuno dei caratteri rilevanti del trattato originario e, quindi, non giustificherebbero un’opposizione di principio alla ratifica. Nella revisione, i requisiti per l’accesso alle linee di finanziamento precauzionale sono definite con più nettezza e in alcuni casi in senso restrittivo e questo aspetto dovrà essere riconsiderato “dall’interno”, ossia aggiustando il regolamento relativo alle regole amministrative degli interventi.

La linea precauzionale è stata applicata nel caso della crisi pandemica senza condizionalità. Ciò dimostra che il Mes rappresenta un veicolo potenziale nel complesso processo che dovrà portare allo sviluppo di una capacità di finanza pubblica comune nell’eurozona della quale beneficerebbero i Paesi che hanno debiti più alti e minori margini di manovra fiscali. Ciò richiede che il Mes e i suoi stretti interlocutori – Commissione europea e Bce – siano messi in grado di distinguere l’origine degli squilibri potenziali e di agire di conseguenza; ciò può essere fatto in sede di ridiscussione delle regolamento e della governance, tutti aspetti amministrativi che possono essere messi a punto dopo la ratifica e l’entrata in vigore del Mes revisionato.

Sino ad ora, quattro Paesi dell’euro hanno utilizzato il Mes, o il suo predecessore, chiamato giornalisticamente il Fondo Salva Stati: a) la Grecia – nell’ambito dei suoi programmi di aggiustamento macroeconomico (2010-2013, 2012-2014, 2015-2018); b) l’ Irlanda – nell’ambito di un programma di aggiustamento macroeconomico (2010-2013); c) la Spagna per la ricapitalizzazione del proprio settore bancario (2012-2014); d) il Portogallo nell’ambito di un programma di aggiustamento macroeconomico (2011-2014).

Irlanda, Spagna e Portogallo sono state molto soddisfatte dello strumento, e dell’assistenza tecnica che esso ha comportato. Il caso della Grecia è molto particolare. Da un lato, Atene aveva inviato a Bruxelles, sin dal momento della richiesta per entrare dell’eurozona dati che, a giudizio non solo della Commissione europea ma anche del Fondo monetario internazionale (Fmi), si sono rivelati artefatti, per utilizzare un termine eufemistico. Da un altro, per poter restare non solo nell’eurozona ma anche nella stessa Ue, ha dovuto effettuare riforme drastiche al fine di a) ripristinare la sostenibilità di bilancio; b) salvaguardare la stabilità finanziaria; c) attuare programmi che generino crescita e posti di lavoro; d) modernizzare il settore pubblico. Il riassetto strutturale ha, senza dubbio, colpito numerosi settori tutelati per decenni. È ancora in corso; la crescita è ripresa.

A mio avviso, il nuovo accordo Mes va ratificato. E il governo farebbe bene a considerare seriamente il ricorso al Mes “sanitario” perché per undici anni il settore è stato sotto-finanziato e sia le dinamiche demografiche sia le epidemie vecchie e nuove richiedono con urgenza un maggior impegno per il bene pubblico forse più importante.

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