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Il 1° maggio, le politiche del lavoro e Donat-Cattin al ministero…

Parlando di temi del lavoro, il pensiero corre velocemente a chi ha saputo, in momenti storici forse anche più drammatici e difficili di quelli contemporanei, legare i diversi tasselli in un grande ed efficace progetto politico. E il ruolo svolto, ad esempio, da Carlo Donat-Cattin come ministro del Lavoro e dell’allora previdenza sociale, per non parlare come ministro dell’Industria. Fu certamente decisivo e determinante nel come si affrontavano i temi legati al lavoro difendendo innanzitutto i lavoratori e la loro dignità

Quando si parla del 1° maggio, com’è ovvio e scontato, si parla anche e soprattutto su come difendere il lavoro e su come creare lavoro nella società contemporanea. E su questi temi si misurano i progetti dei vari partiti e schieramenti politici. E il 1° maggio di quest’anno, al di là e al di fuori delle polemiche interessate e strumentali della sinistra massimalista e radicale di Elly Schlein e dei populisti di 5 Stelle, ha segnato un “colpo” del governo Meloni importante e significativo facendo seguire un progetto politico ai soli annunci propagandistici. Dopodiché, ci sarà modo e tempo per approfondire il progetto governativo e di migliorarlo. Senza, però, le ormai solite e stantie pregiudiziali ideologiche, politiche e personali a cui ormai siamo tristemente abituati nella politica italiana.

Ora, però, e senza alcuna tentazione nostalgica e di passiva esaltazione del passato, nessuno vuole guardare avanti con la testa rivolta all’indietro. Una vulgata, questa, che coinvolge le persone che, seppur inconsapevolmente, non credono più nel futuro. Ma, fatta questa premessa, non possiamo non evidenziare che proprio la festa del 1° maggio ci fa tornare in mente quelle stagioni politiche dove la Festa del Lavoro non era solo una passerella mediatica o provocatoria o di mera e selvaggia polemica politica come ormai assistiamo da troppi anni. Al netto del ruolo fondamentale e decisivo, sotto il profilo democratico e partecipativo, delle organizzazioni sindacali nel nostro paese. Certo, molto, se non tutto, dipende dalle singole fasi politiche e dalla classe dirigente che di volta in volta è deputata ad occuparsi delle politiche del lavoro e di tutto ciò che è riconducibile al lavoro: dall’incremento dell’occupazione alla crescita economica e produttiva, dalla difesa dei diritti sociali e dei lavoratori alla promozione e alla salvaguardia dei legittimi interessi delle classi e dei ceti popolari. Che esistevano ieri ed esistono, soprattutto, oggi.

E, parlando di questi temi, il pensiero corre velocemente a chi ha saputo, in momenti storici forse anche più drammatici e difficili di quelli contemporanei, legare questi diversi tasselli in un grande ed efficace progetto politico. E il ruolo svolto, ad esempio, da Carlo Donat-Cattin come ministro del Lavoro e dell’allora previdenza sociale dal 1969 al 1972 e dal 1989 al 1991, per non parlare come ministro dell’Industria fra il 1974 e il 1978, fu certamente decisivo e determinante nel come si affrontavano i temi legati al lavoro difendendo innanzitutto i lavoratori e la loro dignità, favorendo al contempo la crescita e la produttività e, infine, esaltando i diritti sociali attraverso una straordinaria capacità di negoziazione e di contrattazione con le parti sociali. Certo, parliamo, come tutti sanno e anche per chi lo nega, di un leader e di uno statista. Ma, al di là del profilo politico, culturale e sociale di Donat-Cattin, è indubbio che parliamo di stagioni dove la politica contava, era visibile, protagonista, non appaltava ad altri poteri il suo ruolo specifico e non era rappresentata ed interpretata da improvvisatori o da tecnocrati del tutto avulsi dal contesto in cui dovevano operare e proporre. Da Di Maio a Fornero – per citare solo due personaggi che hanno incarnato quei profili negli ultimi tempi e, purtroppo, ricoperto anche quegli incarichi ministeriali prestigiosi – per non citarne molti altri, è di tutta evidenza che attraverso il ministero del Lavoro non si è più riusciti progressivamente a centrare quegli obiettivi che nel passato era possibile perseguire ma con un’altra classe dirigente.

Per questi motivi, e per tornare alla sempre importante e nobile Festa del Lavoro, abbiamo tremendamente bisogno che nel nostro Paese ritorni la politica, la progettualità della politica e, soprattutto, la capacità di saper legare la difesa dei lavoratori, la qualità del lavoro con l’insopprimibile esigenza di creare lavoro, e quindi ricchezza, produttività e competitività. Certo, i tempi sono cambiati e le fasi politiche scorrono rapidamente. E nessuno, al riguardo, può lontanamente immaginare di riavere quella classe dirigente di cui Donat-Cattin era un autorevole e qualificato rappresentante. Ma almeno una classe dirigente che sia credibile, preparata e, soprattutto, con una chiara e netta capacità e cultura di governo quello lo possiamo pretendere. E proprio la festa del 1° maggio, tra le molte altre cose, ci ricorda anche che questo nodo andrà sciolto quanto prima.



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