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Oltre la malattia, le ragioni del silenzio di Ratzinger

In quell’ammutolimento di cui i mass media ci hanno spesso resi spettatori, trasmettendoci scene inedite dal monastero Mater Ecclesiae di un Papa emerito silenzioso, forse non si nasconde soltanto la fragilità di una vita volta ormai al suo naturale decadimento, ma un silenzio-dialogante. Scrive Simone Billeci, socio straordinario della Società Italiana per la Ricerca Teologica, testimone e “ascoltatore” del silenzio del papa emerito

Vorrei chiedere a tutti voi una preghiera speciale, per il Papa emerito Benedetto, che nel silenzio sta sostenendo la Chiesa. Ricordarlo – è molto ammalato – chiedendo al Signore che lo consoli, e lo sostenga in questa testimonianza di amore alla Chiesa, fino alla fine”.

            Sono queste le parole proferite da Papa Francesco al termine dell’ultima Udienza generale del mercoledì presso l’Aula Paolo VI in Vaticano.

Poche parole – quelle di Francesco -, ma che non lasciano spazio a fraintendimenti: la salute di Joseph Ratzinger sembra essersi compromessa. Salute di cui il Papa emerito sembrava che godesse nella sua ultima apparizione pubblica, in occasione della visita da parte dei vincitori del Premio Ratzinger al monastero Mater Ecclesiae lo scorso primo dicembre, nonostante i suoi 95 anni di età.

Come spesso accade in simili circostanze, cuore e mente non esitano a soffermarsi su quei momenti essenziali di una vita che volge “alla fine”. E tra i momenti che, forse, hanno contribuito a contraddistinguere più di ogni altro la vita del Papa teologo, che ne hanno cioè caratterizzato e delineato quel suo precipuo tratto personale, non può esser taciuta una vita vissuta “nel silenzio”.

Affermazione paradossale, se si pensa alla mole di lavoro prodotta e agli interventi pubblici   che il teologo bavarese ha dovuto presenziare.

Si tratta di un silenzio ispirato al silenzio di Gesù, così importante nel rapporto con Dio Padre suo, il quale nei Vangeli – soprattutto nelle scelte decisive – viene spesso presentato ritirato tutto solo in un luogo appartato dalle folle e dagli stessi discepoli per pregare nel silenzio e vivere il suo rapporto filiale.

“Reimparare il silenzio” – affermava nell’Udienza generale del 7 marzo 2012 – per “scavare uno spazio interiore nel profondo di noi stessi, per farvi abitare Dio, perché la sua Parola rimanga in noi, perché lamore per Lui si radichi nella nostra mente e nel nostro cuore, e animi la nostra vita”.

Silenzio che, soprattutto sul Golgota, assumerà un ruolo fondamentale. Nell’Esortazione apostolica post-sinodale Verbum Domini Papa Ratzinger scriveva a riguardo: “Qui siamo posti di fronte alla Parola-della-croce. Il Verbo ammutolisce, diviene silenzio mortale, poiché si è detto fino a tacere, non trattenendo nulla di ciò che ci doveva comunicare”. E aggiungeva: “La croce di Cristo non mostra solo il silenzio di Gesù come sua ultima parola al Padre, ma rivela anche che Dio parla per mezzo del silenzio”.

In quell’ammutolimento di cui i mass media ci hanno spesso resi spettatori, trasmettendoci scene inedite dal monastero Mater Ecclesiae di un Papa emerito silenzioso – di cui anch’io sono stato spettatore-silenzioso, o per meglio dire ascoltatore -, forse non si nasconde soltanto la fragilità di una vita volta ormai al suo naturale decadimento, ma un silenzio-dialogante. Quando il Verbo di Dio cresce nella vita dell’uomo – scriveva Agostino d’Ippona – le parole dell’uomo vengono meno: Verbo crescente, verba deficiunt”.

In un’epoca in cui non si favorisce il raccoglimento, in cui si ha l’impressione che ci sia paura a staccarsi anche per un istante dal fiume di parole e immagini che segnano e riempiono le giornate, il silenzio di Ratzinger risuona come un monito per farci riflettere.

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