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Proiettili all’uranio impoverito, facciamo chiarezza. Il punto del gen. Tricarico

Con l’annuncio dell’invio di proiettili all’uranio impoverito in Ucraina, si è riacceso il dibattito intorno a questo tipo di equipaggiamenti. L’intervento del generale Leonardo Tricarico, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare e presidente della Fondazione Icsa

Ci mancava solo l’uranio impoverito per moltiplicare le tensioni nello scenario già fortemente compromesso del conflitto russo-ucraino. E con il mondo della scienza ancora una volta in disparte e muto. Forse perché stanco e frustrato dalla ricorrente divulgazione di informazioni false e indimostrabili, nonostante le ormai innumerevoli evidenze scientifiche di segno contrario rispetto a chi, ancora oggi, insiste nel far credere pericolosa l’esposizione alle polveri di uranio impoverito. Gli studi sull’argomento sono numerosi, tutti consultabili, di diversa e sempre prestigiosa fonte, mai di parte, ma sempre concordi nello statuire l’improponibilità dell’insorgenza di patologie, segnatamente quelle tumorali, quale conseguenza dell’uso di queste peculiari munizioni peraltro molto efficaci sul campo di battaglia.

In Italia in particolare, nel 1999 il Centro interforze studi per le applicazioni militari ha effettuato alcune campagne di misura delle radiazioni nelle aree di operazioni assegnate ai nostri militari, conducendo poi gli appropriati esami su un campione di sedici soggetti. Il tutto con esito negativo. Ugualmente negative le risultanze degli studi effettuati da Unep, un organismo delle Nazioni Unite che, dopo il conflitto dei Balcani ha effettuato, con la partecipazione di esperti di quattordici Paesi, due missioni scientifiche in Kossovo, Serbia e Montenegro senza riscontrare una contaminazione significativa nelle zone visitate. Stessa sorte per un’indagine condotta nei laboratori di Enea su un campione di militari rientrati dai Balcani.

Un’analisi ancora più approfondita a meticolosa è stata effettuata dal professor Franco Mandelli su una vasta popolazione di militari italiani in rientro dalle zone di operazione, sottoponendo gli stessi a rigorosi protocolli di verifica e valutazione che, nel loro complesso, hanno portato ad escludere correlazioni improprie. Anche Gran Bretagna e Stati Uniti hanno affrontato il problema, coinvolgendo prestigiosi istituti di ricerca quali la Uk Royal Society and Medical research council (Mrc) e lo statunitense Institute of medicine (Iom). Al tavolo degli imputati questa volta la guerra del Golfo. I due istituti, ricorrendo a un approccio fondamentalmente simile, sono pervenuti a risultati sostanzialmente sovrapponibili e ad escludere l’insorgenza di patologie conseguenti all’esposizione ad uranio impoverito.

L’elenco di chi, a livello scientifico, si è occupato della questione è veramente molto lungo e la conclusione sempre la stessa: la letteratura scientifica più importante sull’argomento non ha rinvenuto una correlazione significativa tra cancro o altre patologie, e uranio impoverito. Lasciando agli esperti il compito ulteriore di entrare nel merito nel caso di un auspicato ma improbabile approfondimento pro veritate, forse alcune evidenze alla portata di tutti potranno far nascere qualche dubbio in chi è fuorviato dalla narrativa corrente.

I proiettili all’uranio impoverito liberano polveri che si disperdono nell’ambiente e quindi sono potenzialmente dannosi quando urtano una superficie dura quali una corazzatura metallica o simili. Se invece penetrano nel terreno o impattano superfici più tenere, non producono significative contaminazioni. È stato stimato che di norma tra il 70 e l’80% dei proiettili si conficchi nel suolo senza quindi rilasciare nell’atmosfera quantità di polveri significative.

Con l’impatto su superfici dure si liberano microparticelle, e non nanoparticelle. La questione è dirimente in quanto solo queste ultime, le nanoparticelle, hanno dimensioni tali da penetrare nelle cellule umane e quindi, in spazi aperti, l’effetto delle polveri è irrilevante se non viene inalato per vie aeree. Se invece l’impatto avviene in ambiente chiuso, allora l’inspirazione delle polveri può essere dannosa, ma in tal caso la morte sopravviene comprensibilmente per altre cause. Queste in termini sintetici, poco scientifici, ma comprensibili, le dinamiche possibili legate all’uso di munizioni all’uranio impoverito.

E queste sono le parole di verità che dovrebbero emergere nelle dichiarazioni dei tanti che oggi continuano a gettare benzina sul fuoco, cercando sempre i motivi per l’innesco di una spirale anziché quelli di una ancora lontana distensione.


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