Giustamente, ogni 8 marzo, l’Occidente festeggia la donna. Ma se l’Occidente vuole sul serio essere più credibile, anche nella difesa dell’uguaglianza di genere, deve andare fiero delle proprie istituzioni, anziché strizzare l’occhio ad altri modelli politici, che di liberale e democratico non hanno nulla. La contraddizione di quanti manifestano per la parità di genere, ma non condannano i regimi ostili alle libertà civili ed economiche che la garantiscono nel commento di Giuseppe De Tomaso
Per la liberazione e l’emancipazione delle donne hanno fatto molto di più la lavatrice e l’automobile rispetto a qualsiasi altra conquista politica, sociale e sindacale. Diciamo lavatrice per non citare l’intera filiera di elettrodomestici che nel corso dei decenni hanno alleggerito in maniera stupefacente la fatica dei lavori in casa, assegnati da sempre al gentil sesso dal padronato maschile. Diciamo automobile perché, senza di essa, la libertà di muoversi e di lavorare, per le donne soprattutto, avrebbe incontrato più ostacoli di una scalata alpina. Senza la rivoluzione industriale e, successivamente, post-industriale, la rivoluzione femminile avrebbe fatto capolino solo nei sogni o nelle fantasie di qualche scrittore particolarmente immaginifico. E la società preindustriale, ossia la società feudale, avrebbe continuato a soggiogare la donna sotto tutti i punti di vista: giuridico, economico, umano, familiare, sessuale.
Ma la rivoluzione industriale, post-industriale e tecnologica sarebbe stata poca cosa se non fosse stata accompagnata dalla rivoluzione del pensiero, rappresentata dall’illuminismo e dal costituzionalismo liberale. In soldoni: senza il mix tra democrazia codificata in Costituzione e mercato anch’esso riconosciuto dalla legge suprema di uno stato, difficilmente le fasce più deboli della popolazione, a iniziare dalle donne, avrebbero avuto modo di vedere riconosciuti diritti che neppure i giusnaturalisti più accaniti caldeggiavano, figuriamoci i cultori del positivismo giuridico tout court.
Basti pensare che, nonostante l’articolo tre della Costituzione italiana sia un inno all’uguaglianza, ci volle il ricorso (1959) di una donna, difesa dal grande giurista Costantino Mortati (1891-1985), perché la guida di una prefettura fosse aperta anche al genere femminile. Per non parlare del diritto di famiglia, varato nel 1975, e della parità coniugale uomo-donna sulla fedeltà introdotta solo nel 1981.
Ma se, in Occidente, sia pure a fatica la parità uomo-donna non è più in discussione, viceversa in tutti i Paesi del mondo che non hanno conosciuto la rivoluzione liberale, la parità di genere rimane una pia aspirazione e, in parecchi casi, sta regredendo a livelli disumani, basti pensare a quello che sta accadendo in Afghanistan e in Iran.
L’Occidente fa bene a protestare contro la subordinazione, contro la schiavizzazione della donna negli stati orfani di una legislazione liberale e guidati da un ordinamento teocratico che più oscurantista non potrebbe essere. Ma lo stesso Occidente (non tutto ovviamente) dovrebbe riflettere, specie nelle schiere dell’intellettualità più impegnata, sulle contraddizioni di certe sue battaglie politico-ideologiche.
Non è un mistero che il costituzionalismo liberale e la democrazia economica non dispongano di numerosi tifosi in Europa e negli Stati Uniti, soprattutto tra i ranghi dell’intellighenzia più à la page. Non è un mistero che la ritirata degli Usa dall’Afghanistan, decisione che successivamente ha portato alle stelle lo strapotere dei talebani e sotto terra i diritti e le aspirazioni delle donne di quella nazione, fosse stata sollecitata da decine di cenacoli politico-intellettuali in nome dell’autodeterminazione dei popoli, ma, soprattutto, in nome della reazione all’imperialismo americano. Il presidente Joe Biden non ha resistito al pressing interno ed esterno, proteso ad accelerare il ritiro delle truppe Usa da Kabul. Ma le conseguenze per la popolazione civile e femminile afghana si sono rivelate terribili, letali, tanto da alimentare fughe imponenti da quei territori vietati alle donne, fughe che, a volte, sfociano in tragedie, come si è verificato a Cutro, in Calabria, a causa di malintesi, pregiudizi e sottovalutazioni da parte di chi, a tutti i livelli, doveva predisporre i soccorsi.
Giustamente, ogni 8 marzo, l’Occidente festeggia la donna. Ma se l’Occidente vuole sul serio essere più credibile, anche nella difesa dell’uguaglianza di genere, deve andare fiero delle proprie istituzioni, anziché strizzare l’occhio ad altri modelli politici, che di liberale e democratico non hanno nulla, nemmeno uno slogan per le anime pie. L’Occidente deve cominciare ad amare sé stesso, primo perché il suo è l’unico esempio di libertà emerso sulla Terra, secondo perché l’Ovest l’unico sistema cui guardano con ammirazione e trepidazione quelle genti sottomesse da regimi intolleranti, crudeli e guerrafondai.
Non si può manifestare per la salvezza, per la salvaguardia delle donne iraniane e afghane e contemporaneamente scagliarsi contro i Paesi occidentali che difendono i valori di libertà e democrazia, che sono la premessa per la consacrazione effettiva dell’universo femminile. Questa condotta costituisce una contraddizione in termini su cui si sorvola con incredibile e spregiudicata superficialità.
Anche in Russia la parità di genere è una bestemmia per il potere. Basti pensare alle persecuzioni patite dagli omosessuali. Eppure è sempre il modello occidentale, e americano in particolare, a finire sul banco degli imputati nei tribunali ideologici frequentati da larghi settori dell’intellettualità europea. L’America, per definizione, sbaglia sempre, a detta di costoro. Sbaglia se interviene in Afghanistan e sbaglia se va via. Idem in Ucraina, dove sbaglia perché sostiene Zelensky e avrebbe sbagliato se non lo avesse sostenuto.
Ma non è il caso di esondare. Concludiamo riprendendo il filo del discorso. La guerra contro l’Ucraina scatenata dalla Russia e la guerra contro le donne scatenata da Iran e talebani afghani dovrebbero, devono indurre l’Occidente a riflettere su sé stesso e sulla fortuna che si ritrova: quella di poter disporre di ordinamenti liberaldemocratici grazie ai quali nessuno, a cominciare dalle donne, può temere ritorsioni e persecuzioni come quelle di casa nei regimi dispotici testé menzionati.