La redazione di Formiche.net ha ospitato il direttore dell’ufficio di Ankara del German Marshall Fund, Özgür Ünlühisarcikli, che ci ha spiegato come la Turchia riesce a essere, unica nazione al mondo, pro-Ucraina senza essere anti-Russia (anzi). Il voto che si terrà a maggio avrà conseguenze sul piano internazionale, sulla capacità di Erdogan di mediare nel conflitto e sull’adesione della Svezia alla Nato. Che resta bloccata perché…
All’interno dello speciale di Formiche.net sull’anniversario dell’invasione russa, abbiamo ospitato in redazione Özgür Ünlühisarcıklı, direttore della sede di Ankara del German Marshall Fund, con cui abbiamo discusso della posizione molto delicata della Turchia, Tra poco più di due mesi ci saranno le elezioni, Erdogan dovrà affrontare sia ovvie questioni interne che esterne, come la sua posizione “singolare” all’interno del conflitto e l’opposizione all’ingresso della Svezia nella Nato.
Qual è stato il ruolo della Turchia nel conflitto? È forse l’unica nazione che è riuscita a mantenere contatti con entrambe le parti, e su diversi fronti ha contribuito a risolvere alcune crisi emerse in quest’anno.
Il ruolo della Turchia non è semplice da spiegare. Può essere descritta come pro-Ucraina ma senza essere anti-Russia. Dopo lo scoppio del conflitto la Turchia ha continuato a fornire armi all’Ucraina, inclusi i droni armati che hanno rivestito un ruolo cruciale nelle prime settimane. L’Ucraina ha chiesto e ottenuto che la Turchia chiudesse il Bosforo e lo stretto dei Dardanelli alle navi belligeranti sulla base della Convenzione di Montreux, cosa che ha impedito alla Russia di rifornire la sua flotta nel Mar Nero dopo aver perso diverse navi, tra cui la famigerata Moskva. Non solo: Ankara si è opposta formalmente all’annessione delle province ucraine dell’est e ha votato contro la Russia alle Nazioni Unite.
E cosa ha fatto per non apparire come anti-russa?
Non si è unita a Usa e Ue nelle sanzioni, per diversi motivi. Prima di tutto, la Turchia è generalmente contraria a sanzioni non imposte dalle Nazioni Unite. Inoltre, in passato ha subito le conseguenze delle sanzioni contro Iraq e Iran. L’economia turca non vive un buon momento e sarebbe difficile sostenere un ulteriore colpo. Terzo, la Turchia non è stata consultata quando le misure sono state decise in modo unilaterale dagli Usa in consultazione con l’Ue. Ultimo, ma non ultimo, la Turchia è soggetta a sanzioni americane in questo momento (per l’acquisto dalla Russia di batterie missilistiche S-400, ndr).
Quanto è profondo il legame con Mosca?
La Turchia non solo ha mantenuto il commercio con la Russia ma le esportazioni turche in Russia sono cresciute significativamente, se non sbaglio del 68% da un anno all’altro, il che porta a chiedersi se la Turchia non stia agendo come intermediario nell’export tra Europa e Russia e dunque non stia aiutando la Russia ad aggirare le sanzioni.
Resta costante anche il dialogo politico. Erdogan ha parlato con Putin al telefono o di persona in diverse occasioni, sin dall’inizio del conflitto. Un fattore che a prima vista potrebbe sembrare negativo ma che d’altra parte ha permesso alla Turchia di fare da mediatrice nel cruciale accordo sul grano e nello scambio di prigionieri. Lo stesso potrebbe succedere in eventuali colloqui di pace.
La Turchia è un membro della Nato, ma ha addirittura rafforzato le relazioni con la Russia. Come mai questo atteggiamento non viene osteggiato con più forza dagli Usa e dalla coalizione che sostiene l’Ucraina?
È una domanda inevitabile, ma dato che la Turchia sta per andare a elezioni, gli Usa non vogliono dare l’impressione di voler influenzare il voto. Sicuramente stanno spiegando al governo e al settore privato le potenziali conseguenze nel continuare a commerciare con la Russia. Penso che una volta passate le elezioni (Erdogan ha confermato che si terranno a maggio nonostante l’emergenza del sisma, poiché la costituzione impone di farle entro giugno, ndr) le pressioni diventeranno molto più esplicite.
Parlando di elezioni, potrebbero essere un punto di svolta nel processo di adesione alla Nato di Svezia e Finlandia. La Turchia si è opposta, in particolar modo alla Svezia, dove si trovano presunti criminali e terroristi di cui Erdogan chiede l’estradizione. Come evolverà questo processo? La Finlandia potrebbe muoversi da sola o entrambe aspetteranno l’esito del voto turco?
Ankara ha annunciato che non ci sono altri ostacoli all’adesione della Finlandia, per cui se deciderà di entrare, credo che sarebbe accettata piuttosto in fretta. Finora però la Finlandia ha preferito fare squadra con i suoi vicini. Con l’imminenza delle elezioni è difficile che il parlamento turco ratifichi l’ingresso della Svezia, e temo che tra le elezioni e il summit Nato di Vilnius di giugno, che sarebbe l’occasione per annunciare l’adesione, passi troppo poco tempo. Ma attenzione, sto dicendo che non è probabile, non che sia impossibile, perché la Turchia continua a sorprendere tutti.
Quali sono i punti ancora controversi?
Va riconosciuto che la Svezia sta facendo passi importanti e molto rapidamente, modificando le proprie leggi sul terrorismo e la propria costituzione per venire incontro alle richieste turche. Il problema principale è la definizione di terrorismo. Per la Turchia, se agisci per una organizzazione considerata terroristica sei un terrorista, sia che tu faccia mera propaganda, raccolga fondi, faccia reclutamento, o impugni un’arma. Mentre per Stoccolma è terrorismo solo se compi azioni violente. Ad esempio, se in una manifestazione alcune persone sventolano la bandiera del Pkk (il partito nazionalista curdo), per la Turchia si configura il reato di propaganda terroristica, per la Svezia è libertà di espressione. La definizione europea di terrorismo potrebbe essere un modo per avvicinare i due approcci.
Il gruppo di persone di cui la Turchia chiede l’estradizione è molto variegato.
Non si conoscono tutti i nomi, ma lo spettro è effettivamente molto ampio. Si va da chi ha fatto propaganda a chi è accusato di omicidio. Ma si può dire che quello di cui ha bisogno la Turchia è che la Svezia dia l’esempio con alcuni di questi. Non si tratta solo della cornice normativa ma anche della sua implementazione. Poche settimane fa un politico danese ha notificato alle autorità svedesi che avrebbe bruciato il Corano davanti all’ambasciata turca in Svezia e le autorità, pur contrarie, lo hanno lasciato fare nel rispetto della libertà di espressione. Un altro gruppo voleva bruciare la Torah e non gli è stato permesso perché c’è una legge che vieta l’antisemitismo. In questo caso c’è un doppio standard, mentre Ankara si aspetta lo stesso tipo di trattamento.
Il settore dell’energia è stato rivoluzionato in questo anno di guerra. La Turchia da una parte ha una relazione con la Russia, dall’altra vuole diventare un hub energetico sempre più centrale per il continente. Che direzione prenderà?
La Turchia è un importante corridoio di transito per l’energia ma non è ancora un hub. Per diventarlo, la Russia e altri Stati dovrebbero rilasciarle licenze apposite, affinché possa importare gas per poi riesportarlo come proprio. Finora questo non è successo e non so se sarà mai politicamente percorribile, soprattutto nel caso del metatno russo. In ogni caso, il ruolo turco resterà importante perché l’Azerbaijan raddoppierà le forniture all’Europa nel breve periodo e le forniture dal Mediterraneo orientale potranno passare dai gasdotti turchi. Ma nel lungo periodo i combustibili fossili non saranno più centrali, quindi la Turchia cercherà di diventare un hub senza dover investire troppe risorse.