“La reazione alla minaccia sistemica cinese deve passare per una politica industriale europea di concerto con la controparte statunitense”, ha detto il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. “Non possiamo permetterci di spaccare il fronte occidentale mentre c’è un’aggressione armata ai confini dell’Europa”
“La reazione alla minaccia sistemica cinese deve passare per una politica industriale europea fondata sui valori condivisi di coesione e solidarietà, cooperando con la controparte statunitense”. Sono le parole del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, nel corso dell’intervento al congresso “Verso una politica industriale transatlantica?” organizzato da Confindustria e American Chamber of Commerce.
La crisi pandemica prima e la guerra in Ucraina poi hanno segnato simbolicamente l’ingresso del mondo in una fase geopolitica di competizione tra grandi potenze, ha proseguito il ministro. Il percorso che si delinea all’orizzonte è quello della polarizzazione economica e politica globale intorno a due assi contrapposti, quello statunitense e quello cinese. Secondo l’Harvard Business Review, siamo entrati nel periodo della “New National Security Economy” in cui la riprogettazione delle catene del valore e il ridisegno del portafoglio di investimenti è la sfida principale che le aziende devono affrontare. Gli Stati Uniti, tramite l’approvazione dell’Inflation Reduction Act (Ira), hanno deciso di aumentare gli sforzi in questo campo, provocando diverse reazioni nell’Unione europea.
Nel novembre 2022 il Parlamento europeo discuteva appunto della risposta all’Ira e in quel luogo erano emersi tre filoni di azione alternativi. Soffermandosi su questo punto, Urso ha sottolineato come l’approccio aggressivo nei confronti degli Usa che avrebbe scatenato una guerra commerciale, “come fatto venticinque anni fa con il caso Boeing vs Airbus”, avrebbe danneggiato l’unità dell’Occidente. “Non possiamo permetterci di spaccare il fronte occidentale mentre c’è un’aggressione armata ai confini dell’Europa”, ha detto il ministro.
La seconda opzione era quella di chi voleva lasciare mano libera ai singoli membri, il che avrebbe premiato gli Stati con maggiore margine fiscale, come Francia e Germania, e punito altri, come l’Italia. A proposito di come sono stati utilizzati gli aiuti di Stato post-pandemici , analizzando le richieste fatte alla Commissione, Urso ha evidenziato come “la Germania ha contribuito per il 53%, Francia per il 29%, l’Italia per il 4.7%. In pratica Germania e Francia hanno messo in campo l’80 per cento, mentre il rimanente 20 per cento sarebbe stato distribuito tra gli altri 25 membri”, ha spiegato il ministro, “avremmo spaccato l’Europa”. Una revisione degli aiuti di Stato è necessaria, ma dovrà essere “mirata e circoscritta ai settori realmente strategici per non creare squilibri all’interno del mercato comune”.
In terzo luogo, la strada che poi si è imboccata è quella di seguire l’esempio degli Stati Uniti. “Reagire alla minaccia sistemica cinese con un politica industriale europea che sia il frutto dei valori comuni di coesione e solidarietà”, dice Urso. E prosegue: “L’Unione deve ottenere le stesse esenzioni previste per le imprese nordamericane”. Il punto di arrivo secondo il ministro dovrà essere, quando le condizioni saranno opportune, la creazione di un area di libero scambio Europa-Stati Uniti. “Riprendere il dialogo transatlantico per giungere a un’area di libero scambio per la competitività globale. Tutto questo risulta anche nell’interesse specifico italiano”.
La Commissione europea, spiega Urso, ci dice che per ridurre la dipendenza dalla tecnologia e dalle materie prime critiche che provengono dall’Asia si deve incrementare la produzione nazionale ed europea, ponendo obiettivi “così ambiziosi rispetto alle condizioni attuali da farci capire il livello della sfida”. E cita alcuni dati. “Entro il 2030 dovremo raggiungere una produzione europea pari al 10% delle materie prime critiche che utilizzeremo per allora, ovvero 10 volte di più di quelle che utilizziamo oggi. Quindi dobbiamo estrarre materie prime critiche, litio, cobalto, in Italia e in Europa per raggiungere quel livello al 2030”. Oggi la quasi totalità della lavorazione delle materie avviene in Cina, anche perché ha un impatto ambientale significativo, ma bisognerà spostare almeno il 40% di questa lavorazione in Europa”.
Questo scenario porta i legislatori a dover affrontare una “operazione verità verso gli italiani e gli europei”. Ovvero spiegare ai cittadini quali siano i costi della transizione ecologica che si realizzerà in Italia e in Europa. “Un’operazione verità è necessaria perché non possiamo rinunciare ad essere un polo industriale e di sviluppo tecnologico”.