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Anche i ricchi fuggono. Gli imprenditori cinesi che lasciano il regime

Le promesse di ripresa del governo di Pechino non convincono. Gli imprenditori cinesi cercano più libertà e sicurezza (per la famiglia ma anche per il patrimonio) in città come Singapore e Dubai, ma anche Londra, Tokyo e New York

Appena i confini sono stati aperti dal governo di Xi Jinping, con l’allentamento delle misure della politica zero-Covid, centinaia di imprenditori cinesi hanno fatto le valige per andare altrove. La promessa di una nuova crescita in Cina, proposta dalle autorità anche per gli investitori, non ha raccolto consensi tra chi vuole trovare un rifugio sicuro per la propria famiglia e la propria fortuna.

Alcuni si sono trasferiti in maniera temporanea, in attesa di vedere l’andamento della pandemia e la ripresa economica. Altri invece hanno deciso di traslocare definitivamente. Rappresentano una parte importante del tessuto economico cinese, e il fatto che abbandonino il Paese – portando con sé risorse e affari – non è di buon augurio per il futuro del colosso asiatico.

Un reportage del New York Times racconta la fuga degli imprenditori cinesi. Molti continuano a patire il caos degli ultimi anni in cui il governo ha colpito le imprese private più grandi del Paese, e gli imprenditori più famosi, con normative arbitrarie sempre più severe. Sono state loro le vittime economiche della rigida politica zero Covid.

Per questo la scelta di trasferirsi fuori dalla giurisdizione di Xi Jinping. Tra le destinazioni preferite ci sono Singapore, Dubai, Malta, ma anche Londra, Tokyo e New York. Luoghi dove sentono che i loro beni e la loro sicurezza personale sono protetti, almeno più che nel loro Paese di origine.

Gli imprenditori cinesi – ma non solo – hanno perso capitale ma soprattutto fiducia nella leadership di Pechino. Molti di questi imprenditori radicati recentemente in Asia, Europa e Stati Uniti hanno raccontato al New York Times che dopo avere sperimentato una vita con maggiori libertà sarà difficile tornare indietro per essere di nuovo vulnerabili ai desideri del Partito comunista cinese.

Aginny Wang, co-fondatore di Flashwire, un’impresa di criptomonete, si è trasferita da Pechino a Singapore dopo essere rimasta bloccata per il Covid: “Quando non puoi avere un’opinione sul modo in cui un governo formula le sue politiche, non devi restare lì […] Ci sono molti altri luoghi dove fare le cose”. J.C. Huo fondatore di Lotusia, un’azienda di consulenza di gestione di registri pubblici commerciali e di visti, sostiene che gli imprenditori continuano ad essere pessimisti: “La gente è ancora preoccupata per i loro patrimoni, e continua a registrare le proprie aziende e a trasferire il denaro a Singapore”.

Singapore ha il vantaggio della lingua, quasi tutti parlano mandarino, e tre quarti della popolazione è di origine cinese. Ma gli imprenditori riconoscono qualche limitazione: è un posto piccolo e molto costoso, la forza lavoro di qualità non è sufficiente. Si possono godere alcuni lussi senza divieti, ma non è il luogo ideale per fondare un’impresa tecnologica, ad esempio.

In altre circostanze, molti avrebbero preferito restare in Cina. “È un mercato colossale con molte infrastrutture – conclude il New York Times – la miglior catena di fornitura del mondo con abbondanza di programmatori disposti a lavorare oltre l’orario di lavoro. La maggior parte mantiene attività commerciali lì, ma non torneranno di corsa a investire e aprire nuovi business solo perché il governo li ha invitati a farlo”.



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