Abbiamo davvero bisogno di eleggerci un presidente con voto popolare, con l’effetto – peraltro – di instaurare una strana dualità con il Capo dello Stato, che è condotto al ruolo da una votazione di secondo grado, dunque a quel punto senza la legittimazione del premier? La rubrica di Pino Pisicchio
Punge vaghezza che la smania di cambiare la forma di governo ( leggi: voglia di presidenzialismo, premierato o quant’altro non s’e’ ancora ben capito) non sia poi tanto diffusa tra il pubblico dei votanti, anche se è diventata la fissa del governo e l’argomento privilegiato dei costituzionalisti, al settimo cielo per essere al centro delle coccole dei media. L’impalpabile saggezza del popolo, invece, sembra diffidare e chi pensava di trovare gli osanna degli elettori, così come avvenne con il taglio dei parlamentari, credo che abbia sbagliato i suoi conti. Alla gente sta bene un Capo dello Stato “super partes”, come Mattarella, e non attore del gioco politico, come Trump.
L’ultimo a certificarlo è Pagnoncelli, che registra addirittura un 63% di contrari, ma anche i sondaggi che esibivano nei giorni scorsi una prevalenza di favorevoli, non riuscivano ad andare oltre qualche decimale dopo il 40%. Fin qui il popolo, che sembra, dunque, non strapparsi le vesti per votare direttamente il capo del governo. Ma forse è il caso di domandarsi di che cosa esattamente stiamo parlando, perché ultimamente è sembrato che si stesse disegnando una virata sulla figura su cui s’intenderebbe scommettere, lasciando da parte il presidenzialismo e orientando l’attenzione verso il premierato. Figura anche questa assai incerta e circonfusa da nebbiolina.
In senso stretto il premierato, inteso come capo dell’esecutivo eletto dal popolo, non è forma di governo esistente nel mondo democratico. In verità un’esperienza del genere si è avuta solo in Israele dal 1992 al 2001, ma poi venne abolita per insuccesso politico. Premier eletti dal popolo in via diretta, dunque, in giro non se ne vedono. C’è invece l’indicazione implicita del capo del governo nell’esperienza del Regno Unito, dove l’automatismo per consuetudine è che diventi premier il capo del partito vincitore delle elezioni. Una cosa del genere, in verità, l’abbiamo avuta anche noi senza fare riforme costituzionali ai tempi del Porcellum, la legge elettorale che prevedeva l’indicazione di un capo della coalizione già nella scheda che l’elettore trovava in cabina: Berlusconi e Prodi furono chiamati al ruolo capeggiando le rispettive alleanze.
Domanda: abbiamo davvero bisogno di eleggerci un presidente con voto popolare, con l’effetto -peraltro – di instaurare una strana dualità con il Capo dello Stato, che è condotto al ruolo da una votazione di secondo grado, dunque a quel punto senza la legittimazione del premier? Si dice: “ il modello è quello dei comuni e delle regioni, fari di funzionalità”. Ma ne siamo sicuri? Qualcuno degli alacri sostenitori dell’idea “sindaco d’Italia” ha davvero cognizione di che cosa sia oggi un’assemblea di rappresentanti nei municipi o nelle Regioni?
Poco più di strutture esornative: il potere è decisamente monocratico, nelle mani del Sindaco e del Presidente della Regione ( che, non a caso, ama farsi chiamare “Governatore”), gli esecutivi essendo solo dei prolungamenti del suo potere, in particolare nei comuni, dove gli assessori per legge non devono essere rappresentanti del popolo, ma sono solo protuberanze ( revocabili) del sindaco. Insomma: un amministratore delegato con una squadra di sottoposti. È questo che si vuol fare del Parlamento, che già, grazie a Dio, non è che se la passi così bene da quando gli eletti vengono cooptati?
Ma perché nessuno si domanda se sia davvero l’ordinamento costituzionale ad essere malmesso o non invece la politica a non saper più funzionare, così a pezzi da non comprendere che le distonie sono create dalla sua insufficienza, da una classe parlamentare al di sotto del minimo sindacale, dall’invasione dei dilettanti allo sbaraglio?
Ci sono anche risvolti comici, spesso dovuti alla dimenticanza, in questo eterno dibattito sulle grandi riforme. Nell’innalzamento di barriere ideologiche da destra a sinistra, nessuno ha rammentato, infatti, che, nella bicamerale per le riforme presieduta da D’Alema, il PDS ( che sarebbe il Pd dell’epoca) avanzò con la “bozza Salvi”(dal nome del senatore capogruppo) una proposta di premierato che prevedeva l’elezione diretta del capo di governo e il potere di nomina e di revoca dei ministri. Era il lontano 1998, la notte era buia e tempestosa e la cosa, prudentemente, si fermò li’.