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L’Italia più vecchia? C’è già. Sull’Appennino. Ma può essere un laboratorio per rinascere

Di Guido Castelli

I 138 comuni colpiti dal sisma del 2016 rappresentano già oggi l’Italia che verrà, ma invece vorremmo che diventassero il laboratorio di quell’Italia che può diventare, con la memoria delle proprie radici: in questi territori è nata l’Italia della sostenibilità con Francesco d’Assisi e l’Europa dei popoli con Benedetto da Norcia. Le prospettive di Guido Castelli, commissario straordinario del governo per la ricostruzione sisma 2016

C’è un posto in cui l’Italia può specchiarsi per vedere il suo futuro. Come saremo? Come quella porzione del Bel Paese che da sette anni cerca faticosamente di rialzare la testa dopo le scosse di terremoto del 2016. Gli 11 milioni di persone destinate a scomparire dai nostri territori a causa della denatalità saranno in gran parte coloro che abitano quella “terza Italia” che galleggia tra resilienza e determinazione tra Nord e Sud, aggrappata all’Appenino centrale, e che ha per epicentro – letteralmente – l’area del cratere del sisma del 2016.

Una grande porzione di territorio composto da quattro diverse regioni, una decina di province, 138 Comuni dove il fenomeno della denatalità è ancor più accentuato rispetto al dato già preoccupante dell’intero Paese di oggi. E dove si può vedere oggi quanto accadrà domani, se non ci saranno profonde inversioni di rotta nella politica sociale e culturale. Nei comuni del cratere il tasso di natalità (nati ogni mille abitanti) è pari al 5,7 a fronte di un valore nazionale pari a 6,8, con una diminuzione di 1,5 punti dal 2016, a fronte di una diminuzione più contenuta a livello nazionale (pari a 1,1).

Un recente studio della Banca d’Italia rammenta che “a livello internazionale esistono lavori di ricerca che mostrano come disastri naturali o altri eventi molto distruttivi non abbiano necessariamente impatti negativi sulla popolazione nel medio periodo”. Come dire: se si nasce di meno non è colpa di una condizione avversa del clima o della natura in generale. A tutte le ragioni esposte al recente appuntamento degli Stati generali della Natalità nei territori dell’Italia centrale colpita dal terremoto del 2016 (e in parte del 2009) si aggiunge una tendenza allo spopolamento che era già in atto prima dell’evento sismico.

Complessivamente, nelle quattro regioni colpite dal sisma la popolazione si è ridotta di circa 167 mila unità (- 1,75%) rispetto al 2016 e con valori ovunque superiori alla media del Centro Italia e dell’Italia in generale, a eccezione del Lazio (l’unica provincia laziale interessata dal sisma è quella di Rieti). Le regioni che hanno accusato maggiormente il calo, nell’intervallo di tempo osservato, sono l’Abruzzo e le Marche (entrambe con -3,3%). In particolare, nei 138 Comuni del cratere la popolazione residente si è ridotta di 36.000 abitanti circa, con una variazione rispetto al 2016 del -6,3% (con picchi di riduzione che sfiorano il 20% in alcuni Comuni) a fronte di una media del -1,46% nelle aree fuori del cratere.

Non solo. I territori dell’area del cratere si caratterizzano anche per una età media più elevata che si manifesta con una quota più contenuta di popolazione nella fascia più giovane (quella con meno di 15 anni costituisce l’11,24% nell’area del cratere contro il 12,69% della media nazionale) e una quota maggiore di popolazione di età più elevata (chi ha più di 64 anni nei Comuni del cratere sono il 27,43% del totale della popolazione, contro il 23,80% della media nazionale).

Ovviamente anche l’indice di vecchiaia che rappresenta il grado di invecchiamento di una popolazione (dato dal rapporto percentuale tra il numero degli ultrasessantacinquenni e il numero dei giovani fino ai 14 anni) è più alto nei comuni del cratere così come l’indice di dipendenza strutturale, che rappresenta il carico sociale ed economico della popolazione non attiva (0-14 anni e 65 anni ed oltre) su quella attiva (15- 64) è sfavorevole nei Comuni del cratere.

Come saremo? Tutta l’Italia sarà come questo territorio che è già più vecchio e meno popolato. E più povero, meno protetto. Complice il terremoto del 2016. Ma soprattutto a causa di un progressivo abbandono di aree dove l’antropizzazione ha segnato virtuosamente per secoli la loro evoluzione. Fino al progressivo abbandono a causa di una viabilità fatta più difficile, di una economia poco sostenuta, di una scolarità resa quasi impossibile, e di una connettività quasi inesistente (provate a telefonare viaggiando sulle nostre strade, per credere). Quello che sta accadendo nel territorio dell’Appenino centrale diventa figura di una transizione sociale, oltre che demografica, che vorremmo interrompere.

I 138 comuni colpiti dal sisma del 2016 rappresentano già oggi l’Italia che verrà, ma invece vorremmo che diventassero il laboratorio di quell’Italia che può diventare, con la memoria delle proprie radici – in questi territori è nata l’Italia della sostenibilità con Francesco d’Assisi e l’Europa dei popoli con Benedetto da Norcia – e con l’impegno per il futuro di tutti.

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