Mentre viene dato l’annuncio della prossima scarcerazione di Hosni Mubarak, padre-padrone dell’Egitto negli ultimi 30 anni fino alla deposizione nel 2011, e del quasi contemporaneo arresto del leader spirituale dei Fratelli musulmani, Mohamed Badie, la Chiesa copta – ortodossa e cattolica – prende posizione a favore delle forze di polizia e dei militari, e in sostanza del “partito della sicurezza nazionale” contro chi (anche elementi jihadisti) ha incendiato le piazze a seguito dell’arresto del presidente Mohamed Morsi.
“E’ terrorismo”, la posizione dei copti cattolici
Ibrahim Isaak Sidrak, patriarca di Alessandria dei copti cattolici, già vescovo della città egiziana di Minya, esprime in una nota diffusa dal Sir-Servizio Informazione Religiosa “sostegno fermo, cosciente e libero alle istituzioni del Paese, in particolare alla polizia egiziana e alle forze armate per tutti gli sforzi che stanno compiendo per proteggere il Paese”, e rispolvera un vocabolo mai passato di moda nell’area del Mediterraneo e del Medio Oriente, ma ora tornato con prepotenza nel corso degli eventi siriani ed egiziani: terrorismo. Nel concludere la presa di posizione, infatti, il presule, che è anche presidente dell’Assemblea dei patriarchi e dei vescovi cattolici d’Egitto, si appella “alla coscienza mondiale e a ogni capo di Stato, perché comprendano e credano che ciò che accade in Egitto ora non è un conflitto politico tra fazioni diverse, ma una lotta di tutti gli egiziani al terrorismo”. Come dire: l’attuale situazione poco ha a che vedere con le primavere arabe, la Fratellanza musulmana ha avuto la sua occasione, ma ha fallito. Ora si torni a uno stato di normalità. Una posizione che, tuttavia, non consente ipotesi di una presunta guerra di religione tra musulmani e cristiani. Anzi, che “questa non è una guerra civile, ma una guerra contro il terrorismo, e la maggioranza della popolazione è contro il terrorismo e l’estremismo religioso”, lo sottolinea anche il portavoce dei vescovi cattolici d’Egitto, padre Rafic Greiche, ricordando come “i musulmani che abitano nei pressi delle chiese colpite hanno aiutato i religiosi e le religiose a spegnere gli incendi degli edifici di culto”.
Le parole dei copti ortodossi
Al termine della cosiddetta “giornata della collera”, indetta dalla Fratellanza il 16 agosto scorso, si era espresso sostanzialmente negli stessi termini, sebbene con toni più duri, anche il Papa copto ortodosso Tawadros II, che aveva chiuso a ogni possibile mediazione con i Fratelli musulmani, schierando la Chiesa “dalla parte della legge egiziana, delle forze armate e di tutte le istituzioni civili egiziane nel fronteggiare violente organizzazioni armate e forze oscure malevole, sia interne sia esterne”. E ricordando il senso di insicurezza che colpisce chiunque in riva al Nilo: “gli attacchi a edifici governativi e a chiese pacifiche stanno terrorizzando tutti, sia i copti sia i musulmani”.
L’appello per la pace di Papa Francesco
Tanto nel corso dell’Angelus dell’Assunta, il 15 agosto, quanto in quello della domenica successiva, era stato Papa Francesco a intervenire, chiedendo preghiere per il ristabilimento della pace “nella cara terra d’Egitto”, e condannando come incompatibili fede e violenza. Oggi, le dure prese di posizione dei copti, suggerite da una situazione di grave tensione (i dati comunicati all’agenzia di stampa cattolica Fides parlano di 58 chiese e istituzioni cristiane attaccate e incendiate, delle quali 14 cattoliche, il resto copto-ortodosse, greco-ortodosse, anglicane e protestanti), possono rinfocolare le polemiche di quegli islamisti che vedono i cristiani in Egitto al fianco dei militari e addirittura come i registi dell’operazione anti-Morsi, e forse mettere a repentaglio gli appelli alla concordia espressi proprio da Bergoglio.
L’intervista di padre Samir
Per quanto, secondo padre Samir Khalil Samir, sarebbero da escludere interpretazioni riduttive relativamente alla rivolta contro l’ormai ex presidente Morsi e lo stato di guerriglia scatenatosi nei giorni successivi. In una intervista concessa ad Avvenire, il gesuita egiziano, esperto di Islam, invita a spostare l’attenzione sulle cause degli scontri e del fallimento della Fratellanza, intenta a una gestione privatistica del potere piuttosto che alla risoluzione dei problemi di carattere economico e sociale. “Ventidue milioni, quasi un quarto degli egiziani, in gran parte giovani – dice padre Samir – ha firmato un documento per chiedere le dimissioni di Morsi. Come si fa a ignorare lo scontento profondo di quelli stessi cittadini che a piazza Tahrir hanno sconfitto Mubarak? Perché ci si vuole ostinare a liquidare la crisi al Cairo come un colpo di Stato militare?”. Quesiti di un crack istituzionale e politico che stenterà non poco a trovare il proprio punto di equilibrio.