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I ministri europei prendono posizione per un processo decisionale più efficace

Di Duccio Fioretti

Un documento stilato dai Ministri degli Esteri di alcuni paesi membri sottolinea l’importanza di accelerare il processo decisionale europeo, alla luce delle nuove sfide che l’Unione deve affrontare. Senza andare però a ritoccare i trattati fondamentali

Per l’Unione Europea, la guerra in Ucraina è stata una novità assoluta. Era stata la Seconda Guerra Mondiale, l’ultimo devastante conflitto che il continente avesse visto, a dare gli input necessari per avviare il processo di integrazione. Eppure, davanti a una sfida così grande, l’Unione si è dimostrata capace di prendere una posizione forte e compatta. Malgrado, e non grazie a, le norme che stanno alla base del processo decisionale comunitario.

In una dichiarazione pubblicata su politico.eu, i Ministri degli Esteri di alcuni paesi membri dell’Unione Europea (dalla Germania al BeNeLux, dalla Romania alla Slovenia, arrivando fino alla Spagna) hanno lanciato un appello accorato per rendere più efficiente il processo di decision-making europeo per quel che concerne la sicurezza e la politica estera dell’Unione. Senza bisogno di riformare i Trattati: gli strumenti necessari sono già previsti dagli stessi.

Nello specifico, all’interno del Trattato sull’Unione Europea (Tue), e precisamente all’Articolo 31. Qui sono infatti descritte le cosiddette Passerelle Clauses, meccanismi in grado di accelerare la procedura legislativa dell’Unione all’interno di determinati contesti senza dover andare a riformare i suoi Trattati Fondamentali. Grazie a queste norme, il Consiglio dell’Unione può decidere all’unanimità di adottare la maggioranza qualificata come procedura standard in determinate aree relative alla conduzione della politica estera dell’Unione. Garantendo così una maggior flessibilità e rapidità d’azione in situazione di urgenza e ad alta criticità, dove un l’Unione dovrebbe agire con la massima risolutezza.

Ma non sono solo le Passerelle Clauses a essere invocate dai plenipotenziari europei. Nello stesso documento si propone di utilizzare la procedura a maggioranza qualificata anche per definire i termini operativi di iniziative prese all’unanimità dal Consiglio, soprattutto nel campo delle missioni civili e dei diritti umani; e ancora, si incoraggia un uso più estensivo del cosiddetto “astensionismo costruttivo”, che permette di evidenziare disaccordi da parte di Stati Membri senza bloccare l’iter legislativo dell’Unione.

La proposta avanzata è solo l’ultima di una lunga serie di iniziative simili: dal 2020, sono state messe agli atti almeno 25 proposte di adozione della votazione a maggioranza qualificata come processo decisionale standard in determinati settori della Common Security and Foreign Policy.
Se nei tempi passati, mentre il processo d’integrazione europea era ancora in fieri e non si era manifestata alcun’urgenza di agire in modo determinato e spedito, l’unanimità risultava essere la forma più adatta per prendere decisioni concernenti la politica estera, oggi la situazione è cambiata drasticamente: la condizione multipolare del mondo moderno richiede un cambio di passo, e non permette inciampi.

Tra il 2016 e il 2022, il potere di veto di cui dispongono gli stati membri ha fatto sì che le decisioni in ambito di politica estera venissero bloccate o ritardate per almeno 30 volte. D’altronde, ogni stato membro ha diritto a tutelare e a promuovere i propri interessi nazionali in sede europea, secondo quanto previsto dall’impianto normativo dell’Unione; per alcuni paesi, un passaggio ad una votazione a maggioranza qualificata rischierebbe di annullare le loro capacità di far valere questi diritti. I promotori del ‘manifesto’ ne sono consapevoli, e non vogliono mettersi in contrapposizione.

Nella parte finale del documento si riafferma il committment dell’Unione Europea a cercare il consensus, considerato come parte del patrimonio genetico europeo sviluppatosi nella seconda metà del XX secolo, e si ricorda l’esistenza di meccanismi atti a tutelare interessi specifici come l’Emergency Bracket, proponendo anche l’istituzione di ulteriori strumenti che garantirebbero una maggior sicurezza per gli stati membri in sedi decisionali dove si ricorre alla maggioranza qualificata.

D’altronde, come evidenziato in chiusura dell’articolo,  l’obiettivo finale non è quello di ridurre all’obbedienza esponenti in disaccordo, ma di fornire all’Europa gli strumenti necessari per tutelare “la libertà, la sicurezza e la prosperità dei propri cittadini.”

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