Dall’Ungheria non arriva uno scambio di opportunità tra Pontefice e primo ministro, come qualcuno potrebbe banalizzare, ma da parte del primo c’è una sorta di sistematizzazione di quella che laicamente potremmo definire piattaforma politica e geopolitica espressa in una terra strategica. L’idea di Francesco è quella di “un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dove vi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia, perseguite con attenzione in questo Paese, dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno”
Su La Stampa di qualche giorno fa Marcello Sorgi ragionando di “politica cattolica da ricostruire” dava notizia di un gruppetto di personaggi (Amato, De Rita, Antonetti, Giovagnoli, Pombeni, Paglia) che riunitisi provavano a rispondere alla domanda “ricostruttiva” del gesuita Occhetta, facendo riferimento al “Codice di Camaldoli”: richiamando la lettera del cardinal Zuppi, presidente della Cei, ad essi rivolta, l’editorialista cita l’espressione lì ripresa proprio del Santo Padre, “amore politico” e afferma: “Così, anche se Zuppi non lo dichiara apertamente, l’ostacolo a una nuova stagione di coinvolgimento, a uno o più partiti cattolici da fondare o rifondare, potrebbe rivelarsi proprio il Pontefice argentino, insieme vicino e lontano dalla complessa realtà italiana”. Tralasciando ogni considerazione sul contenuto delle riflessioni del gruppetto, come riportate, che danno l’impressione, non me ne vogliano, di essere un pochetto datate va ricordato che Camaldoli fu possibile perché si ritrovarono personalità accomunate dalla stessa visone sociale cristiana, dalla stessa fede, da una “amicizia cristiana” (che poi è riassumibile in quel dovere all’identità, che permette il dialogo, di cui ha parlato Papa Francesco e dentro cui penso sia inquadrabile l’amore politico) che non persero tempo a elucubrare contro qualcuno, neanche contro il fascismo al tramonto o il comunismo, pericolo all’orizzonte, in una sorta di spinta frontista, avendo un’idea di “democrazia cristiana” da perseguire che precedeva la realizzazione partitica, tanto che produssero una sorte di matrice della Costituzione che sarebbe venuta, portata dai costituenti democristiani.
Detto ciò, però, è interessante la domanda di Sorgi che scaturisce: il Pontefice sarebbe un ostacolo per un nuovo protagonismo politico di cattolici in politica? Se interpretassimo la cosa secondo la divisione tra conservatori, in via di protestantizzazione e progressisti, fortemente clericalizzati, in una sorta di grande eterogenesi dei fini, probabilmente la risposta non potrebbe essere che affermativa: serve sminuzzare il magistero del regnante pontefice per conservare, quasi manu militari, una frattura su cui pezzi di classe dirigente, che spesso è quella che disquisisce di “ricostruzioni”, comunque, ha prosperato per quasi un trentennio. Il viaggio in Ungheria, però, manda i progetti di tali guardiani a “carte quarantotto” e ribalta la risposta: Papa Francesco non è un ostacolo se il suo magistero non viene fatto a fette o reinterpretato secondo gli schemi utilitaristici dei due fronti o con traduzioni in sedicenti “dialetti vaticanesi”.
Da questo punto di vista l’unitarietà, sul piano laico della politica, necessita di una possibile messa a terra da parte di un pensiero coerente come il popolarismo, soprattutto a livello europeo radicato in quella democrazia cristiana dei Padri Fondatori, altra cosa rispetto anche ad egregie singole presenze ridotte a fare mera obiezione di coscienza andando a servizio di altrui rivoluzioni, riconoscendo che il suo magistero, all’opposizione dello stato delle cose, fa riconquistare alla politica, che è comunque farsi parte quindi non può rimanere incompiuta in inquadramenti apolitici o prepolitici, una dimensione alta e al mondo cattolico una difesa da infiltrazioni e settorializzazioni che lo hanno reso irrilevante (si pensi alla svolta socialista francese che di fatto annullò la Dc e l’Azione Cattolica, come esempio storico da non seguire). Dall’Ungheria non arriva uno scambio di opportunità tra Pontefice e Primo Ministro, come qualcuno potrebbe banalizzare, ma da parte del primo c’è una sorta di sistematizzazione di quella che laicamente potremmo definire piattaforma politica e geopolitica espressa in una terra strategica.
Nel discorso al mondo universitario e culturale ungherese ritroviamo le fondamenta, chiaramente in piena continuità con tutta la tradizione cattolica, rappresentate dalla libertà: “C’è una falsa idea di libertà: quella del comunismo era una “libertà” costretta, limitata da fuori, decisa da qualcun altro; quella del consumismo è una “libertà” libertina, edonista, appiattita su di sé, che rende schiavi dei consumi e delle cose…quanto è facile passare dai limiti imposti al pensare, come nel comunismo, al pensarsi senza limiti, come nel caso del consumismo. Invece Gesù offre una via d’uscita, dicendo che è vero ciò che libera l’uomo dalle sue chiusure. La chiave per accedere a questa verità è un conoscere mai slegato dall’amore, relazionale, umile e aperto, concreto e comunitario, coraggioso e costruttivo”.
Su queste fondamenta è possibile comprendere l’insieme di quanto il Papa ha espresso relativamente all’impegno per la pace, che porta con sé una visione originale dell’Europa: due passaggi sono da mettere in fila, “ritrovare l’anima europea: l’entusiasmo e il sogno dei Padri Fondatori, statisti che hanno saputo guardare oltre il proprio tempo, oltre i confini nazionali e i bisogni immediati, generando diplomazie capaci di ricucire l’unità, non di allargare gli strappi”, “penso dunque ad un’Europa che non sia ostaggio delle parti, diventando preda di populismi autoreferenziali, ma che nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, dimenticando la vita dei popoli”.
Il completamento della “piattaforma” arriva con il terzo passaggio fondamentale che fa comprendere come non si possa, per quieto vivere, cedere al transumanesimo, ad una svolta woke, alle mediazioni al ribasso sulla vita, che significa anche far discendere una visione economica: “La via nefasta delle “colonizzazioni ideologiche”, che eliminano le differenze, come nel caso della cosiddetta cultura gender, o antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà, ad esempio vantando come conquista un insensato “diritto all’aborto”, che è sempre una tragica sconfitta. Che bello invece costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dove vi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia, perseguite con attenzione in questo Paese, dove nazioni diversesiano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno”. Possiamo dire che il Pontefice è già andato a Camaldoli, i cattolici lo raggiungano e i Popolari si mettano a disposizione.