Neppure le deportazioni dei bambini ucraini da parte delle truppe russe scuotono le coscienze degli spiriti più ostili all’Occidente liberale. E, come insegnava il grande Albert Einstein, è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio. Figuriamoci quando i pregiudizi sono due. Il commento di Giuseppe De Tomaso
Da sempre la cultura e la storiografia occidentali sono divise su moltissimi punti, com’è normale che sia in una società aperta. Ma se c’è un punto su cui si sfiora l’unanimità, tra analisti e studiosi vari, questo è il ruolo fondamentale svolto da Winston Churchill (1874-1965) nella lotta al nazismo e in difesa della libertà. Solo un giudice in malafede potrebbe mettere in dubbio il coraggio del primo ministro inglese nel resistere alla barbarie hitleriana e nel mettere assieme una coalizione di Stati in grado di sconfiggere il diavolo tedesco. Senza la resistenza churchilliana, l’Europa sarebbe precipitata nel baratro e le sue democrazie si sarebbero dissolte in un amen, sopravvivendo solo nei pallidi, nostalgici ricordi dei superstiti. E tutti noi oggi vivremmo, nella migliore delle ipotesi, tra i divieti di una società chiusa, e nella peggiore, tra i muri di una società tiranneggiata dal Grande Fratello di turno. Dunque, sia sempre onorata la figura di Churchill. Il dovere della gratitudine e il debito di riconoscenza nei suoi confronti non devono avere data di scadenza. Senza di lui, l’intera umanità avrebbe vissuto un’altra storia, un incubo permanente. È bene non dimenticarlo mai.
La premessa testé riassunta non sta a significare, però, che Churchill fosse un uomo al di sopra di ogni sospetto, senza macchie e senza pecche. Anche lui aveva commesso i suoi gravi errori. Anche lui era carico di difetti e contraddizioni. Anche lui era un concentrato di cinismo e spregiudicatezza. Ma, ciò non toglie, che nell’ora cruciale, Churchill abbia messo anche le sue imperfezioni al servizio della causa più giusta. Il che lo ha trasformato in uno tra i personaggi più leggendari di tutti i tempi.
Anche le attuali democrazie, a iniziare da quella americana, sono un concentrato di limiti e ingiustizie, di imperfezioni e di errori. Ma le democrazie sono, per così dire, naturalmente, geneticamente e inevitabilmente imperfette. E poi quelle che conosciamo sono le uniche democrazie che abbiamo. E, ancora, per non allontanarci da Churchill: è sempre opportuno non dimenticare che la democrazia sarà pure il peggior sistema politico, ma solo a patto di non considerare, di non calcolare tutti gli altri modelli fin qui sperimentati.
Anche l’America, per non girare alla larga, non è al di sopra di ogni sospetto. Ma, nei momenti più conflittuali della geopolitica, l’America si è quasi sempre schierata dalla parte della libertà. Quando non lo ha fatto o non lo ha potuto fare, ciò è dipeso dalla constatazione che nessuno tra i duellanti avesse tutta la ragione dalla propria parte e che, pertanto, a Zio Sam non restava che scegliere il male minore.
Eppure ogni qual volta nel mondo s’incrociano le armi, è assai folto in Occidente il partito trasversale anti-americano, che poi corrisponde, all’atto pratico, nel partito trasversale ostile alla democrazia e alla società aperta. Neppure i fatti riescono a smuovere i pregiudizi anti-americani di vasti settori della società occidentale. Neppure l’attacco a una democrazia da parte di uno stato autoritario riesce a scuotere le certezze granitiche di chi, sotto sotto, tifa per una società sottomessa e contro la nazione guida dell’Occidente. Eppure, anche senza voler entrare nel merito delle colpe e delle ragioni di chi si trova in guerra, sarebbe più che sufficiente esaminare la natura, la tipologia dei regimi in lotta (dittatura versus democrazia), per uscire allo scoperto ed esprimere, senza subordinate e senza esitazioni, il proprio sostegno al contendente assalito. Non è sufficiente sapere che, come testimonia la storia, una democrazia non aggredisce mai, semmai viene aggredita sempre? Cos’altro serve per dissipare tutti i dubbi di coloro che non soltanto non prendono posizione sullo scontro militare tra aggressore e aggredito, ma che, quando lo fanno, non si preoccupano più di tanto di dissimulare la realtà, ossia di non vedere e raccontare i fatti come sono?
Invece, anche le guerre moderne sembrano fatte apposta per mobilitare, in Occidente, battaglioni di sofisti e azzeccagarbugli. Tutti intenti a dimostrare, carte e codici alla mano, la veridicità del falso, della contro-verità, tutti intenti – come già notava Alessandro Manzoni (1785-1873) a proposito del tentativo (fallito) di matrimonio clandestino tra Renzo e Lucia – a dimostrare che gli oppressori sono gli oppressi e che gli oppressi sono gli oppressori.
Ci vuole molto, invece, a prendere posizione nella guerra tra una democrazia e un’autocrazia? A quanto pare sì. Non tutti parteggiano senza riserve per la democrazia anche quando la ragione è al cento per cento dalla parte di quest’ultima. Si deve sempre eccellere nell’arte di cercare il pelo nell’uovo e/o di spaccare il capello in quattro. Nemmeno – per non allontanarci dal tema del conflitto scatenato da Mosca contro Kiev – quando si scoprono condotte disumane, come le deportazioni dei bambini ucraini ad opera delle truppe russe, i prevenuti contro l’Occidente democratico provano un moto di contrizione, un sentimento di ribellione verso la spietatezza dell’invasore. Cos’altro deve accadere perché si sveglino, perché sobbalzino le loro coscienze?
Purtroppo, come si diceva una volta, il problema è a monte. Purtroppo, l’anomalìa deriva da due pregiudizi collegati, più duri di un blocco di cemento: l’opposizione preconcetta all’America e l’opposizione ideologica alla società aperta, quella garantita dalla democrazia liberale, che richiede senso di responsabilità e autonomia personali. E, come insegnava il grande Albert Einstein (1879-1955), è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio. Figuriamoci quando i pregiudizi sono due.