Nei documenti desecretati c’è la conferma che nel 1980 i terroristi italiani ricevevano armi attraverso l’ambasciata dello Yemen a Roma. Da Siria e Libia arrivavano, invece, aiuti finanziari. L’opinione di Giordana Terracina, dottoranda in storia contemporanea a Tor Vergata
Nella notte tra il 7 e l’8 novembre 1979 furono arrestati a Ortona tre autonomi romani trovati in possesso di due missili terra-aria spalleggiabili SA-7 Strela, ai quali seguì qualche giorno dopo il palestinese Abu Anzeh Saleh precipitò una crisi nei rapporti italo-palestinesi, alla cui soluzione lavorò intensamente il colonnello Stefano Giovannone, capocentro del Sismi a Beirut. Delle sue informative, recentemente declassificate, si è molto discusso in relazione alle stragi di Ustica e della stazione di Bologna. In realtà, i documenti dicono molto di più. Raccontano, per esempio, di un secondo trasporto di armi in territorio italiano, che innescò una nuova ricerca di contatti tra i Servizi italiani e la dirigenza del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) e allo stesso tempo riapre la questione dei contatti tra il terrorismo italiano e la galassia terroristica arabo-palestinese.
In tal modo, seguendo l’arresto di Jousef Nasry el Tamimy, membro del Fplp, a Fiumicino il 5 gennaio 1982 con la tedesca Brigitte Pagendamn e trovato in possesso di 14 detonatori elettrici nascosti in pacchetti di sigarette, è possibile ampliare il perimetro tracciato fino a oggi e ricollegarsi alla documentazione già declassificata dalla direttiva firmata nel 2014 dal presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi.
A metà febbraio 1982, Giovannone informava il direttore dell’intelligence del colloquio avuto con Abu Hol, suo nuovo referente Fplp al posto di Taysir Quba, che gli diede rassicurazioni sulla presenza di el Tamimy a Fiumicino, definendolo un semplice “transito”, che nulla aveva a che fare con il terrorismo italiano, che era la preoccupazione principale dei nostri Servizi.
Tanto per Saleh, quanto per Tamimy, le organizzazioni palestinesi fecero pervenire all’intelligence italiana una richiesta immediata di scarcerazione.
Ma nel frattempo qualcosa era cambiato, perché all’interno del Fplp era in atto un mutamento che stava portando Abu Ali Mustafa, appoggiato da Bassan Abu Sharif, a sostituirsi a George Habbash al comando dell’organizzazione. In questo nuovo scenario Tamimy giocava un ruolo chiave, sia come uomo di fiducia di Sharif, sia quale responsabile del reclutamento di sostenitori nei “territori occupati”.
La sua liberazione avrebbe quindi rafforzato la posizione dell’ala più moderata del Fplp, che spingeva per un riavvicinamento all’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) di Yasser Arafat, dopo la scissione avvenuta con l’uscita dal Consiglio esecutivo nel 1974. Gli avvenimenti di Ortona avevano già posto in evidenza come anche il Fplp fosse disposto a stringere accordi con Italia per “neutralizzare” il Paese da attacchi terroristici, aprendo la strada al suo ritorno nell’alveo dell’Olp, quest’ultimo in movimento verso posizioni in apparenza più moderate e in cerca di una legittimazione internazionale.
Durante l’incontro con Giovannone, come dicono i documenti declassificati, Abu Hol insisteva su questa linea, ribadendo come il trasporto intercettato a Fiumicino fosse in transito verso i “territori occupati” e che la presenza del palestinese non aveva alcuna connessione con una possibile riorganizzazione della strutture del Fplp in Italia.
Dopo questa rassicurazione, il dirigente palestinese passava ad attaccare le dichiarazioni dei pentiti italiani sul traffico di armi dal Medio Oriente, facendo presente che a Beirut esistevano diversi trafficanti internazionali di armi, ai quali però le organizzazioni palestinesi non si rivolgevano, avendo canali diretti in Europa, come dimostrava la presenza di Tamimy; nessuna rilevanza era data invece all’estremista tedesca, da tempo legata a elementi radicali palestinesi. Il 21 settembre 1982 i due venivano condannati a Roma a 5 anni di reclusione, confermati in appello il 28 luglio 1983.
Pochi giorni prima, il 15 luglio, l’ambasciatore italiano in Siria era stato avvicinato da alcuni esponenti del Fplp, che gli intimavano ancora una volta il rilascio di Tamimy, sottolineando che in caso di morte del detenuto, in sciopero della fame, ci sarebbero state ripercussioni per l’Italia.
Minacce identiche a quelle fatte per ottenere la liberazione di Saleh. Anche qui, il copione era lo stesso.
A questo punto è però essenziale riprendere un documento sui rapporti Fplp e terroristi europei inviato dai servizi tedeschi il 29 aprile 1981. Dalla traduzione in italiano, i cui firmatari sono coperti da omissis, si parla di appoggio del Fplp alle Brigate Rosse e Prima Linea, con il coinvolgimento delle ambasciate di Libia, Siria Yemen del Sud. Non sembra perciò così sicuro che Tamimy e Saleh fossero solo in transito. È vero che la provenienza dell’informazione dai servizi segreti impone cautela, ma bisogna altrettanto certamente riconoscere la presenza, nell’ambito dell’organizzazione palestinese, di alcuni rappresentanti competenti a intrattenere rapporti con le organizzazioni terroristiche straniere, quali Bibi Ghanem e lo stesso Abu Sharif citato da Giovannone.
Dal documento dell’aprile 1981 si apprende, comunque, che nel dicembre 1980 il Fplp assisteva in Italia le Brigate rosse e Prima linea, fornendo loro armi e munizioni. La maggior parte degli aiuti logistici arrivava dal Fplp-Sc (Sc sta per “comando speciale”, ndr), già gruppo Wadie Haddad, che sembrava operare autonomamente rispetto al Fplp di Habbash. Il materiale era veicolato attraverso l’ambasciata della Repubblica popolare democratica dello Yemen a Roma, mentre le stesse organizzazioni ricevono aiuti finanziari tramite quelle di Siria e Libia. Si specificava inoltre che fino a quel momento i gruppi terroristici italiani non sembravano aver usufruito dell’assistenza e della fornitura di documenti offerti dall’organizzazione palestinese.
La scelta di Haddad di legarsi sempre di più ai servizi segreti iracheni e di mantenere i dirottamenti degli aerei come metodo di lotta aveva in precedenza allontanato Haddad e Habbash, instaurando un rapporto simile a quello che intercorse tra Al-Fatah e Settembre nero.
Non stupisce affatto che a fare da tramite fosse l’ambasciata dello Yemen del Sud, essendovi in quel Paese gli uffici del Fplp e svolgendosi lì alcuni degli incontri tra Habbash e Carlos (Ilich Ramírez Sánchez).
Già Giovannone, a chiusura di un’informativa del 14 aprile 1980 conservata nel fascicolo “Ustica” aveva accennato alla presenza di Carlos a Beirut, negli ambienti del Fplp, ritenendo possibile che l’operazione terroristica minacciata in Italia “sia avocata dagli stessi “autonomi” o comunque da elementi non palestinesi e probabilmente europei, allo scopo di non creare difficoltà all’azione politico-diplomatica in corso da parte palestinese” per il riconoscimento dell’Olp.
Più specifica ancora è la comunicazione del 19 gennaio 1982 del direttore della divisione, la cui forma è purtroppo illeggibile, riportante la notizia, ricevuta da fonte ritenuta attendibile, di una conferenza terroristica tenutasi a Beirut verso la fine del novembre 1981, pochi mesi prima dell’arresto di Tamimy.
L’incontro sarebbe stato ospitato dall’ufficio del Fplp sotto la presidenza di Habbash, con la partecipazione di rappresentanti delle “organizzazioni terroristiche internazionali” quali Polisario, l’Armata rossa giapponese, il Fronte Dhofar, le Brigate rosse e altre.
All’arresto di Tamimy seguiva, sempre a Fiumicino, quello di Cristina Margot Fröhlich, militante delle Cellule rivoluzionarie tedesche, intercettata il 18 giugno 1982 con un notevole quantitativo di esplosivo già innescato e pronto per l’uso. La Fröhlich era peraltro già nota quale membro della Frazione internazionale delle Revolutionäre Zellen, guidata da Weinrich Johannes, collegato a sua volta a Carlos fin dal 1975, periodo in cui aveva risieduto a Parigi. Dalle indagini emerse che la Fröhlich, proveniente da Bucarest, era probabilmente diretta in Francia, dove alcuni terroristi tra cui Carlos sarebbero stati in procinto di colpire alcuni obiettivi.
Alla luce di tutto ciò, è interessante la mancanza di ogni accenno ai rapporti tra le organizzazioni terroristiche palestinesi e quelle italiane nell’articolo apparso il 12 maggio 2023 su Il Manifesto in rete, a firma di Sandro Padula, ex membro della colonna romana delle Brigate rosse e marito della Fröhlich, che nel parlare delle diverse declinazioni del Lodo Moro si sofferma solo sugli accordi segreti tra Italia e Israele. Chissà perché.