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Brasile, che fine farà Bolsonaro (negli Usa)?

Mentre continuano gli arresti e Lula da Silva annuncia una linea dura contro i “terroristi”, l’ex presidente brasiliano si trova ricoverato in Florida, da dove potrebbe essere espulso

Mentre il presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, ha deciso di attaccare chi ha assaltato i palazzi delle principali istituzioni democratiche, l’ex presidente Jair Bolsonaro si trova ricoverato in Florida e da lì condanna gli episodi di violenza commessi dai suoi sostenitori. Il leader della destra brasiliana si trova a più di 6000 chilometri dal suo Paese ma la sua presenza è continua.

Circa due mesi fa, i sostenitori di Bolsonaro erano accampati a Brasilia e altre città del Paese chiedendo l’arresto di Lula da Silva per una presunta truffa elettorale. La Corte suprema federale ordinò lo sfratto e la chiusura di molti account social delle persone che manifestavano.

Fino ad ora circa 1500 persone sono state arrestate con l’accusa di essere coinvolte nei disturbi.  Dall’Ospedale di Brasilia informano che almeno 46 persone ferite si trovano in gravi condizioni.

Il presidente della Corte suprema federale ha deciso di rimuovere dall’incarico il governatore del distretto federale di Brasilia, Ibaneis Rocha. Lula da Silva lo ha accusato pubblicamente di non aver preso le misure necessarie per impedire l’attacco.

Secondo Jack Nicas, corrispondente del quotidiano americano The New York Times in Brasile, indipendentemente delle falle nella sicurezza, l’episodio di domenica ha lasciato allo scoperto la principale sfide della democrazia del Brasile: “A differenza di altri tentativi per diroccare governi nella storia dell’America latina, gli attacchi di domenica non sono stati ordinati da un solo governante autoritario o un esercito deciso a prendere il potere, ma sono stati spinti da una minaccia più insidiosa e radicata: una bugia massiva”.

I sostenitori di Bolsonaro hanno ripetuto sui canali Telegram e gruppi di Telegram per mesi diverse teorie cospirative sulla poca trasparenza e manipolazione del sistema di votazione elettronico. Sul tetto del palazzo del Congresso brasiliano, infatti, uno dei manifestanti aveva un cartellone con la scritta: “Vogliamo il codice fonte”.

Questa matrice di pensiero era stata alimentata da Bolsonaro. Come ha riportato l’emittente britannica Bbc, non c’è informazione precisa sullo stato attuale dell’ex presidente brasiliano negli Stati Uniti. Quando era ancora presidente è uscito dal Paese, per cui è probabile che si trovi in territorio americano con un visto A1. Un’altra opzione è che stia usando un visto da turista, che gli permette stare massimo sei mesi.

Tuttavia, indipendentemente dal visto, qualsiasi modalità potrebbe essere cancellata dal governo degli Usa in qualsiasi momento. Senza parlare del caso specifico di Bolsonaro, “il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Ned Price, ha detto ai giornalisti che le persone che sono entrate nel Paese con un visto A1, e non sono più in missione ufficiale nel loro Paese, sono costrette ad uscire dagli Stati Uniti in un periodo di 30 giorni o devono richiede un nuovo tipo di visto”. Se la persona non ha motivi per stare negli Stati Uniti, “è soggetto ad essere espulso dal Dipartimento di Sicurezza Nazionale”, si legge sulla Bbc.

Intanto, leader internazionali hanno condannato le violenze in Brasile. I presidenti del Canada, Stati Uniti e Messico, riuniti per il summit a Città del Messico, si sono pronunciati contro gli attacchi contro la democrazia del Brasile e a favore della transizione pacifica del potere. Papa Francesco ha detto che “pensa alle numerose crisi politiche in diversi Paesi del continente americano, con la loro carica di tensioni e forme di violenza che intensificano i conflitti sociali”.

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