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Non serve il memorandum per lavorare con Pechino. Intervista a Calovini (FdI)

“Il massiccio potenziamento dell’export italiano non si è materializzato”, spiega il deputato suggerendo al governo di non rinnovare la Via della Seta. “Il Global Combat Air Programme rappresenta un chiaro segnale di come l’Italia, nonostante cerchi di mantenere dei visibili legami commerciali con la Repubblica Popolare, stia allo stesso tempo prendendo consapevolezza delle possibili implicazioni delle sfide geopolitiche, regionali e internazionali, determinate dall’ascesa cinese”, aggiunge

“Ritengo che non sia necessario rinnovare questo memorandum per poter lavorare con Pechino”, dice Giangiacomo Calovini, deputato di Fratelli d’Italia e membro della commissione Esteri della Camera, in questa intervista a Formiche.net sulla politica italiana nell’Indo-Pacifico.

Il Global Combat Air Programme nasce con l’intento di Italia, Regno Unito e Giappone per realizzare un jet di nuova generazione. Ma fotografa anche la sempre più forte connessione tra i quadranti euro-atlantico e indo-pacifico nella Difesa, e non solo. Che cosa significa per il ruolo dell’Italia nell’Indo-Pacifico?

Lo sviluppo del progetto trilaterale Global Combat Air Programme fra Tokyo, Londra e Roma (in una partnership su base egualitaria) ha un forte valore simbolico oltre che politico. Il Global Combat Air Programme è difatti il primo programma strategico-militare progettato da Paesi alleati degli Stati Uniti che non prevede un intervento in primo piano di questi ultimi. La presenza del nostro Paese nel programma minilaterale rappresenta un passo cruciale nel processo di determinazione di una linea strategica ufficiale del Paese per la regione dell’Indo-Pacifico. La partnership trilaterale del Global Combat Air Programme rappresenta un chiaro segnale di come l’Italia, nonostante cerchi di mantenere dei visibili legami commerciali con la Repubblica Popolare Cinese, stia allo stesso tempo prendendo consapevolezza delle possibili implicazioni delle sfide geopolitiche, regionali e internazionali, determinate dall’ascesa cinese.

A fine anno il Giappone passerà il testimone della presidenza del G7 all’Italia. Questa occasione può rappresentare un’ulteriore spinta per la presenza italiana nell’Indo-Pacifico?

A partire dal 2011, anno in cui è stato proposto per la prima volta il concetto americano di “Pivot to Asia” dall’amministrazione Obama, i Paesi europei hanno iniziato a interessarsi gradualmente alla regione dell’Indo-Pacifico. Nonostante la percezione nel dibattito internazionale di un marginale interesse italiano per l’area dell’Indo-Pacifico, Roma ha progressivamente aumentato il suo coinvolgimento nella regione. La graduale presenza italiana nelle dinamiche dell’area è stata evidenziata in diverse occasioni e durante il Governo Meloni l’interesse per l’area non ha subito un arresto ma anzi pare intensificarsi grazie alle due partnership di rilevante valore strategico con il Giappone e l’India. Il passaggio di testimone a fine anno della presidenza del G7 dal Giappone all’Italia rappresenta, senza alcun dubbio, una tappa fondamentale nel progressivo coinvolgimento dell’Italia nella regione dell’Indo-Pacifico nelle dimensioni tanto economiche quanto strategico-militari.

Nei giorni scorsi James Cleverly, ministro degli Esteri britannico, ha pronunciato un articolato discorso sul rapporto con la Cina: “proteggere la nostra sicurezza nazionale, restare allineati con i nostri amici, impegnarsi e commerciare con la Cina laddove i nostri interessi convergono, evitare una politica per frasi fatte e difendere sempre i valori universali che la Gran Bretagna ha a cuore”. Può essere una ricetta valida anche per l’Italia?

Nel discorso pronunciato dal ministro degli Esteri britannico sulle relazioni con la Repubblica Popolare Cinese si evince il tentativo di conciliare obiettivi di sicurezza nazionale, e responsabilità nei confronti dei Paesi alleati, con obiettivi di cooperazione economica con Paesi come la Repubblica Popolare Cinese. Anche l’Italia, così come il Regno Unito, sta intraprendendo sforzi simili per armonizzare le due necessità. Se da una parte, infatti, tende a prediligere l’utilizzo di una strategia incentrata sul dialogo e la cooperazione, dall’altra non vengono messi in secondo piano obiettivi di difesa nazionale. La tendenza pertanto è quella di bilanciare politiche di cooperazione e dialogo con obiettivi di sicurezza nazionale.

A proposito di Regno Unito, la scorsa settimana settimana Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, è stata in missione a Londra e ha firmato un memorandum d’intesa sulla Cooperazione bilaterale assieme a Rishi Sunak, primo ministro britannico. È un nuovo inizio per le relazioni tra i due Paesi?

Le relazioni tra i due Paesi sono sempre state eccellenti ma la stima reciproca che lega Meloni e Sunak è certamente un valore aggiunto di non poco conto. Il Regno Unito è un Paese fondamentale per il nostro export, per le nostre alleanze globali (vedi Nato) ed è un Paese che ospita centinaia di migliaia di nostri connazionali sempre più impegnati in settori strategici come la sicurezza, la sanità e l’informatica. Mantenere un ottimo rapporto con Londra è un dovere e il governo italiano di certo non mancherà questo obiettivo.

Il tempo per una decisione sul rinnovo del memorandum d’intesa sulla Via della Seta con la Cina scade a fine anno. Come si muoverà il governo in cui Fratelli d’Italia è primo partito?

Fratelli d’Italia ha sempre sollevato perplessità sul Memorandum che prometteva guadagni economici a fronte di una sostanziale adesione politica al progetto della Nuova via della Seta. A oggi, il massiccio potenziamento dell’export italiano verso la Repubblica Popolare Cinese non si è materializzato, complice ovviamente anche la pandemia da Covid-19, e il contesto internazionale pone nuove sfide. Non vi è ancora una decisione ufficiale da parte del governo e l’esecutivo ha il dovere di valutare ogni aspetto prima di decidere come comportarsi ma personalmente ritengo che non sia necessario rinnovare questo memorandum per poter lavorare con Pechino.

Nei giorni scorsi il ministero degli Esteri taiwanese ha annunciato l’apertura di un “Ufficio di rappresentanza di Taipei in Italia-Ufficio di Milano”, la seconda sede di rappresentanza in Italia dopo Roma. Che segnale è per l’Italia?

L’“Ufficio di Milano” sarà, come ha ricordato lei, la seconda sede di rappresentanza di Taiwan in Italia. L’obiettivo primario dell’apertura immagino sia quello di favorire e sviluppare gli scambi commerciali fra l’Italia e Taiwan e questo non può che far bene alle nostre aziende. Le ovvie relazioni diplomatiche ufficiali con Pechino non possono in alcun modo precludere gli scambi sociali, culturali ed economici con un player fondamentale come Taiwan nello scacchiere Indo-Pacifico. Nell’ottica di un maggiore interesse che questo Governo sta promuovendo verso tutta l’Asia, infatti, anche la relazione con Taipei risponde all’esigenza di diversificare il portfolio economico e commerciale italiano.

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