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Il messaggio di Papa Francesco al Ppe letto da Chiapello

Di Giancarlo Chiapello

Dal messaggio del pontefice al presidente Weber si percepisce un paterno richiamo a far prevalere un’identità che poi ragiona di tattica delle alleanze a trecentosessanta gradi ma senza rincorrere altri, sembra ci sia l’invito innanzitutto a non perdere se stessi. Il commento di Giancarlo Chiapello, segreteria nazionale Popolari-Italia Popolare

Papa Francesco ha scritto un messaggio al presidente Manfred Weber e ai membri del gruppo del Partito Popolare Europeo nel Parlamento Europeo: si tratta di parole significative che indicano ai cattolici e in particolare a chi fa da sempre riferimento al popolarismo, cioè l’unico pensiero originale cristianamente ispirato in grado di “mettere a terra” una visione sociale, una direzione. Proprio per questo è necessario innanzitutto smontare le pessime interpretazioni che riducono il messaggio ad un discorso “di sinistra” per bilanciare un gruppo “di destra”.

Chi cerca di far passare questa idea compie due torti: il primo verso il Santo Padre che ha sempre contrastato le polarizzazioni ideologiche, che indubbiamente in questo tempo investono destra e sinistra (se volessimo ricondurre i difensori delle polarizzazioni a delle definizioni a sinistra sarebbe da riprendere quella dei “cattolicisti democratici” di Antonio Gramsci e a destra quella dei “cristianisti” di Brague); il secondo torto è verso la storia democratico-cristiana che intese essere distante da sinistra e distinta da destra e, rispetto alla prima, secondo la formula degasperiana nell’interpretazione originale confermata da Maria Romana De Gasperi e Giulio Andreotti, lo sguardo del centro era volto alla competizione verso i ceti sociali disagiati, giammai per confluenze e contaminazioni che erano (e sono) ideologiche.

Ciò detto la riflessione del Papa è molto importante e conferma quello che scrissi qualche settimana fa, su Formiche, sulla sua piattaforma geopolitica proprio commentando gli interventi fatti durante l’importante viaggio in Ungheria che, infatti, riprende rivolgendosi ai popolari europei in particolare per ribadire l’importanza del rilancio della comune casa Europa, che significa che non c’è un mero abbandono ad un artefatto occidentalismo: “Un’Europa che valorizzi pienamente le diverse culture che la compongono, la sua ricchezza enorme di tradizioni, di lingue, di identità, che sono quelle dei suoi popoli e delle loro storie e che nel contempo sia capace, con le sue istituzioni e le sue iniziative politiche e culturali, di far sì che questo mosaico ricchissimo componga figure coerenti. E per questo ci vuole una forte ispirazione, un’”anima”, a me piace dire che ci vogliono dei “sogni” e poi, vorrei dire, dovreste essere i primi a fare tesoro degli esempi e degli insegnamenti dei padri fondatori di quest’Europa.

La scommessa originaria, che può essere anche la scommessa attuale, è di puntare non solo a un’organizzazione che tuteli gli interessi delle nazioni europee, ma a “un’unione dove tutti possano vivere una vita a misura d’uomo, fraterna e giusta”. Pur con gli errori del secondo Ppi, sopratutto a livello di scelte europee e con lo scioglimento, contrastato da Gerardo Bianco ed Alberto Monticone, per capire, anche perché sta cambiando di nuovo la politica rendendo vecchia e fallita la sedicente seconda repubblica, vengono in soccorso le parole che Guido Bodrato, da poco tornato alla casa del Padre, tra gli ultimi “cavalli di razza” democristiani, usò per concludere un intervento dal titolo “sulle origini del popolarismo e sulla sua attualità” che fece ad un corso di formazione a cui lo invitai, avendo mantenuto sempre con lui un rapporto pur dialettico, nel 2003 contenuto nel libro che curai, “Le ragioni del servire. L’impegno sociopolitico dei cristiani”: “Ancora una volta si tratta di salvare l’anima del popolarismo, la sua concezione della democrazia, la sua originalità, insieme alla ragione dei partiti europei di radici democratico-cristiane: il personalismo. Si può affermare che “l’Europa sarà personalista o non sarà”, anche se l’Europa del 2000, del tempo della globalizzazione e del terrorismo internazionale non è l’Europa dei sei paesi che hanno dato vita alla Comunità europea. Ma questa riflessione, essenziale per la rinascita del popolarismo, attende ancora una conferma”.

Sembra che nel messaggio di Papa Francesco si possa intravvedere la conferma anche se con richiami precisi che, non negano la necessità di trovare alleanze e punti di mediazione interna, ma richiamano all’esigenza dell’identità e della coerenza che determinano la presenza organizzata: innanzitutto pensando alle colonizzazioni ideologiche afferma, “è chiaro che un grande gruppo parlamentare debba prevedere un certo pluralismo interno. Tuttavia, su alcune questioni in cui sono in gioco valori etici primari e punti importanti della dottrina sociale cristiana occorre essere uniti”, rifacendosi alla formazione, “il politico cristiano dovrebbe distinguersi per la serietà con cui affronta i temi, respingendo le soluzioni opportunistiche e tenendo sempre fermi i criteri della dignità della persona e del bene comune” e richiamandosi di fatto esplicitamente alla tradizione democratico cristiana (ribadita pure ricordando i Padri fondatori europei), “… voi avete un patrimonio ricchissimo a cui attingere per portare il vostro contributo originale alla politica europea, cioè la dottrina sociale della Chiesa. Pensiamo, ad esempio, ai due principi di solidarietà e sussidiarietà e alla loro dinamica virtuosa. Ci sono aspetti etico-politici, legati ad ognuno di questi due principi, che voi condividete con colleghi di diverse appartenenze, i quali accentuano rispettivamente o l’uno o l’altro; ma l’intreccio dei due, il fatto di attivarli insieme e farli funzionare in maniera complementare, questo è proprio del pensiero sociale ed economico di ispirazione cristiana e quindi è affidato particolarmente alla vostra responsabilità”.

Ci sarebbe, poi, da approfondire ulteriormente i temi toccati, in questa sorta di “agenda”, della rappresentanza, dei giovani, della fraternità. Si percepisce un paterno richiamo al presidente Weber a far prevalere una identità che poi ragiona di tattica delle alleanze a trecentosessanta gradi ma senza rincorrere altri, sembra ci sia l’invito infatti innanzitutto a non perdere se stessi (se avvenisse non si perderebbe il popolo, l’elettorato per benefici effimeri?) in formule artefatte della geografia politica, che mantengono ad esempio l’Italia in una situazione di eterna crisi e transizione da decenni e, forse, a interpretare, proprio nel bel Paese, la formula morotea dei “tempi nuovi” soprattutto, non in maniera retorica, attraverso nuovi e coerenti interpreti anche alla luce della morte di Silvio Berlusconi, a cui va riconosciuta intraprendenza e durata che ne hanno fatto un protagonista politico –, che chiude un’epoca, capaci di tornare protagonisti del dibattito politico culturale del Partito Popolare Europeo ai cui esponenti il Pontefice ha saputo rivolgersi in maniera così efficace ed a cui serve volgere un convinto sostegno.

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