Potrebbe morire in galera, ma per le autorità di Pechino è un traditore che ha manomesso i testimoni e incita alla sovversione. L’impegno dell’attivista, ormai settantenne, e la repressione di Xi tra cui il divieto di qualsiasi attenzione medica
A inizio primavera, Albert Ho è finito in galera. L’attivista pro-democrazia di Hong Kong era uscito su cauzione per motivi di salute, dopo aver trascorso più di un anno in detenzione per presunto “incitamento alla sovversione”. Ma il governo di Pechino ha accusato l’attivista di “manomissione di testimoni”.
Ad agosto del 2022, il giudice aveva concesso la libertà vigilata ma a condizione di mantenere “l’ordine di silenzio”. Tra le altre condizioni una cauzione di circa 90.000 dollari, la rinuncia ai documenti di viaggio, il rispetto del coprifuoco notturno, e il divieto di comportamenti o discorsi che potrebbero essere considerati una minaccia per la sicurezza nazionale, nonché l’impossibilità di contattare funzionari stranieri.
Le accuse riguardano la nuova legge per la sicurezza nazionale, entrata in vigore nel 2020, in seguito alle proteste pro-democrazia del 2019. Ho rischia fino a 10 anni di carcere e adesso non potrà avere “alcun tipo di assistenza medica privata”, secondo la sentenza. L’attivista ha guidato per più di 30 anni l’organizzazione Alleanza di Hong Kong, e come avvocato ha seguito i casi più difficili di difesa dei diritti umani, tra cui quelli che riguardano i giovani manifestanti del movimento degli ombrelli.
Secondo un profilo del sito Nikkei Asia, l’impegno di Ho contro le crudeltà del regime cinese “lo ha messo nel mirino di una spietata repressione della società civile innescata da una dura legge sulla sicurezza nazionale introdotta per volere di Pechino nel giugno 2020. Le conseguenze della sfida al governo centrale sono diventate rapide e gravi”.
Ho ha 71 anni ed è in isolamento nella prigione di Stanley, una struttura di massima sicurezza priva persino di aria condizionata. Lui è tra le più note persone arrestate dalle forze di sicurezza nazionale di Hong Kong nel 2020 e rischia di morire in carcere per le sue condizioni di salute. L’uomo soffre di un cancro ai polmoni da sette anni e ha perso rapidamente peso e sonno. Le sue giornate in carcere trascorrono tra la lettura di testi storici e la Bibbia.
Chung Kim-wah, già scienziato dell’Hong Kong Public Opinion Research Institute, ha dichiarato a Nikkei Asia che “Albert Ho è un uomo speciale. Ama davvero la Cina […] Mettere persone come lui in prigione, lascia tutti abbattuti”.
Le posizioni di Ho sono un vero paradosso. Negli anni ’70, da studente universitario, protestò contro la visita della regina Elisabetta II e non vedeva l’ora che l’isola tornasse a far parte della Cina. “Ma quando venne a conoscenza della catastrofica distruzione delle tradizioni culturali da parte del Partito Comunista Cinese negli anni ’60 e della repressione di un pacifico movimento democratico in Piazza Tiananmen, a Pechino, nel 1989, Ho sperimentò un conflitto interno su cosa significasse essere un patriota cinese”, sostiene Nikkei Asia.
L’agenzia di stampa statale Xinhua ha accusato Ho di non essere patriottico e di destabilizzare la città, ma lui ha risposto dicendo che: “Non è che i democratici di Hong Kong non siano patriottici, ma che la definizione di patriottismo del governo centrale è problematica”. La partecipazione di Ho ai movimenti civili avrebbe portato i media statali cinesi ad accusarlo di “svendere gli interessi della Cina”.
Ho è il secondo di sei figli. Ha frequentato la Bishop Hall Jubilee School di Kowloon Tong e la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Hong Kong. All’epoca già era coinvolto nei movimenti studenteschi anti-corruzione. Suo padre non era d’accordo perché lo preoccupava la sicurezza del figlio e il suo futuro professionale. Tuttavia, Ho è rimasto fedele alla sua passione politica.
La storia di Ho è l’ultima di una serie di detenzioni eseguite per la legge sulla sicurezza nazionale. Anche il fratello Fred Ho, avvocato rappresentante del difensore dei diritti dei lavoratori, è finito in carcere.
La moglie di Ho è emigrata in Canada con i loro tre figli ed è tornata con passaporti canadesi nel 1997. Ma Ho non ha voluto prendere un’altra cittadinanza, è rimasto devoto alle sue radici e identità cinesi, e ha persino rifiutato il passaporto britannico che gli è stato offerto.
“In realtà, la direzione e i valori della mia vita non sono mai cambiati – ha scritto Ho nella sua biografia ufficiale -. Abbraccio la democrazia, i diritti umani, la libertà, il costituzionalismo, gli idealismi del benessere pubblico. Amo il mio Paese, ma il mio nazionalismo può essere diverso da quello medio. L’oggetto del mio amore sono le persone, sono i miei compatrioti, la mia nazione e la mia cultura”.