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Il valore simbolico del viaggio in Ucraina di Meloni. Scrive Checchia

Di Gabriele Checchia

Non solo forma, ma anche sostanza. I risultati ottenuti da Giorgia Meloni nel suo viaggio in Ucraina sono evidenti. Il commento di Gabriele Checchia, già rappresentante permanente d’Italia al Consiglio atlantico e ambasciatore all’Ocse, responsabile per le relazioni internazionali della Fondazione Farefuturo

Difficile non concordare con il ministro Tajani quando osserva in una sua intervista di ieri a La Stampa che “ la staffetta a Kyiv tra Giorgia Meloni e Joe Biden ha un grande significato, poiché essa mostra l’unità dell’Occidente e della Nato nella difesa dell’indipendenza dell’Ucraina”.

A visita ormai compiuta credo si possa legittimamente affermare che tutti gli obiettivi perseguiti dal nostro presidente del Consiglio con tale importante missione sono stati raggiunti, tanto sul piano dei simboli che su quello della sostanza.

Basti citare, per quanto riguarda il primo aspetto, le tappe che ella ha tenuto a effettuare – ancora prima dei suoi incontri a Kyiv – nelle città martiri di Bucha e Irpin con incontri con i rispettivi sindaci.

Si è trattato di soste dense di carica emotiva grazie a episodi come quello rappresentato dalla deposizione a Bucha di fiori rossi davanti a una fossa comune in omaggio ai tanti civil e militari ucraini vittime della brutalità dell’invasore. O, ancora, la breve frase “non siete soli” rivolta alla popolazione e alle autorità di quella martoriata municipalità

Non meno pregnante, per quanto riguarda la sosta a Irpin, il fatto che proprio da lì ella abbia tenuto a ricordare/ricordarci che la resistenza opposta dal popolo ucraino all’invasore “è una battaglia che esso sta combattendo anche per noi ed è bene che la gente lo sappia”.

Altro messaggio dalle forti implicazioni simboliche, e in forte sintonia in primis con la posizione della Casa Bianca, veicolato da Meloni nel corso della sua breve ma intensa visita, è stato quello secondo il quale in relazione possibili scenari di negoziato “nulla deve essere deciso senza l’Ucraina, su questo dobbiamo essere d’accordo, ed è per questo fondamentale che l’iniziativa parta dal presidente Zelenski”.

Da ultimo, non si può non sottolineare la forte valenza simbolica rivestita dall’atmosfera dell’incontro a Kyiv con lo stesso Zelenski: lungo, intenso e particolarmente cordiale. Incontro nel corso del quale in risposta al ringraziamento di quest’ultimo all’Italia per “il sincero e forte impegno a sostegno dell’Ucraina” la presidente Meloni ha opportunamente tenuto a sottolineare – quasi in controcanto al discorso dai toni violentemente anti-occidentali pronunziato nelle stesse per da Putin davanti a una vasta platea di sostenitori – che “le sorti dell’Ucraina coincidono con quelle dell’Occidente”.

Sul piano della sostanza i risultati paiono non meno significativi. Ne citerò alcuni.

La visita ha infatti in primo luogo reso possibile confermare al più alto livello alla Comunità Internazionale e alle autorità di Kyiv (anche attraverso frasi efficaci quali “l’Italia non tentenna” e”saremo con voi sino all’ultimo giorno”) il ruolo di prima fila acquisito dal nostro Paese e dal nostro governo – in continuità con la linea Draghi – nel sostegno dell’Occidente globale all’Ucraina aggredita nel segno del rifiuto del “diritto del più forte”. Segnale certamente gradito Washington che c’è da augurarsi possa essere ribadito dal nostro presidente del Consiglio in una sua auspicabilmente prossima visita ufficiale in quella Capitale.

Tutto ciò ad apprezzabile riprova di quanto anticipato dalla stessa Giorgia Meloni lo scorso ottobre, poco prima del conferimento dell’incarico, circa il fatto che con il suo esecutivo l’Italia non sarebbe mai stato l’anello debole dell’Occidente intendendo invece essere “a pieno titolo, e a testa alta, parte dell’Europa e dell’Alleanza atlantica”.

In secondo luogo essa ha consentito di fugare ogni interrogativo, più o meno in buona fede, in Patria e all’estero circa il posizionamento del nostro governo su un dossier geopolitico cruciale, anche in termini valoriali, per il futuro dell’area euro-atlantica, delle nostre democrazie e delle nostre relazioni con il fondamentale alleato statunitense.

In terzo luogo la stessa ha permesso al nostro primo ministro di reiterare il forte e convinto impegno italiano in termini di contributo militare (da ultimo con la promessa fornitura del sistema di difesa antiaerea a produzione italo-francese SAMP-T e con il settimo decreto aiuti in corso di messa punto) , finanziario, umanitario e logistico all’esercizio, da parte di Kyiv ,di quel diritto all’autodifesa sancito dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite.

Infine, la visita ha offerto un contribuito importante – grazie anche ai precedenti colloqui di Meloni a Varsavia e al solido asse da lei stabilito anche con il primo ministro ceco Fiala – al ridimensionamento delle ricorrenti velleità franco-tedesche (ma, direi, soprattutto francesi) di duopolio nella conduzione della politica estera e di sicurezza europea. È risultato che non si può dare naturalmente per acquisito e che si tratterà, per il nostro esecutivo, di consolidare anche attraverso una crescente interazione a Bruxelles tra il gruppo Ecr e il Ppe: in vista, tra l’altro, della cruciale scadenza rappresentata dalle elezione nel 2024 del nuovo Parlamento europeo. Elezione dal cui esito dipenderanno in larga misura, come noto, anche gli assetti della futura Commissione europea.

Sul piano più squisitamente bilaterale la visita ha poi fornito conferma, “last but not least, del nostro forte impegno una volta terminato il conflitto – auspicabilmente con una seppur parziale vittoria di Kyiv – per la ricostruzione del Paese. E questo, grazie anche alla annunziata grande conferenza a Roma ad aprile sulla ricostruzione già al centro dei colloqui avuti a Kyiv lo scorso gennaio dal ministro Urso insieme con il presidente di Confindustria Bonomi . È appuntamento che – come anticipato dalla presidente Meloni al termine dei suoi incontri – riserverà particolare attenzione , “con un vero e proprio cambio di passo”, alle infrastrutture e alle eccellenze strategiche con un forte coinvolgimento delle nostre imprese.

In sostanza, e per concludere, dalla visita è emersa ulteriore testimonianza – per riprendere un felice formula del ministro Urso (figura, come quella dei colleghi Tajani e Crosetto, dalle impeccabili credenziali europee e atlantiche) – “della coerenza e responsabilità” che caratterizzano l’attuale fase della nostra politica estera in un contesto geo-politico, in Europa e nel mondo, che resta purtroppo fragile ed esposto a una pluralità di minacce.



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