Il rischio della dipendenza dalla Cina sulle cosiddette terre rare non pone problemi solo di natura geopolitica, ma anche ambientale: la loro estrazione non è sempre portata avanti in modo sostenibile. L’analisi di Biagino Costanzo, dirigente di azienda e docente in Scienze Criminologiche per la Difesa e la Sicurezza
Anche questo delle terre rare ora è argomento di vasta attualità e se ne parla sempre più spesso. Se ne discute da quando le transizioni, reali, quella ecologica e quella digitale sono un refrain quotidiano, infatti, si dice che sono essenziali per la tecnologia di ultima generazione e che le grandi potenze se le contendono, ed entrambe le cose sono vere. Ma sono davvero così rare? Non proprio e non sono di certo “nuove”.
Bisogna ricordare che già nel 2011 la Cina, per dare concreta dimostrazione di essere la vera potenza mondiale del mercato tecnologico ha ridotto del 75% l’esportazione delle terre rare facendo schizzare i prezzi alle stelle, con picchi superiori all’850%. Però la recondita speranza di sfiancare le altre Nazioni si è rivelata una bolla perché il resto del mondo poteva vantare riserve sufficienti per supplire alla mancanza di alcuni minerali dimostrando che era possibile anche lavorare con quantità più basse di questi elementi.
Con il termine “terre rare” si fa riferimento a dei metalli e per essere precisi sono 17 elementi chimici: lo Scandio, l’Ittrio e altri quindici metalli, tutti e quindici “lantanoidi”. I nomi sono: Lantanio, Cerio, Praseodimio, Neodimio, Promezio, Samario, Europio, Gadolinio, Terbio, Disprosio, Olmio, Erbio, Tulio, Itterbio e Lutezio.
Questi elementi continuano ad avere l’etichetta di terre rare sebbene sia dimostrato che così rari non sono. A dirlo non sono io, ma numerosi report e ricerche fatte in tutto il mondo a partire dal professore di geoscienze al Franklin & Marshall College, Stanley Mertzman che afferma “anche la terra rara più rara, il Tulio, è 125 volte più comune dell’oro. E la terra rara meno rara, il Cerio, è 15mila volte più abbondante dell’oro”.
Lo stesso termine, “terre rare”, è stato coniato quando questi minerali vennero scoperti, fu un tenente dell’esercito svedese, Carl Arrhenius nel lontano 1787, e la loro rarità era dovuta non tanto alla scarsa disponibilità quanto alla enorme difficoltà di lavorazione ed estrazione del minerale puro. Facciamo un esempio, uno di questi metalli, il Cerio, è diffuso sulla terra quanto il rame, eppure quest’ultimo è considerato un elemento comune. Nonostante il big bang abbia regalato alla Cina una buona percentuale dei giacimenti terrestri, si stima che lo stato asiatico abbia solo il 38% di questi giacimenti, il resto è sparso ovunque nel mondo.
Una cosa è certa questi metalli sono essenziali per produrre alcune delle tecnologie più importanti per i settori strategici, e non solo per quelli che lo sono al giorno d’oggi, ma soprattutto per quelli che lo saranno nel prossimo futuro, come, ad esempio , per la tecnologia militare e aerospaziale e per la componentistica per pannelli fotovoltaici ma sono indispensabili per produrre le batterie ricaricabili e quindi gli smartphone, i computer, i tablet, le auto elettriche e ibride, i monopattini elettrici, strumenti utili negli impianti petrolchimici oppure dispositivi elettronici, compresi quelli utili in campo medico, gli schermi Lcd, i nuovi televisori, le memorie dei PC, generatori di turbine eoliche, etc..etc.
Inoltre, le terre rare hanno grandi proprietà magnetiche e conduttive, caratteristiche essenziali che hanno consentito la riduzione delle dimensioni dei dispositivi elettronici, pensiamo per esempio al walkman degli anni ’70 il quale conteneva un piccolo e potente magnete realizzato in samario oggi sostituito da un magnete al neodimio che permette il contenimento netto delle dimensioni, infatti abbiamo l’IPod.
Da tenere in considerazione è si tratta di metalli che sono comunque difficili da identificare, da estrarre e da trasformare, quindi da queste difficoltà, insieme alla loro importanza per i settori strategici, viene la corsa tra Paesi per rastrellare le risorse disponibili.
Si ipotizza anche che la loro importanza sia in costante ascesa per il loro andamento sul mercato. La forte domanda di questi metalli ha un diretto effetto sui prezzi, pensiamo all’Europio, una tonnellata cubica costa oltre 600mila euro. Ma ciò che conta non sono i prezzi in assoluto, casomai il fatto che il loro prezzo è in costante ascesa sin dalla metà del Novecento.
Ma non vi è alternativa all’uso di questi metalli? Sembra proprio di no, al momento non vi è.
Rappresentano infatti uno di quei nodi delle catene del valore, come i microchip, i semiconduttori, in cui siamo in svantaggio rispetto all’Oriente. Eppure, come dicevo all’inizio di questo articolo, le terre rare sono essenziali per la transizione ecologica, per produrre la tecnologia necessaria a produrre le pale eoliche da utilizzare offshore e per la produzione di impianti per l’energia solare.
Il paradosso, una tanto decantata rivoluzione green ma… poco sostenibile
L’insostenibilità sia ambientale che, direi, sociale del processo di estrazione delle terre rare è davvero un immenso problema. Infatti, l’estrazione implica un elevato degrado ambientale, nonché rischi per la salute e contaminazione del suolo e delle acque. E ovviamente, in moltissimi casi, vi è anche la questione del lavoro minorile e dello sfruttamento della manodopera a basso costo, in poche parole parliamo di schiavismo.
Sappiamo bene che oggi la transizione ecologica passa per l’elettrificazione di ciò che oggi funziona con i combustibili fossili, le auto, ma anche per queste, i metalli rari devono essere massicciamente utilizzati per la costruzione dei loro motori o per tutte le apparecchiature di bordo. Insomma, per tutta la cosiddetta tecnologia green le terre rare la faranno da padrone, dai pannelli fotovoltaici appunto alle auto elettriche che, come abbiamo già ribadito, saranno in forte crescita nei prossimi anni. Tutto questo porterà ad un grande impatto ambientale coniugato calla crescita della popolazione; quindi, urgono soluzioni sostenibili ma per davvero.
È necessario ricordare che il problema nell’industria mineraria si evince nelle varie fasi di estrazione prima e di raffinamento poi, passando attraverso vari stadi che coinvolgono sia acidi che filtraggi, quindi, causano scarti molto tossici e necessitano di un consumo enorme di acqua.
Quindi tra gli effetti peggiori che si possono riscontrare, si segnala la formazione di pozzi di assorbimento, l’erosione del suolo, l’inquinamento idrico e la perdita di biodiversità, Uno studio ha calcolato che solo la lavorazione di una tonnellata di metalli delle terre rare produce circa 2.000 tonnellate di rifiuti tossici. Ecco perché è di fondamentale importanza il riciclo di Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, RAEE. In questo modo elementi come le terre rare possono essere gestiti correttamente, riciclati e immessi in nuovi cicli produttivi senza la necessità di nuove estrazioni dal suolo.
Ed ecco il paradosso, non solo i movimenti ambientalisti ma, oramai, gran parte della collettività mondiale a causa dell’effettivo cambiamento climatico, chiede la chiusura di miniere e luoghi estrattivi causa di inquinamento di acqua, terra ed aria circostanti ma, l’alta tecnologia però spinge la nostra quotidianità e l’economia mondiale e per far progredire la stessa servono le terre rare che, per l’estrazione e la lavorazione delle stesse, vanno ad impattare in modo sostanziale la salvaguardia di tutto l’ambiente.
Quali le possibili alternative?
Si parla ultimamente di plant-based o microbial-based, che dovrebbero servire, attraverso l’uso di biotecnologie e tecnologie biogeochimiche ad estrarre senza gli attuali rischi ambientali attuali.
Un’altra soluzione alternativa è quella del riciclo che però non risolverebbe immediatamente il problema, dato che al momento solo l’1% dei RAEE viene riciclato. Sarebbe necessario, per non essere dipendenti dalle terre rare, diversificare le fonti, ridurre il loro impiego e appunto il riciclo.
La verità vera però è che parliamo di metodi che di sicuro avrebbero una buona resa in termini di costi energetici e di sostanze chimiche nocive ma che non sono ancora in grado di sostituire la tecnologia attuale.
La questione geopolitica e il monopolio cinese
Tutte le terre rare pesanti del mondo provengono da depositi cinesi come quello di Bayan Obo, anche se miniere illegali di terre rare sono comuni nella Cina rurale e sono note per rilasciare rifiuti tossici nelle risorse idriche. Per evitare carenze e il monopolio cinese sono state cercate altre fonti di terre rare, specialmente in Sudafrica, Brasile, Vietnam, Canada e Stati Uniti. Una miniera di terre rare in California è stata riaperta nel 2012, mentre altri siti importanti sono quelli canadesi di Thor Lake nei Territori del Nord-Ovest e del Quebec. In linea di massima, la maggior parte della fornitura attuale di ittrio si origina da depositi di argille della Cina meridionale e quindi forniscono concentrati contenenti circa il 65% di ossido di ittrio.
È chiaro che, l’interesse per i REE è cresciuto insieme all’evoluzione tecnologica e alla transizione energetica ma la dipendenza mondiale da questi materiali porta con sé varie problematiche legate ai processi estrattivi e produttivi che rientrano, ad oggi, in una sorta di “quasi monopolio” cinese, cresciuto fino alla crisi del 2010, quando le economie più avanzate hanno iniziato a cercare alternative all’import dei REE dalla Cina.
Dalla metà del 2011 cominciarono ad arrivare restrizioni sia per ragioni ambientali sia di predominio e la Cina cominciò a restringere le esportazioni, con una legge che permette anche di limitare l’esportazione di terre rare nei confronti di quei paesi che minacciano gli interessi della nazione. Di fatto, oggi la produzione di REE è in mano a quattro paesi con Cina (59%) e Stati Uniti (17%) che ne rappresentano la maggioranza produttiva. In particolare, per quanto riguarda l’Unione Europea, la dipendenza dalla Cina per le Terre rare e altre materie prime è sotto gli occhi di tutti e la spinta negli ultimi tempi sul tema del Green Deal europeo e della transizione ecologica ha come obiettivo quello di emanciparsi pian piano da questo legame.
Sta succedendo quello già visto con il gas russo e ancora una volta si rischia davvero di arrivare tardi sia nell’approvvigionamento che ad una emancipazione possibile dal largo utilizzo di Ree, tanto che non mancano esperienze di privati e consorzi che puntano su tecnologie senza Terre rare come l’Emobility senza Terre Rare.
Nel secolo scorso la popolazione umana è cresciuta esponenzialmente e le previsioni indicano un ulteriore incremento che ci porterà fino a nove, dieci miliardi di esseri umani entro il 2050. Questa crescita è stata accompagnata da un crescente aumento del progresso tecnologico e quindi del consumo indiscriminato delle risorse naturali. Tuttavia, le difficoltà di recupero e riciclo di questi materiali si scontrano con gli obiettivi per un’economia circolare che rientrano in Agenda 2030 e nel Green Deal. Inoltre, comunità e associazioni ambientaliste si schierano in modo sostenuto contro progetti di siti minerari che potrebbero compromettere gli ecosistemi e gli habitat di specie protette e sede di siti archeologici. In pratica, le strategie, gli studi e i conflitti ambientali e sociali intorno alle terre rare sono tanti e di vari tipi, la questione non appare affatto facile da dirimere e siamo solo all’inizio.