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Alcide De Gasperi e la sua eredità ideale. L’intervento di Chiapello

Di Giancarlo Chiapello

Essere degasperiani oggi significa riprendere un cammino secondo la direttrice da lui indicata tornando a vivere la politica come missione che supera destra e sinistra e punta dritto verso la giustizia sociale. L’intervento di Giancarlo Chiapello, segreteria nazionale Popolari/Italia Popolare

Il 3 aprile 1881 nasceva a Pieve Tesino il leader democratico cristiano che sarà Padre della Ricostruzione dell’Italia e della Costruzione della Comune Casa Europa, Alcide De Gasperi.

Negli ultimi due decenni la sua eredità ideale, il testimone popolare e democratico cristiano, che è impastato della sua testimonianza, ha iniziato a girare a vuoto in mano ad una vecchia generazione post democristiana desiderosa di trovare una giustificazione ai propri errori: caso eclatante il tentativo di piegare la frase “partito di centro che guarda a sinistra…” per far pensare che fosse legata alla sinistra partitica con cui confluire e non come era, come confermato tra gli altri dalla figlia Maria Romana De Gasperi, alle istanze sociali in concorrenza proprio con comunisti e socialisti.

La sua è stata una vocazione politica straordinaria che non può essere “rimaneggiata” ma accolta: anche se fa piacere che coloro che per venti anni sono finiti a fare i liberali prima e i socialisti poi, giustificando di volta in volta la cosa con idee artefatte come partito plurale, contaminazione, frontismo, politica di centro, ecc., oggi, rimasti per così dire appiedati, tentino di rinobilitarsi con richiami degasperiani, ma occorre capire la direzione non tattica bensì strategica.

Quest’ultima è ben comprensibile in un passaggio di un discorso, rivolto alle sinistre, del grande statista al Senato della Repubblica del 15 novembre 1950 che pone tre parole essenziali per il popolarismo centrato sull’idea democratico cristiana, Europa, giovani, pace: “Ora io credo che la federazione europea sia quella la cui possibilità di pratica realizzazione è la più vicina. Qualcuno ha detto che la federazione europea è un mito. È vero, è un mito nel senso soreliano. E se volete che un mito ci sia, ditemi un po’ quale mito dobbiamo dare alla nostra gioventù per quanto riguarda i rapporti fra Stato e Stato, l’avvenire della nostra Europa, l’avvenire del mondo, la sicurezza, la pace, se non questo sforzo verso l’unione? Volete il mito della dittatura, il mito della forza, il mito della propria bandiera, sia pure accompagnato dall’eroismo? Ma noi, allora, creeremmo di nuovo quel conflitto che porta fatalmente alla guerra. Io vi dico che questo mito è mito di pace: questa è la pace, questa è la strada che dobbiamo seguire”.

Qui si trova anche l’originalità del miglior pensiero politico di cattolici italiani, che ha la capacità di colleganza col magistero sociale della Chiesa ribadito da papa Francesco, che urgentemente deve tornare a essere protagonista del dibattito in corso negli ambienti politici e culturali legati al Partito Popolare Europeo anche per la sua portata
euromediterranea senza la quale la costruzione europea rimarrebbe claudicante e caratterizzata da una frugalità fine a se stessa e semplicemente influenzata dall’anglosfera: su questo punto si ricostruisce un elemento assai degasperiano, la capacità di dialogo, interazione, connessione, messa a terra degli ideali, dell’autonomia della vocazione laicale (che attualmente conosce una schizofrenia palese tra protestantizzazione dei conservatori e clericalizzazione dei progressisti), con l’arcipelago cattolico bisognoso di ponti in grado di sanare fratture del tutto ideologiche.

Serve ritrovarsi, innanzitutto in Europa e con i giovani, intorno ad un pensiero, che forgia anche leadership, purché nuove, che quello che ad esempio appassionò intorno a Sturzo persone come il nostro trentino, il giovane Pier Giorgio Frassati al Congresso di Torino del Partito Popolare Italiano che si tenne cento anni fa tra il 12 ed il 16 aprile, ma occorre trovare uno stile che dovrebbe essere quello della dissidenza che è caratterizzata dal non conformismo: la storia di De Gasperi è stata alla fine ben poco conformista (è il coraggio di un cristiano!) e certo moralismo e politicismo, quel moderatismo da operetta che sono stati assunti per sopravvivenze individuali conformate al sistema polarizzato a cui andare a servizio, in cambio del mantenimento di strapuntini di agibilità
gentilmente concessi, vanno abbandonati. Come capirlo? Con un pensiero di un intellettuale russo, Sergei Sergeevic Averincev: “Ha scritto San Paolo nell’Epistola ai Corinzi ‘nolite conformari’, non conformatevi. È il conformismo che rovina le anime. Ogni bellezza in ogni tempo, a Bisanzio come nella Russia zarista, in età sovietica come nel caos neocapitalista, si realizza contro la corrente, à rebours. Ma occorre fare attenzione al conformismo dell’anticonformismo, alla retorica della ribellione, che ha contagiato l’intelligencija russa protorivoluzionaria. Non c’è affatto bisogno di essere ribelli o rivoluzionari, ci si può non conformare quietamente, tra le crepe del muro che ci circonda, sotto la superficie. Morale, estetica, fede autentiche non sono necessariamente ribelli, ma sempre saranno non-conformiste”.

Ecco, essere degasperiani oggi è un po’ questo e intorno a ciò è possibile riprendere un cammino secondo la direttrice da lui indicata tornando a vivere la politica come missione che supera destra e sinistra e punta dritto verso la giustizia sociale.

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