La nomina del nuovo responsabile delle operazioni russe in Ucraina è sintomo dell’importanza che Mosca assegna a questo conflitto, della volontà di protrarlo a lungo, del riconoscimento degli errori di coordinamento interni. Le colpe di Surovikin non c’entrano e il Cremlino mostra di preferire la vecchia guardia ai paramilitari della Wagner
Il capo di Stato Maggiore generale russo, Valerij Vasil’evič Gerasimov, è stato nominato comandante in capo delle operazioni in Ucraina, sostituendo il collega Sergej Surovikin. Cosa significa? Dal punto di vista delle gerarchie militari e della strategia non significa nulla, ma è un’importante mossa politica che manda una serie di messaggi da parte del Cremlino, come ricorda l’analista inglese Mark Galeotti.
I messaggi di Mosca
In primo luogo Mosca conferma (nel caso ce ne fosse bisogno) l’importanza che conferisce a questa guerra, nominandone responsabile la più alta carica militare russa (che in quanto vertice delle forze armate ne era già, indirettamente, responsabile). Inoltre la nomina ammette implicitamente il riconoscimento da parte dell’élite governativa dei problemi di coordinamento interno alle forze armate.
In secondo luogo, se Surovikin può vedere la propria rimozione come un declassamento, Gerasimov non dovrebbe gioire di una promozione che lega il suo destino, probabilmente la sua stessa vita, all’andamento della guerra. Ci si può dunque aspettare un’escalation alla ricerca di qualche vittoria.
Le “colpe” di Surovikin
La rimozione di Surovikin è dovuta a colpe del comandante? Solo in parte. Il “macellaio di Aleppo”, come è conosciuto, è stato (solo per tre mesi) il volto della fase più brutale dell’invasione russa, con i bombardamenti indiscriminati delle infrastrutture civili per tentare di far morire di freddo gli ucraini.
La sua strategia di accoppiare i bombardamenti alla crisi dei rifugiati e quella energetica per mettere sotto pressione gli alleati europei non ha portato i frutti sperati, come ricorda Nona Mikhelidze (Iai). In parte perché gli alleati si sono mostrati più compatti del previsto e hanno aumentato sia la qualità sia la quantità delle armi a Kiev, e in parte per le vittorie della controffensiva che hanno galvanizzato gli ucraini.
A complicare il quadro per Surovikin è arrivata prima la perdita di Kherson, l’unico capoluogo di regione conquistato dai russi dal febbraio 2022. Poi la mancata conquista di Bakhmut. La cittadina è uno dei punti nevralgici per controllare la regione del Donetsk e Mosca ha investito ingenti risorse nel tentativo di conquistarla. Ad oggi la città è ormai in macerie dopo mesi di scontri.
Gerasimov e la guerra ibrida
Tornando a Gerasimov, la sua nomina è importante anche perché riaccende i riflettori sui dissapori interni alle élite militari della Federazione. In particolare le frizioni tra le forze armate regolari e la compagnia mercenaria Wagner, di proprietà di Evgenij Prigozhin. Putin segnala in questo modo la volontà di puntare sulla vecchia guardia.
Gerasimov è identificato da molti come l’ideatore di una dottrina militare. Nonostante l’espressione “dottrina Gerasimov” sia stata più volte bollata come una semplificazione da parte dello studioso che l’ha coniata, è pur sempre vero che il generale ha molto riflettuto durante la sua carriera sulle tecniche di guerra ibrida.
Qui si riporta un estratto di un articolo che lui stesso ha scritto nel 2013, che suona particolarmente profetico visto con gli occhi di oggi. Gerasimov sta analizzando le caratteristiche dei conflitti degli anni Duemila, in particolare quelle che in Occidente sono conosciute come Primavere Arabe.
“In termini di entità di vittime e distruzione, le catastrofiche conseguenze sociali, economiche e politiche, questi conflitti di nuovo tipo sono paragonabili alle conseguenze di una vera guerra. Le stesse regole di guerra sono cambiate. Il ruolo dei mezzi non militari per raggiungere obiettivi politici e strategici è aumentato e, in molti casi, ha superato la potenza delle armi nella loro efficacia. Il focus dei metodi applicati in un conflitto si è evoluto nella direzione di un ampio uso di strumenti politici, economici, informativi, umanitari e altre misure non militari, applicate in coordinamento con la protesta potenziale della popolazione”.
Fa una certa impressione leggere queste parole pensando che oggi Valerij Gerasimov è il comandante in capo delle operazioni russe in Ucraina. Un teatro che di guerra ibrida ne ha vista parecchia e in cui ancora oggi la guerra informativa è un tassello fondamentale dell’insieme.