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Intelligence e guerra economica. La lezione del generale Mori

Di Mario Mori

Il nostro approccio nel sistema economico mondiale non deve essere solo difensivo. È auspicabile, se non indispensabile, assumere in questo ambito una mentalità e una funzione decisamente proattiva. La lezione del generale Mario Mori al seminario “Intelligence economica nell’era digitale” alla Luiss School of Government

L’economia globalmente intesa non si pone più come uno dei fattori che contribuiscono a definire i livelli d’importanza per una nazione, ma si prospetta quale elemento determinante del posizionamento e dell’influenza di un paese nel campo internazionale.

Non è il settore militare quello che definisce oggi l’indice di potenza, bensì un mix di più fattori, dove predominano tecnologia e capacità produttive.

Appare evidente come in un contesto dove alla violenza propria delle armi si sta comunque sostituendo il più sottile gioco delle conoscenze e delle acquisizioni in campo scientifico, l’opera dell’intelligence aumenti considerevolmente d’importanza.

Non tanto come espressione di un’attività attribuitagli dall’ordinamento dello Stato, perché in tal caso sarebbe destinata a un rendimento del tutto inadeguato, ma perché preposta a sollecitare e sostenere la presenza interessata e la collaborazione, ormai ineludibile, delle varie componenti dell’economia, siano esse pubbliche o che private, chiamate ad ottenere, in un quadro di sinergie, il sostegno anche da parte del mondo universitario e dei centri di ricerca.

L’ambito dell’intelligence economica nel tempo ha subito costanti ampliamenti, passando da una prima fase ristretta al campo dello spionaggio industriale, per estendersi in rapida progressione ai vari settori produttivi, intesi nel loro insieme come base della potenza di una nazione.

La scuola francese, e qui oggi il professore Harbulot lo ha efficacemente confermato, separa nettamente l’attività d’intelligence da quella spionistica, definendo la guerra economica “ricerca ed interpretazione sistematica dell’informazione accessibile a tutti, con l’obiettivo di conoscere le intenzioni e la capacità dei vari attori nel settore”. Lo spionaggio che usa mezzi illeciti o illegali viene connotato diversamente e negativamente rispetto all’intelligence economica che si deve basare esclusivamente su strategie aziendali e di marketing. In tal modo, almeno formalmente, per quanto attiene all’azione degli organismi statali, vengono escluse le connessioni tra intelligence economica, servizi informativi e spionaggio.

L’approccio del mondo anglosassone parte da una diversa specificità dell’intelligence economica, vista come materia connessa alla ricerca degli indirizzi industriali, all’individuazione delle disponibilità delle risorse naturali e all’accertamento delle potenzialità nel settore agricolo, sino a comprendere ogni aspetto delle procedure economiche. Il tutto però riferito alla situazione degli “altri”, con il fine di sapere e regolarsi.

Così mentre la ricerca francese consiste in un’azione rivolta al mondo economico nel suo complesso, quella anglosassone si interessa in maniera mirata ai competitors ed alle economie straniere.

I Servizi informativi delle grandi nazioni hanno progressivamente adeguato le loro strutture alle nuove esigenze. Tra i paesi occidentali Francia e Giappone sono quelli che meglio e in maniera più rapida hanno preso coscienza delle esigenze dettate dalle nuove sfide proposte dalla competizione internazionale.

In Francia esiste ormai un consolidato rapporto di collaborazione tra il mondo delle imprese e lo Stato che ha giocato sempre un ruolo incisivo nell’economia. In particolare il paese ha sempre puntato a dotarsi, nel senso più ampio, di un’industria bellica che lo rendesse indipendente dal resto del mondo, definendo una politica di “autarchia militare” che l’ha posto in posizione di punta nei settori quali l’informatica, il nucleare, l’aerospazio e le telecomunicazioni. Il Governo di Parigi, a fare data dagli anni sessanta del novecento, sotto la spinta del presidente Charles De Gaulle, ha sostenuto attivamente questi comparti anche nella conquista di commesse di un mercato caratterizzato, com’è noto, da una feroce concorrenza, e lo ha fatto avvalendosi della propria Intelligence. Il paese ha così sviluppato una forte attività nello spionaggio economico-industriale e nel supporto alle industrie nazionali impegnate nella competizione per ‘accaparramento di gare negli appalti internazionali.

In questo ambito la DGSE (Direction Géneral pour la Sécurité Extérieure) svolge un’attiva opera di spionaggio, mentre la DST (Direction pour la Sourveillance du Terrotoire) contrasta le iniziative di ogni attività straniera, siano esse russe, americane o di altri paesi. (Un esempio, noto negli ambienti dell’intelligence, siamo negli anni ottanta del secolo scorso, è rappresentato dall’operazione della DST che mandò a vuoto il tentativo della CIA che voleva impedire l’esportazione di missili francesi Matra a Taiwan). A conferma che nel confronto economico non vi sono amici o nemici, ma solo concorrenti.

Il Giappone vanta una tradizione nel campo dell’intelligence economica che risale al XIX secolo, quando la dinastia Meiji decise di potenziare le strutture produttive nazionali per renderle maggiormente competitive nei confronti del mondo occidentale, svincolandosi da quella che si configurava come una forma opprimente di colonialismo. Il risultato attuale è che, quello che per molti paesi rappresenta un obiettivo, cioè incrementare le sinergie tra le varie componenti che costituiscono il sistema produttivo nazionale, in Giappone è già compiutamente realizzato e da tempo.

Peraltro, la devastante sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale ha imposto una revisione delle prospettive strategiche nazionali, individuate ora nello sviluppo economico e scientifico. Indirizzo questo che si è potuto realizzare rapidamente anche per la tradizionale unitarietà d’intenti propria della società nipponica che in questo ambito ha visto la possibilità di rivincita e di riaffermazione del proprio orgoglio nazionale.

Per sostenere convenientemente lo sviluppo complessivo i Governi di Tokyo hanno creato una serie di strutture che collegano Stato, grandi gruppi industriali, banche, società di commercio e università. In tale ambito le Agenzie nazionali d’Intelligence sono state indirizzate verso compiti preminentemente economici, con obiettivi mirati soprattutto ad acquisire le conoscenze d’avanguardia dei Paesi europei e degli USA (Verso l’America l’obiettivo primario è rappresentato dalle produzioni della Silicon Valley). A questa attività principale concorrono anche le grandi industrie private, quali Mitsubishi e Hitachi, che dispongono di proprie strutture d’intelligence in grado di svolgere un’attività spionistica con potenzialità operative che, secondo l’americana CIA, equivalgono a quella di una nazione medio-piccola.

Al termine della “guerra fredda” gli Stati Uniti si resero progressivamente conto che mentre loro erano impegnati nel confronto con l’Unione Sovietica, molti paesi alleati quali Giappone, Francia, Germania, Israele e Canada avevano svolto azioni dirette ad impadronirsi, in vari campi, del patrimonio conoscitivo americano. Da qui la rincorsa volta a tutelare le potenzialità economiche del paese che, iniziata con la presidenza del repubblicano George Bush senior (Gennaio 1989 – gennaio 1993), ha visto la sua completa realizzazione con il suo successore, il democratico Bill Clinton.

La serie di iniziative di riforma ha avuto il suo compimento con l’Economic Espionage Act (EEA), una legge del 1996, che definendo il concetto d’interesse nazionale, ha delineato lo strumento normativo valido per consentire la tutela del patrimonio commerciale, industriale e scientifico americano.

In tale ambito la sicurezza economica e divenuta la priorità dell’organizzazione della Comunità Intelligence statunitense che si è concretizzata con la creazione del National Economic Council (NEC) a cui è stato attribuito il compito del coordinamento delle varie branche dell’amministrazione che si occupano di questioni economiche. Nel NEC operano membri della CIA (Central Intelligence Agency), dell’FBI (Federal Bureau of Investigation), dei Dipartimenti di Stato, Tesoro, Difesa, Commercio e Giustizia, rappresentando quindi il punto di congiunzione fra l’ambito operativo delle Agenzie d’intelligence e la politica economica governativa di supporto alle imprese.

Delle tre Agenzie che si occupano del settore economico I’FBI, dipendente dal Ministero della Giustizia, si pone come sostegno per le imprese nazionali rispetto ai rischi di natura economica e in particolare a quelli di tipo concorrenziale. L’FBI tratta con più di 250.000 imprese che beneficiano di informazioni di ogni tipo, anche di quelle ritenute riservate o segrete. L’ Agenzia funge anche da raccordo con gli altri Servizi d’intelligence, come NSA (National Security Agency) e CIA, che ufficialmente non possono contattare le aziende private, ma che attraverso l’FBI forniscono notizie; la prima per tutto l’ambito di competenza del controspionaggio, e la seconda per quanto attiene lo spionaggio economico sviluppato da Servizi o competitors stranieri.

I tempi del Convegno non consentono di trattare con ampiezza le attività di altri grandi attori statali nel settore economico, (Quali ad esempio Brasile, India e le così dette “Tigri Asiatiche”), il cui numero è aumentato contestualmente allo svilupparsi della globalizzazione. Un cenno meritano comunque Cina e Russia.

Nella prima, già negli anni cinquanta del secolo scorso, l’informazione scientifica e tecnologica costituisce materia d’insegnamento nell’Accademia delle Scienza e, dal 1958, opera la Commissione Statale per la Scienza e la Tecnologia (SSTC), con il compito d’identificare, localizzare e raccogliere la tecnologia da mettere a disposizione dello sviluppo economico del paese. La consistenza dell’attività spionistica nel settore da parte degli organismi di Pechino è data emblematicamente dall’affermazione del generale Keith Alexander, ex direttore della NSA americana, che ha definito l’attività d’intelligence cinese verso gli Usa come “Il più grande trasferimento di ricchezza realizzato nella storia”.

In Russia, la tradizionale e fruttuosa attività spionistica, messa in atto nel corso della “guerra fredda” e che per anni consenti al paese di mantenere il confronto con gli Stati Uniti, continua tuttora ad opera del Servizio Federale per la Sicurezza della Federazione Russa (FSB) e del Direttorato Generale per le Informazioni Militati (GRU) a cui, come dalla documentazione giunta in Occidente, vengono attribuite le funzioni di spionaggio in campo tecnologico e scientifico. I paesi di maggiore interesse per FSB e Gru sono: Usa, Gran Bretagna, Giappone, Israele, Francia, Italia e Corea del Sud e in questa attività danno il loro contributo le numerose Agenzie d’intelligence private in cui operano numerosi ex dipendenti dei Servizi statali.

Ad evidenziare l’attenzione di Mosca verso l’Italia, si possono citare due recenti vicende note anche mediaticamente: il sospetto sostegno fornito all’Italia, all’epoca del Covid 19, con l’invio di un team di tecnici, ritenuti però eccessivamente interessati al patrimonio farmaceutico nazionale, e il caso dell’ufficiale della Marina italiana, Walter Biot, arrestato con l’accusa di spionaggio a favore della Russia e condannato, in primo grado, il 3 marzo 2023, a trent’anni di reclusione.

Il concreto interessamento italiano per l’intelligence economica risale agli anni novanta del secolo scorso con il lavoro di due Commissioni, la prima creata nel 1992 e presieduta dall’ambasciatore Ludovico Ortona, la seconda, costituita nel 1997, diretta dal generale Roberto Jucci.

Dal lavoro delle due Commissioni emerse l’orientamento di affidare anche formalmente all’intelligence nazionale l’azione a sostegno dell’economia. Compito che si doveva fondare su una concezione eminentemente difensiva, così come peraltro è stato, sin dalla loro fondazione, e in ogni settore operativo, l’approccio alle proprie funzioni da parte dei nostri Servizi. Le due Commissioni individuarono nella protezione dell’area tecnologica, scientifica e industriale le competenze primarie da attribuire specificatamente all’intelligence.

Il CISR (Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica) è l’organismo che raccoglie i ministri “strategici” e individua le procedure per fronteggiare i rischi e le minacce complessive ai nostri interessi, secondo la legge 3 agosto 2007 – n. 124, che attualmente regola l’attività delle nostre Agenzie d’Informazione. Questa normativa prevede due enti, uno con competenze interne, l’AISI, e uno orientato all’esterno, l’AISE, coordinati da un Dipartimento delle Informazioni e la Sicurezza (DIS), inserito nella struttura della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Il tessuto economico-industriale nazionale, come è nato, è caratterizzato in maniera predominante dall’attività di piccole e medie imprese (PMI), il così detto “nanismo” italiano, che rendendo più onerosa l’azione di controllo degli “interessi” da parte di attori esteri, impone come indispensabile, per le nostre Agenzie di sicurezza, la necessità di individuare precise modalità di scambio informativo con i soggetti pubblici e privati nazionali potenziali oggetti della ricerca altrui.

Per rendere più efficiente e sopratutto strutturato questo rapporto con gli operatori economici sono all’esame varie proposte, quali: la creazione di un “Nucleo di Intelligence Economica” presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri con il coinvolgimento diretto di Camere di Commercio, Regioni e Prefetture, nell’ambito della realizzazione del Progetto per la difesa delle PMI; l’istituzione dell’Agenzia di Intelligence Economica presso il DIS; la riforma delle funzioni dell’UCSe (Ufficio Centrale per la Segretezza) che in atto opera all’interno del DIS per la tutela amministrativa del segreto di Stato e delle classifiche di sicurezza.

Personalmente ritengo che nel campo dell’intelligence qualsiasi nuova funzione specifica da creare debba essere inserita in un contesto istituzionale già strutturato e non costituire un nuovo ente a sé stante, destinato quasi sempre, e in Italia ne abbiamo molti esempi, a creare sovrapposizioni, interferenze, concorrenze e rivalità: in ultima analisi inefficienze.

Resta da trattare quell’aspetto che si definisce “geopolitica della protezione” e che nella realtà consiste nel monitoraggio degli investimenti provenienti dall’estero, che la dottrina italiana definisce “Poteri speciali” o “Golden Power”. Questa disciplina, introdotta dal Governo Monti (d.. n. 21/2012) consente di opporsi all’acquisto di partecipazioni da parte di soggetti stranieri e porre il veto su delibere assembleari, imponendo condizioni e prescrizioni. La norma, migliorata e rafforzata dal Governo Draghi, con il così detto Decreto Liquidità (d.I. n. 23/2020), a seguito delle esigenze manifestatesi per l’inizio della pandemia da Covid 19, ha imposto nuovi compiti all’Intelligence nazionale a cui è fatto obbligo di realizzare un sostegno informativo adeguato per le decisioni che in materia deve assumere il Governo.

Un esempio di intervento da parte dell’intelligence italiana nell’applicazione del Golden Power, che certamente ad alcuno dei presenti sarà noto, è la vicenda relativa alla società di biotecnologie mediche MolMed (Molecular Medicine S.p.A.) che, in piena emergenza Covid, rese nota l’intenzione della multinazionale giapponese dell’elettronica e del biotech AGC (Ashahi Glass co.), appartenente al gruppo Mitsubishi, di promuovere un’OPA volontaria per il 100% delle sue azioni ordinarie. Seppure l’OPA apparisse amichevole, l’iniziativa giapponese, sviluppata in piena emergenza sanitaria, andava ad interessare un settore strategico come quello farmaceutico, peraltro in forte espansione in Italia. A seguito degli accertamenti svolti dall’intelligence, l’intervento del Governo italiano, accolto dalla controparte giapponese, ha permesso di condizionare l’accettazione dell’offerta ad alcune clausole di mantenimento del background strategico della MolMed in mani italiane.

In questi giorni si è reso necessario un nuovo intervento di Palazzo Chigi in materia, riferito alla gestione del gruppo Pirelli. L’azienda, controllata al 37% dalla società di Stato cinese Sinochem, rischiava di essere integrata nel sistema economico definito dal recente XX° Congresso del Partito della Repubblica Popolare, determinando così per l’Italia la perdita della funzione direzionale con l’annesso patrimonio tecnologico che a suo tempo ha fatto della Pirelli un gruppo industriale all’avanguardia nel sistema mondiale. Il 16 maggio scorso la Presidenza del Consiglio ha deciso sulla vicenda l’applicazione del Golden Power a protezione dei nostri interessi di rilevanza strategica.

Da questi esempi si possono ricavare le conclusioni per ottenere una maggiore efficienza del sistema paese, che dovrebbero fondarsi sull’impegno del mondo produttivo per una migliore conoscenza e fiducia sulle potenzialità operative che può offrire l’intelligence e, da parte di quest’ultima, con un sostegno non solamente episodico e formale, ma sostanziale, per la conoscenza degli aspetti, anche minuti ma indispensabili, per muoversi nel difficile ambito della competizione internazionale.

Per contro il potere politico, che costituisce il naturale collante tra mondo economico e intelligence, attraverso un’azione anche concorrenziale con altre nazioni, deve sostenere e tutelare i vari interessi nazionali nelle aree geografiche e in quei settori economici dove è ancora possibile per l’Italia esercitare una significativa influenza (Bacino del Mediterraneo, Corno d’Africa, Sud America, etc.). In tale ottica, per i Governi nazionali, sarà necessario strutturare l’azione dell’intelligence economica con lo sviluppo di un quadro normativo (come già avviato dai Governi Monti e Draghi, guarda caso due politici di formazione economica)) che ne tuteli gli attori e ne sviluppi l’azione sul terreno.

In sintesi un’azione armonica in questo vitale settore si dovrebbe fondare su: visione strategico-economica guidata dal sistema politico; definizione di un quadro normativo completo che mentre tutela gli assets economico-strategici, salvaguardi l’azione dell’intelligence economica e in particolare di chi la porta avanti sul terreno (mi riferisco alle necessarie garanzie da incriminazioni per chi opera verso realtà esterne al fine di acquisire notizie ovvero contratti in campo internazionale); azione d’influenza politica non episodica, coordinata con quella economica e d’intelligence.

Su queste basi si potrebbe cominciare a pensare allora che il nostro approccio nel sistema economico mondiale non debba essere solo difensivo e che sarebbe auspicabile, se non indispensabile, assumere in questo ambito una mentalità e una funzione decisamente proattiva, così da tutelare al meglio, come fa la grande maggioranza delle altre nazioni, i nostri interessi fondamentali, propri di una potenza regionale come l’Italia, ma con coinvolgimenti economici mondiali.

Penso infine che per ottenere un più completo efficientamento del sistema sarebbe auspicabile, così come avviene nei grandi paesi occidentali e anche nelle diverse nazioni autocratiche, sia indispensabile affidare la direzione della nostra intelligence ai tecnici che si sono formati nel suo ambito; così da evitare che essa dipenda dalle capacità non sempre ottimali di chi ne viene, di volta in volta, posto alla conduzione solo per convenienze della parte politica momentaneamente al potere.

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