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Phisikk du role – Il metodo Giorgia per la Grande Riforma

Una maniera per evitare sia una bicamerale (già il nome richiama vari tentativi falliti) sia una riforma a colpi di maggioranza (Berlusconi e Renzi insegnano), ci sarebbe: ridare la parola agli italiani per eleggere una piccola costituente, limitata alla organizzazione dello Stato. Metodo proporzionale con voto di preferenza, perché gli elettori devono poter guardare in faccia i propri rappresentanti

La presidente del Consiglio si accinge a fare le sue consultazioni con le forze d’opposizione intorno alla questione delle riforme costituzionali. Come la pensa il centro destra in merito è cosa nota: obiettivo presidenzialismo. Come la pensano le opposizioni è altrettanto noto: presidenzialismo no. Perlomeno per il Pd, Cinque Stelle e la sinistra/sinistra. Più dialogante la terra di mezzo di Renzi e Calenda. Il gesto dialogico dell’on. Meloni è formalmente iscritto nel galateo istituzionale, nulla da dire: si vuol mettere mano ad una riforma costituzionale d’impianto e, dunque, oltre alla numerosità del consenso parlamentare richiesta dalla procedura di una Carta “rigida”, c’è la necessità “politica” di condividerla con un arco che non coincida solo con quello della maggioranza di governo. La Costituzione- così come la legge elettorale- è di tutti e non della sola maggioranza, ancorché autosufficiente con i numeri richiesti dall’articolo 138. Dunque bisogna trovare una base di consenso, innanzitutto sul “modo”, sulla procedura. Si è parlato di Commissioni bicamerali, espressione che reca in se’ una specie di maledizione di Tutankhamen.

In realtà con quel nome si ricordano tre prodigiosi insuccessi che, a partire dagli anni ’80, recarono i nomi di Bozzi, Iotti-De Mita e D’Alema, più una Convenzione per le Riforme, avviata dal Governo Letta con la benedizione del Capo dello Stato Napolitano. Tutte le esperienze svilupparono un’importante accumulazione documentale, interessante per gli studiosi ma non in grado di produrre qualcosa sul piano delle riforme. E si capisce anche il perché: il lavoro delle bicamerali, secondo l’art.138 Cost., ritorna alle Camere, dove le maggioranze sono quelle che sostengono il governo. Domanda: si può giungere alla norma condivisa da tutti se a regolare il traffico è la stessa maggioranza politica votata dai cittadini per sostenere il governo? Certo che no. A maggior ragione non è consigliabile fare riforme d’impianto alla maniera di Berlusconi o Renzi, entrambi provvisti di larghe maggioranze a sostegno del governo. Berlusconi varò una riforma organica provvista anche di suggestioni presidenzialistiche, che venne bocciata dal referendum nel 2006; ci riprovò Renzi, con una vasta riforma che, tra l’altro, toglieva l’ingombro delle Province, del CNEL e del bicameralismo paritario, e subì la stessa bocciatura popolare nel 2016, rimettendoci palazzo Chigi e, sostanzialmente, anche il PD.

L’esperienza, dunque, chiarì l’inadeguatezza, almeno dal punto di vista politico, dello strumento predisposto dall’articolo 138 per una revisione costituzionale che non fosse di mera e limitata correzione dell’impianto attuale: gli stessi Costituenti immaginarono infatti l’inserimento della procedura di revisione non quale mezzo per ridisegnare l’intero ordinamento dello Stato. Tuttavia omisero di rimarcare il fatto con una distinzione esplicita tra la revisione parziale e quella totale, come invece avviene in alcune costituzioni come quella spagnola (artt.166 e segg.), austriaca (artt.44 e segg.) e svizzera (art.192 e segg.), che fanno riferimento a procedure diverse nel caso di interventi organici e profondi. Allo stesso tempo non è che non esista la necessità di una manutenzione intelligente, fedele ai principi ma attenta anche a cogliere i percorsi evolutivi del nuovo tempo. Discutendo senza pregiudizi, ma con “visione”, l’impianto di riforma e non col metodo usato, ad esempio, per la riduzione dei parlamentari, senza inquadrarla in una revisione più larga, che tenga conto delle conseguenze dei danni provocati da “salti” nella logica dell’impianto.

Una maniera, però, ci sarebbe: ridare la parola agli italiani per eleggere una piccola costituente, limitata alla organizzazione dello Stato. Metodo proporzionale- per consentire il pluralismo delle culture politiche-con voto di preferenza, perché gli elettori devono poter guardare in faccia i propri rappresentanti, un anno di tempo per lavorare, referendum popolare per sanzionare il patto finale col popolo. Un’utopia? Forse, se la politica si trincera nell’orto maleodorante del proprio modesto interesse. Una procedura inclusiva, invece, se la politica si apre, facendo così bene anche a se stessa.

Senza, resta solo la maledizione di Tutankhamen.

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