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Il G7 della diplomazia per la pace nell’Indo Pacifico. Parla Yabunaka

A pochi giorni dal G7 di Hiroshima, Mitoji Yabunaka, viceministro degli Affari Esteri del Giappone dal 2008 al 2010, spiega a Formiche.net cosa aspettarci dal summit, il dialogo con la Cina per la sicurezza nell’Indo Pacifico, Taiwan, l’Ucraina e il futuro delle relazioni Italia-Giappone

Mitoji Yabunaka è stato viceministro degli Affari Esteri del Giappone dal 2008 al 2010, servendo sotto quattro premier. Nel corso della sua lunga carriera diplomatica ha rappresentato il suo Paese ai tavoli negoziali di accordi commerciali con gli Stati Uniti, di controversie territoriali con la Cina nel Mar Cinese Orientale e ha guidato la delegazione giapponese al Dialogo dei Sei per fermare il programma nucleare della Corea del Nord. In questa intervista a pochi giorni dal G7 di Hiroshima, Yabunaka spiega cosa aspettarci dal summit, il dialogo con la Cina per la sicurezza nell’Indo-Pacifico, e il futuro delle relazioni Italia-Giappone.

Il primo ministro giapponese Fumio Kishida ha detto che l’Ucraina è il futuro dell’Asia. Ad oggi come stanno le cose?

È una lettura semplificatoria. Ciò che è successo in Ucraina è devastante. Sembrava impensabile che un membro del Consiglio di Sicurezza dell’ONU nel ventunesimo secolo abbia invaso un altro paese. L’aggressione della Russia va condannata e la popolazione ucraina va supportata. Questa invasione ha portato grande preoccupazione nell’opinione pubblica giapponese. I nostri vicini non rispettano il diritto internazionale, e i giapponesi vedono Cina e Corea del Nord come dei possibili nemici pericolosi. In questo clima in cui i cittadini dicono che dobbiamo prepararci al peggio la decisione del governo Kishida di aumentare la spesa militare al 2% del e dotarsi di capacità di contrattacco ha trovato grande supporto.

Pensa quindi che questa nuova politica di difesa guardi al consenso popolare? Come giudica la decisione del governo di Kishida?

Kishida viene da un passato politico liberale, ma una volta diventato premier si è allineato alle posizioni dei conservatori che supportano questa politica di difesa. Questo lo si deve al consenso che questa politica trova in Giappone. Il governo ascolta le preoccupazioni della gente, ma così gioca un gioco pericoloso. Personalmente contesto questa decisione. Concordo che il budget andasse aumentato, ma raddoppiare così drammaticamente e prepararsi al contrattacco non garantisce la sicurezza giapponese. I pilastri della nostra sicurezza non sono solo le nostre armi, ma anche il trattato Trattato di mutua cooperazione e sicurezza con gli Stati Uniti. Dobbiamo quindi dimostrare al mondo che l’alleanza con l’America è forte. Ad oggi i giapponesi dubitano l’impegno militare degli Stati Uniti in caso di rischio per la sicurezza giapponese. Io sono sicuro che Washington verrebbe in nostro aiuto, ma Giappone e Stati Uniti devono mandare un messaggio a Cina e Corea del Nord: se il Giappone venisse attaccato con armi nucleari, l’America risponderebbe ugualmente. È un’alleanza cruciale, che ci piaccia o no.

Una questione calda per la sicurezza della regione, che vede coinvolti Cina e Stati Uniti si trova nello stretto di Taiwan. Qual è la posizione del Giappone a riguardo? Secondo lei la nuova politica di Kishida è un messaggio a Pechino?

Il Giappone non può difendere Taiwan in caso di attacco cinese, c’è un divario militare troppo grande. Una controffensiva giapponese partirebbe solo in caso il Paese fosse attaccato e la sua sopravvivenza fosse a rischio. Per il Giappone la pace nello stretto di Taiwan è essenziale. Credo che la Cina sia più interessata al suo sviluppo domestico che a un coinvolgimento militare. Il tempo è dalla loro parte, possono aspettare 20 anni, e sono molto cauti a non provocare ripercussioni a meno che non siano spinti a intervenire. In questo scenario diventano problematici sia il movimento indipendentista taiwanese sia l’azione diplomatica sconsiderata degli Stati Uniti, guidata dai vertici militari americani determinati a mostrare al mondo che Taiwan è uno stato indipendente. Al momento non vedo una soluzione da nessuna delle due parti, ma i tentativi di dialogo sono incoraggianti.

Lei in diverse occasioni è stato ai tavoli delle trattative tra il suo Paese e Cina, Stati Uniti e Corea del Nord. Che strategia dovrebbero adottare il Giappone e i suoi alleati verso Cina e Corea del Nord per risolvere le dispute internazionali?

La diplomazia. Il governo Kishida sa che è la strada da percorrere, e va di pari passo all’impegno giapponese per la non-proliferazione nucleare. Il dialogo è essenziale per evitare ogni genere di invasione come quella russa o altri sviluppi catastrofici. Dobbiamo parlare con la Cina, ingaggiare in discussioni approfondite e coltivare comprensione e fiducia reciproca. Con la Corea del Nord è più difficile, ma se vogliamo fermare il programma missilistico che ci minaccia dobbiamo coinvolgere Cina e Stati Uniti, come fatto in passato. La Cina si sta dimostrando aperta a dialogare con il Giappone, hanno proposto di discutere un trattato del 2008 per risolvere le nostre dispute nel Mar Cinese Orientale. Ma l’opinione pubblica giapponese ha un pessimo parere della Cina e quindi il governo esita ad interagire.

In questo senso il prossimo G7 che il governo di Kishida ospiterà a Hiroshima può essere fondamentale. Cosa pensa potranno ottenere gli Stati membri? Come giudica i risultati degli ultimi incontri ministeriali?

Sono rimasto positivamente sorpreso dal tono costruttivo verso la Cina mostrato dai ministri degli affari esteri nel loro incontro di Karuizawa. Il comunicato finale parla di “coinvolgimento” della Cina per relazioni stabili e costruttive, una politica molto positiva. È una dizione di Kishida, che ha spinto gli alleati verso questa politica dopo averla coniata in un vertice con la Cina lo scorso novembre. Non sono però sicuro che ciò sarà confermato nelle decisioni finali di Hiroshima. I ministri hanno poi ribadito la necessità di un “Indo-Pacifico libero e aperto”, basato sul rispetto del diritto internazionale, e questo sarà un tema centrale della dichiarazione finale dei leader a Hiroshima. Alla Cina non va bene, così come non gradisce la nuova dichiarazione che la pace nello stretto di Taiwan è importante per la pace globale, ma le prime reazioni da Pechino sono state tiepide. I membri del G7 riconoscono la politica ‘Unica Cina’, ma chiedono che la questione di Taiwan sia risolta pacificamente. Il governo cinese è al corrente, e secondo me non è una contraddizione. Spero che a Hiroshima venga riconfermato quanto deciso a Karuizawa, se possibile con maggior compattezza.

Un altro tema centrale del G7 sarà il disarmo nucleare. Nel 2009 lei era viceministro degli esteri e consigliò al presidente americano Obama, di passaggio in Giappone, di non visitare Hiroshima e di non scusarsi per l’atomica. Come andò quell’episodio e quale messaggio ne può trarre il G7 di maggio?

Fu un’incomprensione, l’ambasciatore americano a Tokyo riportò male le mie parole e poi si scusò. Obama doveva venire in Giappone per una breve visita e mi chiesero la mia opinione su un suo possibile passaggio a Hiroshima e messaggio di scuse. Io lo sconsigliai, perché in una visita breve il messaggio non sarebbe stato abbastanza forte. Rilanciai proponendo una visita tematica fondamentale in cui il presidente americano prendesse una posizione sostanziale per un mondo libero dalle armi nucleari. Questo è quello che dovrebbero fare i leader del G7 a Hiroshima. Un forte e netto impegno per il disarmo nucleare. Le persone pensano che sia contraddittorio che il Giappone chieda il disarmo vivendo sotto la protezione delle testate americane, ma non è così. La protezione americana è un fatto, la campagna del Giappone per il disarmo è legittima, oltre che un dovere per i trattati internazionali. In più viviamo in un mondo pericoloso, l’arsenale nucleare cinese è in espansione, Putin ha minacciato di disporre armi nucleari tattiche in Bielorussia. Il G7 deve essere molto deciso su questo e mandare un segnale a Cina, Russia e Corea del Nord.

Il G7 resta un forum rilevante per risolvere le questioni globali? Di fronte alla contesa tra Cina e Stati Uniti, in particolare nell’Indo Pacifico, che ruolo possono avere i Paesi dell’Unione Europea?

Non viviamo in un mondo bipolare. Stati Uniti e Cina non sono abbastanza forti per risolvere le questioni globali, c’è bisogno di una partecipazione multipolare. Allo stesso modo le istituzioni globali come l’Onu e il G20 voluto da Obama sono in crisi, non riescono a produrre risposte costruttive. Del G7 non sono convinto. Servono istituzioni con meno partecipanti ma che includano anche le richieste di ascolto del Sud Globale. Ai G8 a cui partecipai come sherpa nel 2005 e 2006 si unirono i paesi emergenti del ‘G5’: Cina, India, Brasile, Messico e Sudafrica. In questo senso la scelta di invitare l’India a Hiroshima è positiva. La politica commerciale degli Stati Uniti verso la Cina è molto dura, e il Giappone deve lavorare con entrambi per trovare spazio di manovra sulle questioni globali, non solo seguendo gli Usa. Per questo serve l’aiuto di altri paesi verso una posizione di compromesso. Il crescente coinvolgimento dei paesi europei nell’Indo-Pacifico è molto incoraggiante. Paesi come Francia e Germania hanno interessi in comune al Giappone rispetto ai mercati cinesi, e dovrebbero lavorare assieme per una relazione bilanciata con Pechino.

A cominciare da una soluzione alla guerra in Ucraina?

La Cina può rivelarsi molto utile nel negoziare un risultato che soddisfi le garanzie di sicurezza dell’Ucraina. Kiev non potrà entrare nella Nato e gli accordi di Minsk non funzionano. L’unico modo di garantire la sovranità e la sicurezza dell’Ucraina è un accordo diplomatico con gli Stati Uniti che obblighi la Cina a opporsi alla Russia in caso di una nuova invasione.

Di recente Italia e Giappone hanno innalzato i loro rapporti a partenariato strategico e siglato un accordo per sviluppare un aereo da guerra di nuova generazione (Gcap). In che modo questa alleanza tra i governi Meloni e Kishida può incidere sulle questioni globali che abbiamo discusso.

Si tratta di una relazione importantissima per gli equilibri globali, perché nasce da due medie potenze che non detengono armi nucleari. Italia e Giappone possono costituire nella comunità internazionale una leadership che non sia né cinese né americana, assieme ad altri nostri alleati come Francia e Canada. Tra i nostri governi c’è rispetto reciproco e insieme possiamo lanciare un invito per un mondo aperto alla diplomazia, evitando escalation militari che sono molto pericolose. Per realizzare questo servono anche gli aerei da guerra che costruiremo grazie al Gcap. Questa è la realtà delle sfide globali che dobbiamo affrontare, ed è sempre meglio allargare gli orizzonti della cooperazione internazionale.

Cosa pensa della politica estera della premier Meloni nell’Indo Pacifico?

Giorgia Meloni da quanto è diventata premier ha scelto un approccio pragmatico alle diverse sfide, e questo è un segnale incoraggiante. Darà un contributo importante alle discussioni del G7. Durante i G8 del 2005 e del 2006, a cui partecipai nella delegazione del premier Junichiro Koizumi, ricordo di aver lavorato bene con il governo Berlusconi, ci fu un bilaterale positivo. Quello del 2006 fu l’ultimo summit ospitato dalla Russia. Oggi la situazione globale è differente, e le sfide di Meloni e Kishida sono molto diverse da quelle di Berlusconi e Koizumi. Entrambi i leader soffrono per problemi interni, e il mondo di oggi è più variegato, polarizzato e pericoloso.

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