Nelle ore dell’annuncio dell’invio di carri armati all’Ucraina da parte di Francia, Usa e Germania c’è stato un contatto Roma-Washington. Si è parlato dei sistemi di difesa aerea chiesti da Zelensky ma soprattutto dell’importanza dell’obiettivo Nato del 2% in spese militari. Il professor Coticchia (Unige) spiega cosa può fare il governo Meloni
Quella di giovedì è stata una giornata storica per l’invio di nuovi aiuti militari dell’Ucraina. In un colloquio telefonico, il presidente Joe Biden e il cancelliere tedesco Olaf Scholz hanno concordato l’invio di carri armati Bradley e Marder alle autorità di Kiev. Nelle ore precedenti la Francia aveva annunciato l’invio di AMX-10RC. Come spiegato su Formiche.net, si tratta di un salto di qualità importante e forse decisivo sul campo di battaglia. Inoltre, l’invio di carri armati leggeri potrebbe essere un primo passo verso un ulteriore innalzamento del livello degli aiuti occidentali all’Ucraina, il cui primo obiettivo sono i carri armati da combattimento chiesti dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Il Regno Unito sembra deciso a fare un passo nella stessa direzione. Alla domanda se Londra avrebbe seguito le mosse di Parigi e Berlino, il ministro degli Esteri britannico James Cleverly ha lasciato la porta aperta. “Continueremo a parlare con gli ucraini di ciò di cui hanno bisogno per la prossima fase della loro autodifesa. I carri armati potrebbero farne parte”, ha spiegato.
TAPPA A RAMSTEIN
La prossima occasione di confronto sugli aiuti militari all’Ucraina è in agenda il 20 gennaio, quando si riunirà nuovamente nella base aerea americana di Ramstein, in Germania, l’Ukraine Defense Contact Group, il Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina, promosso dal segretario alla Difesa americano, per favorire un confronto periodico e un raccordo tra i Paesi (oltre 40) aderiscono alle iniziative di supporto alle Forze armate ucraine.
LA TELEFONATA ROMA-WASHINGTON
È in questo contesto di slancio per quanto riguarda gli investimenti per la difesa e gli aiuti all’Ucraina che è giunta la telefonata tra l’ambasciatore Francesco Talò, consigliere diplomatico del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, e Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente statunitense Biden. I due hanno ribadito la condanna dell’aggressione russa contro l’Ucraina, “compresi gli attacchi contro le infrastrutture critiche del Paese”, ha reso noto la Casa Bianca. Hanno ribadito anche “il loro impegno a fornire assistenza all’Ucraina, compreso il sostegno alla sua capacità di ripresa energetica e all’equipaggiamento militare necessario per difendere la sovranità e la democrazia del Paese”, si legge ancora.
IL FILO PALAZZO CHIGI-CASA BIANCA
È stata anche l’occasione per la parte italiana di sottolineare l’importanza dei colloqui frequenti in materia di politica estera e di sicurezza tra Palazzo Chigi e la Casa Bianca; per quella americana di ribadire l’apprezzamento per il lavoro del governo Meloni sull’Ucraina, in piena continuità con quello Draghi, ma anche per evidenziare l’importanza di ragionare prospetticamente sugli investimenti per la difesa. I due si erano incontrati a metà novembre a margine del G20 di Bali, in Indonesia.
DIFESA AEREA PER KIEV
Spiega Repubblica citando fonti diplomatiche a Washington che “gli Stati Uniti premono su Roma affinché fornisca al più presto lo scudo anti missile all’Ucraina, necessario per difendere Kiev”. Quindi innanzitutto, confermano fonti militari al giornale, il sistema Samp-T, che ha limitate capacità contro i missili balistici ma rappresenta un potente sistema contro aerei, droni e missili cruise, dunque in grado di fare da scudo anche a una grande città come la capitale. “Una promessa avanzata informalmente a livello politico, nelle scorse settimane. Ma non ancora concretizzata dall’esecutivo, che a oggi non ha licenziato il sesto decreto per l’invio di materiale bellico agli ucraini. La telefonata è innanzitutto un segnale”, aggiunge il quotidiano.
LE IMPLICAZIONI A LUNGO TERMINE PER L’ITALIA
Ma, come detto, il discorso è più ampio. La svolta tedesca sembra suggerire all’Italia un cambio di passo per quanto riguarda il bilancio della difesa verso l’obiettivo Nato del 2% del prodotto interno lordo in spese militari. Ma per farlo servirà una volontà politica forte. Un test per il governo Meloni e la sua maggioranza, visto che all’opposizione trova un Movimento 5 Stelle già sulle barricate e un Partito democratico ancora a caccia di una linea e con il congresso che incombe.
IL COMMENTO DI COTICCHIA (UNIGE)
“Ci sono due aspetti chiave da considerare”, spiega Fabrizio Coticchia, professore associato di scienza politica all’Università di Genova, a Formiche.net. “Il ruolo da traino degli alleati, in particolare degli Stati Uniti, e l’impegno sugli investimenti. Il problema per Paesi come Italia e Germania riguarda l’eredità del passato. È lecito aspettarsi che questo governo segua almeno quanto fatto dal governo precedente presieduto da Mario Draghi e anche quello giallorosso di Giuseppe Conte con il ministro della Difesa Lorenzo Guerini. La novità per il governo attuale riguarda la necessità di ammodernare le forze armate, che però richiede sia altri investimenti sia un diverso equilibrio tra le varie voci del bilancio tra il personale, oggi prossimo al 60%, l’esercizio e gli investimenti”.