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Il piano di Xi per ristrutturare la difesa cinese

Il congresso dell’ottobre 2022 ha dato forti segnali su come il segretario del Pcc voglia gestire la corsa agli armamenti contro gli Usa. La chiave di volta è il connubio tra dimensione militare e imprese civili. Non solo cinesi

Il congresso del Partito Comunista Cinese dell’Ottobre 2022 è stato un evento attesissimo dagli osservatori di tutto il mondo. Al netto di eventi imprevisti quel consesso avrebbe consacrato la leadership di Xi Jinping, confermandolo come segretario del Partito Comunista Cinese per un terzo mandato per una durata al potere che non si vedeva dai tempi di Mao Zedong. Come è poi effettivamente accaduto.

Oltre allo spettacolo principale, il Congresso ha offerto numerosi side event agli analisti politici mondiali. Tra questi, vi è stata la nomina di tredici nuovi membri del Politburo, l’organo di gestione del Partito e centro nevralgico del sistema decisionale dell’autocrazia del Dragone. Alcuni di questi erano figure in carriera già note ai più, mentre altre avevano fino avevano tenuto fino a quel momento un profilo più basso.  Ma tutti i tredici neonominati avevano una caratteristica che li accomunava l’un l’altro: anziché provenire da una carriera prettamente politica, il background di questi personaggi era individuabile nei settori più ‘strategici’ dell’apparato militare-industriale del Dragone. Una mossa aperta a molteplici interpretazioni, anche complementari; due sono quelle più immediate.

La prima è che questa serie di nomine rappresenti l’ennesima manovra di Xi per rendere più saldo il suo controllo sul Partito Comunista, e di conseguenza sullo Stato cinese. Nulla di eclatante, molti altri lo avevano fatto prima di lui. La particolarità sta però nella caratteristica comune ai prescelti già evidenziata poc’anzi. Uomini con una lunga carriera politica alle spalle, costruita sulla creazione di network e sulle trame nascoste, avrebbero rappresentato delle mine vaganti per il lungimirante Segretario. Al contrario, personalità cresciute in un sistema più vicino a quello delle Forze Armate sono cresciute seguendo i principi della lealtà e del rispetto, rendendoli molto meno suscettibili a manovre di palazzo atte a rovesciare il sistema di potere attuale.

La seconda riguarda invece l’impronta che Xi vuole dare a questo nuovo mandato. Non è certo un segreto che il leader comunista voglia potenziare le capacità militari cinesi, soprattutto sul livello qualitativo; né tantomeno lo è il fatto che il sistema centralizzato da lui promosso nella stragrande maggioranza delle dimensioni del suo governo possa risultare inefficiente per quel che riguarda l’innovazione tecnologico-militare. Far assurgere ai ranghi più alti del potere tecnocrati ben consapevoli delle problematiche e delle criticità dei rispettivi settori rappresenta sicuramente un passo importante per cercare di smuovere la situazione.

La direttrice su cui si basa il rinnovato sforzo cinese è quella della “military-civil fusion”: una collaborazione strutturata tra mondo civile e mondo militare, che vede il secondo sfruttare le innovazioni promosse dal primo, sulla carta molto più adatto a sviluppare tecnologie all’avanguardia. Non a caso, negli ultimi anni si è iniziato a parlare con sempre maggiore frequenza delle caratteristiche dual-use di determinati beni, che possono avere un duplice utilizzo sia nel campo della pace che in quello della guerra.

Ma l’aspetto più importante, soprattutto per gli osservatori esterni, è il cosiddetto Technology Transfer. Questa definizione indica la tecnica cinese di acquisire il know-how più avanzato di compagnie civili occidentali ‘leader nel settore’ grazie a strumenti di carattere economico-giuridico, per poi importarlo all’interno dei propri confini ed applicarlo allo sviluppo di nuovi sistemi militari. L’esempio del gruppo Kuang-Chi è significativo. Prima di essere sanzionato dall’Ufficio per l’Industria e la Sicurezza statunitense alla fine del 2020 quest’azienda (con sede a Shenzhen ma guidata da dirigenti di formazione statunitense e con partner negli Stati Uniti, Israele, Canada, Europa e Singapore) aveva investito centinaia di milioni di dollari nello sviluppo di prodotti con potenziali applicazioni militari. Per il beneficio diretto di Pechino.

L’evolversi della situazione geopolitica mondiale negli ultimi anni ha reso ancora più impellente il bisogno degli stati (e in particolare dei quelli considerati come ‘superpotenze’) di dotarsi non solo di Forze Armate all’avanguardia, ma anche di un apparato economico-industriale in grado di supportarle. E Xi non sembra voler nascondere il suo intento di realizzare quest’ambizione.



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