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Per le Ong ci vuole un codice di condotta. Il commento di Pennisi

Per un’Italia priva di tradizioni coloniali di rilievo e per oltre un secolo Paese di emigrazione non di immigrazione, il problema è ancora abbastanza nuovo e si tende a trattarlo in modo emotivo più che con analisi. Urge riportare il dibattito sul piano delle analisi e della legalità facendolo uscire da pulsioni effettivamente di parte

I lettori di Formiche.net sanno che di solito non scrivo di temi attinenti a mie carriere pubbliche in passato. Per questo motivo, ho trattato del problema immigrazione sporadicamente, principalmente in un articolo del 2018. Ritengo, però, utile fare chiarezza sul alcuni punti a proposito del decreto legge sul codice di condotta per le Organizzazione non governative (ONG), enti umanitari di diritto privato che vengono finanziati da vari Paesi a titolo delle loro attività di cooperazione allo sviluppo. Il tema sta riscaldando la politica in questi giorni e penso necessario portare alcuni punti all’attenzione.

Mi sono interessato delle migrazione per quasi cinquanta anni. Negli anni Settanta, il mio lavoro mi portava almeno una volta ogni due mesi a Nairobi, presso la cui Università, un gruppo composto, tra gli altri, da Stiglitz, Jolly, Harris e Todaro studiava questo tema: venni cooptato. Il modello Harris-Todaro, frutto di quel lavoro, è ancora oggi considerato il miglior strumento esplicato e previsivo del fenomeno, e la migliore guida per indicazioni di politiche. Alla fine degli anni Settanta, presi un anno sabbatico dalla Banca Mondiale per approfondire il tema sulla base della partecipazione ad una ricerca empirica sulla cooperazione tra Paesi a basso e basso reddito del bacino del Mar Rosso guidata dall’Istituto Affari Internazionale e dal Deutsche Orient Institut e finanziata da vari enti internazionali, tra cui la Fondazione Ford. Produssi un manoscritto, l’argomento all’epoca sembrava così insolito che non venne accettato da nessun editore italiano, neanche da Il Mulino (dove allora pubblicavo) e il saggio finì per uscire in lingua inglese da un editore di Amburgo. Alla fine del secolo scorso Ottanta, ho fatto parte di un comitato internazionale creato dal presidente dei francesi Mitterand e guidato dal prof. Hutzinger; anche in questo caso, poco interesse in Italia, anche se al gruppo di lavoro partecipavano alcuni valenti diplomatici. Ho continuato a seguire questi temi quando ero direttore dell’ufficio per l’Italia dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro ed organizzando seminari anche internazionali alla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione (ora Scuola Nazionale di Amministrazione).

Per un’Italia priva di tradizioni coloniali di rilievo e per oltre un secolo Paese di emigrazione non di immigrazione, il problema è ancora abbastanza nuovo e si tende a trattarlo in modo emotivo più che con analisi.

Il modello Harris-Todaro illustra chiaramente che pressioni migratorie, soprattutto dall’Africa, saranno sempre più forti a ragione dell’inverno demografico in Italia e dalla forte dinamica demografica, invece, nel continente africano. Si può scegliere, se si vuole, di perdere le nostre caratteristiche socio-culturali nazionali oppure di essere selettivi nella scelta dei flussi migratori, accogliendo i migranti che si possono integrare ed inserire nella nostra forza lavoro. Si tratta di una scelta che spetta alla politica, ed agli elettori. All’inizio del 2018, è uscito, in Germania, uno studio di due economisti dell’Università della Calabria (Maria De Paola e Vincenzo Scoppa) e due economisti della Università di Lancaster (Emanuele Bracco e Colin Green) – IZA Discussion Paper No.10604 – in cui si analizza con grande cura come, nel periodo 2002-2014, la crescente presenza di immigrati abbia inciso sulle elezioni comunali del Nord d’Italia e, quindi, sulle tendenze politiche nazionali. Ciò sottolinea le forte connotazione politica da affidare agli eletti responsabili di fronte ai loro elettori e non a Ong che quasi sempre battono bandiera di un altro Stato. In Italia, ci sono oggi 5-6 milioni d’immigrati. Nel 2022, ne sono arrivati 104.000; il doppio di quelli arrivati nel 2021 ed il quadro di quelli arrivati nel 2020.

Non credo si debbano commentare, sino a quando non c’è una prova, le illazioni secondo cui le Ong sarebbero in contatto con i trafficanti di essere umani e andrebbero a raccogliere migranti non appena escono le acque territoriali del Nord Africa e del Medio Oriente. È, però, lecito il sospetto che dato che battono bandiera dei Paesi (europei) che le finanziano, abbiano il mandato di portare i migranti il più lontano possibile dalle loro coste e di condurli, invece, a quelle italiane.

Il Trattato di Dublino del 2003 (quando il problema non era ancora diventato prioritario) prevede che i richiedenti asilo facciano domanda nel primo Paese europeo in cui arrivano. La Commissione europea, nel settembre 2015, ha per la prima volta adottato una decisione volta ad alleggerire il carico sui Paesi di arrivo. L’Italia è inondata da “migranti irregolari”; rimando al sito della Fondazione Open Polis (non certo contigua alla destra di governo) che ha pubblicato periodicamente dati ed analisi sul problema, tra cui un prezioso glossario sulle varie definizioni, spesso confuse nelle descrizioni giornalistiche. L’Italia è il solo Paese che prevede una categoria di “clandestini”, in base ad una normativa, in vigore, che definisce la “clandestinità” un reato. Si applica a chi non ha fatto richiesta di asilo o chi si è visto negare tale richiesta ed è rimasto nel nostro Paese.

In questa situazione, è necessario ed urgente un codice di condotta per le Ong, se non si vuole o non si può modificare la legge vigente o applicarla rigorosamente, mettendo alla porta tutti gli “immigrati clandestini”, utilizzando, se del caso, le risorse dell’aeronautica per ricondurli ai luoghi di origine, anche chiedendo ai Paesi di provenienza di estradarli e fare scontare loro la pena là da dove provengono. I Paesi che non vogliono sottoscrivere accordi di tal genere perderebbero i finanziamenti dell’Italia a titolo di cooperazione allo sviluppo ed avrebbero il voto contrario dell’Italia ad investimenti da parte di organizzazioni internazionali, anche a quelli del Fondo europeo di sviluppo.

Il codice previsto è molto blando rispetto a quelli in vigore in altri Paesi. Ad esempio, dalla nave Ocean Viking, recentemente dirottata nel sud Francia, sono stati accolti unicamente metà dei migranti; gli altri ri-inviati nei Paesi d’origine o in Libia.

L’aspetto principale della normativa è la depenalizzazione di numerose azioni oggi considerate reati al fine di assicurare decisioni spedite da affidare ai prefetti. Affermare che i prefetti “dipendono” dal ministro dell’Interno e, quindi, potrebbero fare scelte di parte, è un insulto ad una delle carriere “speciali” dello Stato che ha sempre applicato le normative mettendosi spesso in contrasto con il responsabile politico pro-tempore. La Ong che si considera discriminata può sempre, se ritiene, fare ricorso alla magistratura amministrativa ed attendere l’esito.

Urge riportare il dibattito sul piano delle analisi e della legalità. Facendolo uscire da pulsioni effettivamente di parte.


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