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La corruzione vista dall’Europa

Qualche giorno fa, il Pew Research Center di Washington ha divulgato i risultati di un’indagine d’opinione organizzata su scala europea, al fine di sondare gli umori dei paesi membri dell’Unione. Il titolo è piuttosto eloquente, “European Unity on the Rocks”: il sondaggio, rivolto a un campione di cittadini di otto paesi europei tra cui l’Italia, rivela un diffuso scoramento e forte preoccupazione da parte dei cittadini europei.
 
Tra le domande è chiesto di indicare il paese dove la corruzione sarebbe più diffusa: in ben cinque casi (tra cui l’Italia), la percezione è che sia il proprio stato ad essere il più corrotto. E’ del resto ragionevole pensare che l’esperienza diretta, assieme alla maggiore esposizione ai media nazionali, abbia la meglio rispetto a conoscenze magari generiche o aneddotiche dell’estero. Più interessante è dunque osservare come la pensano i fortunati cittadini di quei paesi (Francia, Germania, Gran Bretagna) che ritengono invece di non essere i peggiori della classe. Tutti e tre in coro vedono nell’Italia il paese con il più alto tasso di corruzione: l’Italia è del resto la seconda “scelta” anche per gli altri quattro paesi dell’indagine.
 
Nel riportare la notizia, l’Economist evidenzia come nella classifica di Transparency International, in realtà, sia la Grecia il fanalino di coda dell’Europa; dato che viene confermato anche da formulazioni alternative, come l’Excessed Perceived Corruption Index, elaborato per il 2011 nell’ambito del Progetto Integrità e che sostanzialmente “corregge” per l’Human Development Index, visto che in media i paesi più ricchi e sviluppati tendono ad avere livelli di corruzione più bassi, classificando per l’appunto la Grecia al “primo” posto (questa volta su scala globale) mentre l’Italia si deve “accontentare” della seconda piazza.
 
Al di là di questa poco entusiasmante competizione con l’Ellade, non c’è molto da star tranquilli. Un livello di corruzione percepita così elevato non può che influire sulla capacità del nostro paese di attrarre investimenti esteri (tema questo al centro di riforme come quella del mercato del lavoro). Non guasta ripetere che in casi simili la percezione è più importante del dato reale, perché, ad esempio, un imprenditore tedesco soltanto raramente potrà farsi un’idea personale in merito, mentre l’Europeo medio tenderà a rivolgersi altrove, senza timore che i suoi “luoghi comuni” possano essere smentiti.
 
Del resto, se un anno fa ci si poteva interrogare sulle possibilità che una cordata di americani ottenesse “anything done” in un ambiente come quello del calcio nostrano, oggi dovremmo chiederci se – aldilà dei risultati sportivi – se la sentirebbero gli yankee di rifare una scelta simile, alla luce dei nuovi, ennesimi scandali del calcioscommesse.
Di fronte a questo, ritirare la nazionale dagli europei o interrompere il campionato per due anni suonerebbero forse come una resa, ma di certo si pone con urgenza il problema – non solo pallonaro – di ritrovare la credibilità e l’integrità perdute.
 
 
Giacomo Gabbuti
Studente del Master of Science in Economics all´Università di Roma Tor Vergata, dopo la triennale in Economia Europea nella stessa università ed un Erasmus ad Istanbul. Ha collaborato con il progetto “Cultura dell´Integrità nella Pubblica Amministrazione” della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione

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