È stato presentato al Senato “Studiare intelligence” (Licosia), manuale di Andrea Canzilla che ha l’obiettivo di fornire una base accademica a chi già lavora nel settore o vuole avvicinarsi alla materia. All’incontro hanno partecipato l’autore, Enrico Borghi, Alberto Pagani, Umberto Saccone, Leonardo Tricarico, moderati da Giorgio Rutelli. Ecco il video della presentazione e gli estratti delle prefazioni di Pagani e Saccone
È stato presentato presso la Sala Nassirya del Senato il volume “Studiare Intelligence” (Licosia) di Andrea Canzilla, esperto di intelligence e geopolitica. All’incontro hanno partecipato Alberto Pagani, docente dell’Università di Bologna, ex presidente della commissione Difesa della Camera; Umberto Saccone, docente Luiss ed ex Sismi; Enrico Borghi, senatore di Italia Viva e membro del Copasir; Leonardo Tricarico, presidente Fondazione Icsa ed ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica; è stato moderato da Giorgio Rutelli, direttore di Formiche.net.
Il manuale, di tipo tecnico e non narrativo, affronta le molte dottrine nazionali e internazionali sull’intelligence. Ha lo scopo di dare una visione generale di sintesi all’operatore o a chi vuole avvicinarsi alla materia, creando un punto di riferimento per un eventuale insegnamento accademico sui moduli fondamenti e trasversalità dell’intelligence. Di seguito pubblichiamo gli estratti delle prefazioni firmate da Umberto Saccone e Alberto Pagani.
1. Cosa cambia (e cosa no) nell’intelligence contemporanea
Estratto dalla prefazione di Umberto Saccone
Appare oramai un truismo dire che il 90 per cento delle informazioni che i manager della politica desiderano conoscere per poter prendere decisioni informate sono praticamente pubbliche.
Questo è confermato anche nell’ambito privato dove giornalisti d’inchiesta, accademici, ricercatori, attingono al mondo delle open source dando valore alle loro ricerche.
La stessa Central Intelligence Agency (CIA) con il “Foreign Broadcast Information Service” (FBIS), della Direzione Scienza e tecnologia, monitorava, traduceva e diffondeva all’interno del governo americano notizie e informazioni apertamente disponibili. Nel novembre 2005 la struttura è confluita nell’Open Source Center (OSC) per poi diventare Open Source Enterprise (OSE), incorporato nella Divisione della Innovazione Digitale, come centro di eccellenza per la raccolta di dati pubblici.
È di dicembre 2022 la notizia che l’Agenzia ha nominato Randy Nixon direttore della Direzione Open Source dell’Agenzia. Un momento entusiasmante per il settore che viene arricchito, con le opportunità dell’intelligenza artificiale e dell’apprendimento automatico, di capacità di screening a livello mondiale. Tutto questo, come detto, può comunque soddisfare il 90 per cento della necessità informative ma è il restante 10 per cento che può essere cruciale per i decisori politici.
È su questo 10 per cento che si concentrano le attività di intelligence che, in uno con le c.d. “covert action”, costituiscono la struttura necessaria per le attività di influenza, disinformazione, sabotaggio, propaganda e ultimo ma non ultimo omicidi mirati. Per gli scettici mi permetto di ricordare, a mero titolo di esempio, l’assassinio, il 23 novembre 2006, dell’ex agente del KGB Aleksandr Litvinenko, avvelenato con qualche goccia di polonio radioattivo somministrato con una tazza di tè in un albergo londinese, o il fallito tentativo di uccidere, il 4 marzo 2018 a Salisbury, l’ex membro dell’intelligence russa Sergei Skripal, che per anni aveva passato informazioni ai servizi segreti del Regno Unito, e sua figlia Yulia, entrambi avvelenati con un agente nervino, il Novichok, sviluppato e prodotto dall’esercito russo. Una potente neurotossina sviluppata in Unione Sovietica prima e in Russia poi negli anni ’80 e ’90, che una volta inalata o entrata a contatto con la pelle può portare alla morte in pochi minuti.
Ma sono operazioni che sono nel DNA di alcune Intelligence e affondano le radici nella storia stessa dei Servizi Segreti. Difficile non ricordare la vicenda del c.d. “ombrello bulgaro”. Era il 7 settembre 1978 quando il noto scrittore e giornalista bulgaro Georgi Markov, voce dissidente di Radio Free Europe (RFE), viene urtato con un ombrello di uno sconosciuto sul ponte di Waterloo a Londra. Markov avverte un dolore acuto alla coscia destra, simile a una puntura, ma non ci fa troppo caso e si reca al lavoro. La sera stessa accusa febbre alta e dolore alla gamba colpita. L’11 settembre Georgi Markov muore per arresto cardiaco. L’autopsia rivela una microcapsula di platino e iridio nella sua coscia destra, contenente tracce di ricina, una potente cito tossina di origine vegetale, per la quale all’epoca non si conosceva un valido antidoto, presumibilmente iniettata nell’urto con l’ombrello dello sconosciuto.
Il 17 Luglio 2022, rispondendo ad una intervista di Luca Fazzo su “Il Giornale” sottolineavo come cambiano i regimi, le sigle dei servizi segreti, le motivazioni delle «talpe», i metodi, ma una cosa non cambia mai: la vecchia abitudine di Mosca di mettere le mani nelle cose italiane.
Aggiungevo poi che è nella natura delle cose, funzione basilare di ogni struttura di intelligence quella di darsi da fare per capire e influenzare quanto accade in paesi più o meno ostili. L’intero mondo occidentale era oggetto di queste operazioni ai tempi dell’Unione Sovietica, continua ad esserlo oggi da parte della Federazione Russa, e continuerà ad esserlo in futuro. Non c’è nessun motivo per cui l’Italia resti esente da queste manovre, anzi vista la sua sempre più forte collocazione atlantica rimane un obiettivo prioritario. E andrà sempre crescendo. Se possiamo ipotizzare che l’epoca della globalizzazione è finita e si va verso un mondo di blocchi contrapposti, è inevitabile presumere che in futuro l’aggressività dei servizi stranieri sarà sempre a maggiore intensità. È persino tautologico affermare che l’attacco militare scatenato il 24 febbraio 2022 contro l’Ucraina, dove l’Italia ha sottolineato il suo pieno sostegno all’integrità territoriale di Kiev, renderà ancora più necessario per la Russia effettuare operazioni clandestine nel nostro paese.
C’è una parte di attività che avviene e continuerà ad avvenire attraverso le sedi diplomatiche ufficiali, e poi c’è l’attività più insidiosa, che passa attraverso operazioni illegali come il reclutamento di soggetti in grado di fornire un contributo alla causa russa. Sono figure che corrispondono in genere a due profili: personaggi in grado di decidere, per il ruolo che rivestono in enti pubblici o privati, o personaggi in grado di influenzare. Oggi è questa seconda risorsa a essere particolarmente preziosa. Si parla tanto degli influencer, beh, anche i servizi segreti hanno i loro influencer.
Politici, giornalisti, tutti coloro che sono in grado sia di acquisire informazioni sia di condizionare le scelte dell’opinione pubblica, di orientare il convincimento delle persone, sono obiettivi di grande valore.
Le molle sono le solite. L’offerta sessuale resta sempre una formidabile arma di arruolamento. Altrettanto utile la passione per il denaro. Un bravo agente segreto ha la capacità di capire bene il punto debole del soggetto che vuole arruolare, e lavora su di esso progressivamente, giorno per giorno, fino a inghiottire il bersaglio nella rete. Il caso di Maria Adela Kuhfeldt Rivera, agente illegale del GRU, è da manuale. La sua identità inizia ad essere costruita nell’agosto del 2005 e nel 2017 la troviamo al Joint Force Command della NATO di Napoli con una identità sufficientemente solida da permetterle di intessere relazioni con esponenti delle Forze navali statunitensi. Quando la sua identità viene scoperta sparisce nel nulla, su un volo per Mosca, il 15 settembre 2018. Ma non dimentichiamoci tra le tante categorie di agenti i c.d.“utili idioti”. Utili idioti sono quelli che, in buona fede, vengono condizionati senza rendersene conto, e diventano poi quelli che nei social o nei dibattiti difendono con le argomentazioni più disparate, per esempio, il punto di vista russo sulla guerra in Ucraina. L’SVR, il servizio segreto erede del Kgb, ha in questa tipologia di attività grande esperienza.
Ma questo non deve meravigliarci anche perché sono metodi che vengono utilizzati anche dagli opposti schieramenti. Nel 2010 il governo americano, per aggirare il blocco di Facebook del regime cubano, finanziò segretamente attraverso l’Usaid, l’agenzia per la cooperazione allo sviluppo, il social network Zun-Zuneo, che aveva come obiettivo diretto quello di creare le condizioni per una sollevazione popolare a Cuba. Attraverso questo social, venivano messe in circolazione nell’isola caraibica, dall’intelligence americana, parole d’ordine, tesi, notizie, punti di vista in grado di creare il malcontento nella popolazione dell’isola. Chiedo: se un governo nostro alleato, una grande democrazia occidentale, ricorre a questo tipo di metodi per raggiungere i propri obiettivi strategici, cosa ci aspettiamo che faccia la Russia?
L’intervista a “Il Giornale” suscitò alcuni dubbi e sui social apparse evidente che la riflessione non era condivisa. Alcuni mi tacciavano di avere una visione superata rispetto a quello che un’intelligence moderna è in grado di realizzare. La risposta più ovvia, in mancanza di ulteriori riscontri non dogmatici ma frutto di evidenze empiriche, si sarebbe potuta trovare facendo riferimento a Sun Tzu, vissuto 500 anni prima di Cristo, e che nella sua Arte della Guerra (almeno a lui attribuita) parla diffusamente dell’intelligence. L’attualità delle sue argomentazioni su quello che viene definito uno dei mestieri più vecchi della storia (non mi riferisco alle citazioni di Rudyard Kipling sulle prostitute nei lupanari dell’antica Roma, le etere, libere e ricche, ad Atene o alle naditu babilonesi, ma bensì ad una attività stigmatizzata dal filosofo cinese nella sua opera che viene ancora oggi definita come un classico degli studi strategici) non si può negare. Nel 1975 questo testo venne rielaborato all’università di Harvard che diede alle stampe il celeberrimo volume “L’arte del negoziato”.
Ovviamente ci sono anche altre opere in materia di management e marketing che si ispirano al testo di Sun Tzu, ricercando nella formazione classica spunti per gestire le criticità del mercato e formare leader in grado di gestire i conflitti.
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2. Il mondo nuovo e le sfide dell’intelligence contemporanea
Estratto dalla prefazione di Alberto Pagani
Avendo seguito presso la scuola universitaria interfacoltà in scienze strategiche di Torino gli studi del Dott. Andrea Canzilla, come correlatore della sua tesi di laurea magistrale, ho avuto modo di apprezzarne la serietà ed il rigore metodologico quando era studente, ed ora sono lieto di presentare uesto suo volume, che considero un ottimo manuale introduttivo all’intelligence. “Vi è un tempo per guardare e un tempo per pulire le lenti” scrisse quel grande analista che fu Sigmund Freud. Aggiungeva “inforcare le lenti e cominciare a guardare senza aver pulito gli strumenti di sservazione può essere tanto dannoso quanto passare il tempo esclusivamente a pulire”.
Questa antica considerazione dell’innovatore che un secolo fa rivoluzionò l’approccio e gli strumenti analitici per indagare ed analizzare la mente umana, mi sembra scritta oggi per fotografare il passaggio di paradigma dell’intelligence. Ogni strumento di analisi e d’interpretazione della realtà, e l’intelligence essenzialmente è questo, risponde alla realtà del suo tempo.
Il progressivo accrescimento della complessità del reale ha spinto il sapere umano ad una specializzazione disciplinare sempre più spinta, finalizzata al raggiungimento del massimo approfondimento settoriale possibile. Per contro gli specialismi si sono sempre più isolati gli uni dagli altri, nei compartimenti stagni di singoli settori disciplinari, sempre più autoreferenziali ed incapaci di interagire e contaminarsi con altre discipline, e di produrre visioni olistiche della realtà. Pensavamo che professionisti sempre più specializzati fossero i portatori delle conoscenze necessarie a produrre progresso, finché non ne abbiamo dovuto constatare gli errori previsionali, i fallimenti strategici, le incapacità di dare riposte alle grandi questioni che interrogano la fase storica che stiamo attraversando.
Se osserviamo l’andamento storico dell’articolazione dei poteri politici nell’Europa dell’ultimo millennio è evidente il processo di aggregazione che ha portato il numero delle 1000 “sovranità” del XIV secolo alle 500 del XVI secolo, che poi sono diminuite di un ulteriore 30% nei due secoli successivi, giungendo ad essere 350 nel XVIII secolo. Agli inizi del XX secolo esistevano solamente 25 Paesi, frutto di un progressivo processo di aggregazione ed integrazione. Ma se inghiottire ed essere inghittiti era la caratteristica fondamentale della storia europea, come osservò lo storico britannico Mark Greengrass, questo processo si è invertito tra il XX ed il XXI secolo quando un nuovo processo di disgregazione ha portato il numero degli Stati dai 51 che parteciparono alla Conferenza di San Francisco, quando venne scritta la Carta delle nazioni unite, ai 200 di oggi.
Il divenire storico, e con esso il continuo modificarsi dei confini degli Stati e delle loro forme di governo, delle alleanze e dei conflitti, è stato definito prevalentemente dai conflitti. Nel passato questi conflitti avevano un nome chiaro, definito e preciso: guerra. Oggi le cose sono più complesse. La parola guerra a volte viene occultata o edulcorata dentro espressioni semantiche diverse, perché è socialmente e politicamente più accettabile un intervento militare di peace keeping nel contesto di una missione internazionale di pace, della guerra nella sua crudezza. Altre volte invece il termine viene utilizzato al di fuori del contesto originario, come fanno i francesi, per citare un esempio, che hanno chiamato “ecole de guerre economique” l’istituto nel quale studiano lo spionaggio industriale. Tuttavia credo che questa espressione sia decisamente azzeccata, e corretta.
Nell’epoca del globalismo, quando su scala globale Bin Laden e George Soros hanno interpretato un nuovo tipo di guerra in maniera più efficace dei militari, mentre Powell, Schwarzkopf, Dayan hanno indirizzato la politica in maniera più efficace dei politici, è necessario rispolverare ciò che scrissero due militari cinesi, i colonnelli Qiao Liang e Wang Xiangsui. Già nel lontano 1996, analizzando i nuovi scenari bellici mondiali, i due pensatori cinesi descrissero il cambiamento di paradigma che stiamo attraversando. Spiegando così che il terrorismo e le sue tecniche, la guerra condotta attraverso le manipolazioni dei media, le azioni di piraterie sul web, le turbative dei mercati azionari, la diffusione di virus informatici e altre armi non tradizionali, sono le nuove forme della guerra asimmetrica contemporanea.
C’era un tempo passato nel quale la politica era l’arte del governo negli affari interni e nelle relazioni internazionali e la guerra era l’esito del fallimento della politica, o era la continuazione della politica con altri mezzi, come scrisse il barone Carl Von Clausewitz. Oggi la distinzione non è più così semplice, perché i popoli e le nazioni convivono con un conflitto globale permanente, che si esercita per mezzo del terrorismo internazionale così come nella sfera economica, con azioni che colpiscono l’approvvigionamento energetico e delle materie prime, con la speculazione finanziaria, con lo spionaggio e la destabilizzazione nelle filiere industriali, con la manipolazione dell’informazione, con il condizionamento dell’opinione pubblica o con gli attacchi informatici alle infrastrutture critiche.
La sovranità nazionale è tanto evocata dalla propaganda politica perché nella realtà è ormai compromessa. Non è questione di rivendicarla con più o meno forza. Con maggiore sovranismo. Siamo dentro un altro mondo, prima ce ne rendiamo conto e meglio è. La nostra vita dipende da un’economia globale interconnessa che si basa su di una rete globale di Supply Chain, all’interno delle quali le interdipendenze tra sistemi economici apparentemente distinti e distanti sono concretamente insolubili. La connettività ha sostituito la divisione come nuovo paradigma dell’organizzazione globale. La raffigurazione grafica reticolare delle nostre infrastrutture ci dice molto di più del funzionamento del mondo che non le cartine politiche con i loro confini. La vera mappa del mondo non dovrebbe rappresentare soltanto gli Stati, ma anche le metropoli, le autostrade, le ferrovie, le pipeline, i cablaggi per Internet e gli altri simboli della nostra civiltà di network globali.
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