Nell’avvicinarsi dell’anniversario della tragedia di Ustica del 27 giugno 1980, pubblichiamo le riflessioni di Giuliana Cavazza, presidente onoraria dell’Associazione per la verità sul disastro aereo di Ustica (Avdau) e figlia di una delle vittime del DC9 Itavia, e Flavia Bartolucci, presidente dell’Avdau
Siamo due donne, drammaticamente colpite dalla tragedia della caduta del DC9 Itavia del 27 giugno 1980. Una di noi ha perso la madre quando aveva solo 17 anni, un’età critica in cui gli affetti familiari sono importantissimi. L’altra ha vissuto per 43 anni, e tuttora vive, il dramma di un padre costantemente accusato, prima dalla giustizia, poi dall’opinione pubblica, di avere tradito la Patria, ignorando che i fatti di cui era accusato non erano mai esistiti.
Siamo la presidente onoraria e la presidente dell’Associazione per la verità sul disastro aereo di Ustica, una associazione di gente per bene che ha per scopo sociale quello di perseguire la verità in tutto ciò che riguarda la tragica vicenda di Ustica. Ribadiamo: la Verità a caratteri maiuscoli, la verità che parta da fatti veri, non da fantasie, supposizioni e invenzioni. Sì, perché la verità che viene richiamata dalla maggior parte dei media non è verità; è una storia fondata su falsità.
È una falsità quella che il giudice istruttore Rosario Priore abbia emesso una sentenza in cui affermava che ci fosse stata una battaglia aerea, che il DC-9 fosse stato abbattuto all’interno di un episodio di guerra aerea. Priore non ha mai emesso sentenze di quel genere, essendo lui un giudice istruttore. Si trattava, invece, solo una sua ipotesi, in base alla quale rinviò a giudizio i vertici dell’Aeronautica militare. A conclusione di quel giudizio, la Corte d’appello, a pagina 87 del documento emesso a riguardo, scrisse testualmente: “la conclusione cui perviene l’accusa […] può essere accettabile come ipotesi accusatoria, sia pure fondata su elementi incerti ed equivoci da dimostrare, ma è inaccettabile quale motivazione di una sentenza in quanto si dà per certo un risultato partendo da dati del tutto ipotetici e peraltro del tutto sconfessati dagli elementi probatori certi ed inequivocabili come sopra messo in evidenza”. È sufficientemente chiaro?
È una falsità quella della presenza di aerei estranei in prossimità del DC9 Itavia, visto che già la Corte d’assise a pagina 135 scrive che “Il dibattimento ha d’altra parte dimostrato l’infondatezza dell’ipotesi del G.I. sulla battaglia aerea” e la Corte d’appello ha aggiunto a pagina 115 della propria sentenza che “nessun velivolo ha attraversato la rotta dell’aereo Itavia, non essendo stata rilevata traccia di essi dai radar militari e civili, le cui registrazioni sono state riportate su nastri da tutti i tecnici unanimemente ritenuti perfettamente integri”. Dovremmo quindi dire che i giudici di una Corte d’assise e di una Corte d’appello hanno così smaccatamente mentito?
Di menzogne è piena la narrativa corrente essendo basata su supposizioni, congetture, fatti totalmente inventati che perdurano da oltre quattro decenni. A tutto ciò si aggiungono le offese, come quelle recentemente formulate da Daria Bonfietti “che è solo una provocazione offensiva il continuo contrapporsi, sistematicamente, alle iniziative dell’Associazione delle vittime, rappresentante delle esigenze di giustizia e verità dei familiari liberamente associati” e “che è soltanto un’offesa alla dignità organizzare visite al Museo per la memoria di Ustica schiumanti rabbia e risentimento”. Il Museo per la memoria non può essere monopolio di un gruppo, anche perché, “è un luogo che deve rimanere ‘un tempio della memoria’” per tutti i parenti delle vittime, visto che certamente raccoglie gli effetti personali anche della madre di una di noi. La nostra visita al Museo è stata improntata al massimo rispetto delle vittime, delle loro famiglie e di ciò che il Museo si propone di rappresentare.
Chi cerca sinceramente la verità cominci a mettere da parte le falsità di cui è infarcita la storia di Ustica. La verità è unica, e noi, e la nostra associazione, lo stiamo facendo.