Skip to main content

Perché in Europa c’è chi ha paura dell’Ucraina nell’Unione

Di Lorenzo Piccioli

Mentre l’Ucraina si accinge ad avviare il processo di adesione all’Ue, i dubbi interni non si placano. L’impatto di uno Stato così grande e popoloso avrebbe importanti conseguenze sul lato dell’economia, dell’agricoltura e della politica. Per permettere che Kyiv diventi un nuovo membro, l’Unione deve prepararsi ad una lunga stagione di riforme. Che sono necessarie in ogni caso

Nella guerra che Kyiv combatte da febbraio 2022, sono due le certezze che tengono alto il morale della popolazione civile e dei soldati al fronte: quella della vittoria, e quella dell’adesione all’Unione europea. Fino ad oggi, con le loro azioni gli stati membri dell’Unione hanno dato adito alle speranze ucraine in questo senso, tramite il sostegno militare nel primo caso, e l’avvio del lungo processo di ammissione nel secondo. Ma se gli aiuti bellici stanno venendo lentamente rallentati dallo svuotamento degli arsenali europei, anche l’idea di futuro europeo dell’Ucraina sta attraversando un momento di crisi. Al netto delle innumerevoli dichiarazioni di intenti a favore di una rapida accessione di Kyiv all’Unione, ci sono importanti fattori concreti da tenere a mente.

L’Ucraina sarebbe il primo caso nella storia dell’Unione a diventare uno stato membro in una condizione post-conflittuale, con devastazioni economiche e sociali che avrà urgente bisogno di risanare. La sua popolazione è pari a quella della Spagna, e il suo territorio è più esteso di quello di qualunque paese europeo. Queste caratteristiche implicano che Kyiv avrebbe diritto a un numero di Parlamentari Europei che oscilla tra i 52 e i 56 (seggi che, tra l’altro, dovrebbero essere recuperati sottraendoli ad altri paesi o incrementando il numero totale di parlamentari previsto dai Trattati), diventando potenzialmente il quinto stato membro per numero di rappresentanti. Proporzioni simili dovrebbero essere rispettate anche nella Commissione. Il processo decisionale basato sul consensus verrebbe sicuramente rallentato, data la particolarità degli interessi nazionali ucraini in questo preciso momento storico.

Ma anche l’aspetto economico non può essere ignorato. Basti pensare al settore agricolo: la sola istituzione di corridoi agevolati per l’importazione del grano ucraino bloccato nei silos a causa della guerra ha provocato contraccolpi importanti, soprattutto nei paesi più vicini territorialmente all’Ucraina e quindi maggiormente esposti a questo fenomeno. Un’integrazione nello spazio europeo implicherebbe l’afflusso dell’intera produzione cerealicola all’interno del mercato comune, e il dirottamento verso Kyiv di una vasta parte dei fondi destinati all’agricoltura. Conseguenze difficili da gestire anche sul piano della suddivisione delle risorse generali: le distruzioni dovute alla guerra farebbero risultare l’Ucraina molto al di sotto degli standard europei, permettendole di accedere a porzioni enormi dei fondi di coesione. In questa riorganizzazione, alcuni paesi attualmente beneficiari netti dei fondi europei si troverebbero ad essere donatori netti; ancora una volta, sarebbero principalmente i paesi dell’Est Europa a risentire maggiormente di queste evoluzioni.

Ci sono infine fattori politici e geopolitici che devono essere messi a sistema. L’adesione dell’Ucraina, con la sua vastissima estensione territoriale, comporterebbe un ulteriore spostamento del baricentro dell’Unione verso l’oriente, incrementando automaticamente l’attenzione posta tanto dalle istituzioni quanto dai singoli stati membri vero le dinamiche politiche, economiche e securitarie relative a quel settore. A scapito di altri che potrebbero essere altrettanto rilevanti, come il Fianco Sud. Non a caso in parallelo all’avvicinarsi dell’adesione Ucraina alla UE si è registrata la nascita di nuovi gruppi interni all’Unione, come il cosiddetto Atlantic Group, formato dai paesi affacciati sull’Atlantico. Ovvero all’esatto opposto della direttrice di espansione seguita dall’Unione negli ultimi decenni.

Queste innegabili problematiche possono però diventare auspicabili inneschi per aprire una stagione di riforme della struttura istituzionale europea. Spinte in questo senso già ci sono: pochi giorni fa è stato rilasciato un documento firmato da numerosi Ministri degli Esteri dell’Unione Europea, documento che chiede di utilizzare gli strumenti già esistenti nei Trattati Fondamentali per migliorare l’efficacia e la velocità del processo decisionale europeo in politica estera, ricorrendo sempre di più alla maggioranza qualificata piuttosto che al Consensus. Un’altra proposta si ispira al modello dei fondi per la ripresa post-pandemica, che prevede una proporzionalità tra i fondi assegnati e le riforme economico-strutturali, per riformare il funzionamento dei fondi strutturali stessi, che sarebbero assegnati si in base al bisogno (alla prova dei fatti i paesi meno sviluppati coincidono spesso con quelli più indietro nel processo riformista) ma anche alla virtuosità.

Ad oggi, l’unica certezza è che l’Europa così come la conosciamo non è pronta ad accogliere correttamente l’Ucraina (così come altri paesi dell’area balcanica) dentro di sé. In una dichiarazione, il Primo Ministro del Belgio Alexander De Croo ha affermato: “Se un certo numero di paesi aderisce – Ucraina, Moldavia, ma seguirà la discussione sui Balcani occidentali – alcune cose cambieranno radicalmente.”

Una previsione, quella di De Croo, che suona anche come un monito.

×

Iscriviti alla newsletter