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Fusione nucleare, la start-up tedesca che scommette sull’alternativa “stellare”

Stellarator

Proxima Fusion, spin-out del prestigioso Istituto Max Planck per la Fisica del Plasma e guidata da due italiani, ha raccolto sette milioni per sviluppare un reattore rivoluzionario. La somma sembra esigua, la scommessa è ambiziosa: lo “stellarator” è (ancora) più complesso da costruire del tokamak ma potrebbe essere più efficace in funzione

Negli ultimi due anni i successi della ricerca sulla fusione nucleare hanno provocato un’ondata record di finanziamenti – circa sette miliardi di dollari tra 2021 e 2022 a livello globale. Gli investitori, perlopiù privati, pensano che costruire una macchina da fusione non sia più un problema tecnico, ma ingegneristico. Per loro è il momento giusto per scommettere sulla manciata di aziende che promettono di dimostrare la viabilità tecnica e commerciale della fusione a stretto giro. Tra tutte, Commonwealth Fusion Systems (spin-out del Mit di Boston, controllata di Eni e destinataria di due di quei sette miliardi) mira al traguardo entro questo decennio.

A fronte di questi numeri, i sette milioni di euro appena raccolti da una nuova start-up tedesca impallidiscono. Ma Proxima Fusion è degna di nota per una serie di motivi rilevanti. Primo tra tutti, si tratta della prima azienda spin-out ad essere mai uscita dal prestigiosissimo Istituto Max Planck per la Fisica del Plasma. Nella sede di Greifswald, per ventisette anni, i ricercatori hanno sviluppato la versione più avanzata al mondo del cosiddetto stellarator. E Proxima, che è animata da diversi ricercatori Ipp (tra cui gli italiani Francesco Sciortino, amministratore delegato, e Lucio Milanese, direttore operativo), vuole portare questa tecnologia alla commercializzazione.

Il gioiello tecnologico su cui punta la start-up tedesca si chiama Wendelstein 7-X. Questo stellarator è una macchina da fusione alternativa al tokamak, ossia il modello di reattore “a ciambella” su cui si concentra la maggior parte della ricerca dagli anni Cinquanta a oggi. Come quest’ultimo, anche lo stellarator è pensato per fondere due nuclei diversi a temperature altissime per generare energia, confinando il plasma incandescente con dei super-magneti. La differenza è nella forma, più contorta e complessa, che secondo i ricercatori del Max Planck produce un plasma più stabile e sostiene la reazione di fusione più a lungo rispetto al tokamak.

Schematizzazione di uno stellarator

Concepito dal fisico statunitense Lyman Spitzer nel 1951, il progetto dello stellarator è stato perlopiù messo in disparte dalla comunità scientifica, che vedeva nel tokamak una via più semplice per arrivare alla fusione. La Germania è stata uno dei pochi Paesi a perseverare nella ricerca su questa tipologia di reattore. Sostenuto dallo Stato, l’Istituto Max Planck ha iniziato a lavorare sul Wendelstein 7-X solo nel 1996, intraprendendo un lavoro di ricerca estremamente complesso (anche per i parametri della fisica nucleare) che il direttore della sede di Greifswald Thomas Klinger ha definito “noioso ed estenuante”.

Nel 2016 gli sforzi dei ricercatori del Max Planck hanno consentito all’allora cancelliera Angela Merkel di accendere Wendelstein 7-X. Da allora, la macchina ha raggiunto importanti risultati nel campo della ricerca. Ma nonostante ciò, per Klinger ci vorranno almeno venticinque anni per arrivare alla produzione commerciale di energia. È qui che entra in campo Proxima, che conta sul lavoro e sui talenti emersi dal Max Planck, ma anche lo stesso Mit, McLaren Racing e Google X.

Parlando a FT, Sciortino ha accennato a Commonwealth Fusion Energy collegamenti tra Proxima Fusion e un’altra realtà animata da esperti della fisica del plasma emersi dal Mit. “La domanda è: saremo in grado di [operare] altrettanto bene e rendere questo progetto un campione europeo?”. Ian Hogarth, l’investitore di Plural Platform che sta guidando l’investimento di sette milioni insieme a Uvc Partners, ci crede: “un tokamak è facile da progettare e difficile da far funzionare, mentre uno stellarator è difficilissimo da progettare ma, una volta progettato, è molto più facile da far funzionare”.


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