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La decisione sulla decadenza di Silvio Berlusconi è solo politica

L’art. 66 della Costituzione afferma che “ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”.
Quel termine, “giudica”, non designa alcuna valutazione propria del “giudice naturale precostituito per legge” di cui parla l’art. 25 della Carta, ovverosia, un giudice in senso proprio, come sono soliti conoscerlo i cittadini.

La Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, che in Senato “giudicherà” sulla decadenza di Silvio Berlusconi, dovrà rendere una valutazione che è tutta politica e che, per tale ragione, potrebbe anche discostarsi da una valutazione basata esclusivamente su di una corretta applicazione delle legge.

Durante i lavori dell’Assemblea Costituente, l’onorevole Costantino Mortati, relatore nella Sottocommissione incaricata di redigere quello che sarebbe poi divenuto l’art. 66 Cost., aprì i lavori suggerendo di attribuire il compito della verifica dei poteri ad un tribunale speciale, magari arricchito anche di membri delle camere stesse. Mortati rilevò trattarsi di “una esigenza particolarmente sentita nelle strutture politiche simili a quella italiana, in cui non esiste un costume politico che possa garantire il rispetto dei diritti delle minoranze, mantenendo quel presupposto del leale gioco politico che è un caposaldo del regime democratico parlamentare. In queste condizioni occorre trovare un sistema di mezzi tecnici i quali tendano a garantire le minoranze. (…) Uno dei mezzi di tutela del diritto delle minoranze potrebbe consistere appunto nel sottrarre alle Camere la verifica dei poteri per attribuirla ad un tribunale elettorale, che sarebbe naturalmente da costituire e che dovrebbe essere oggetto di una apposita legge costituzionale”.

La tesi che prevalse, poi, fu quella sancita nell’attuale art. 66 e ciò perché l’Assemblea temette per l’autonomia e l’indipendenza del Parlamento.
Il Parlamento, quindi, non rappresenta in alcun modo una sede dove possa svolgersi un giusto “processo”, retto da un giudice imparziale ed indipendente, con tutte le garanzie del caso.
La “giustizia” del Parlamento è affare a sé. E’ “giustizia politica”, ossia una “giustizia” che non pone necessariamente le sue basi sulla legge, bensì su diverse ragioni di opportunità politica. Ed anche quando la “giustizia politica” decide di fondarsi esclusivamente sulla legge, si tratta comunque di una libera scelta politica (su questi temi potremmo intrattenerci per giorni interi; le letture sono tantissime, segnalo DEMANDT, Processare il nemico: Da Socrate a Norimberga, edizione italiana a cura di P. P. Portinaro, Torino, G. Einaudi, 1996).

Oggi che molti istituti di “giustizia politica” sono andati ridimensionandosi (si pensi a quanto accaduto dopo tangentopoli con il regime delle immunità parlamentari e delle autorizzazioni concedibili dalle Camere), è forse il momento di ripensare anche la prerogativa derivante dall’art. 66, compiendo un passo ulteriore verso un moderno Stato di Diritto e lasciandoci alle spalle un altro pezzetto di ragion di stato.
Gli stessi “saggi” incaricati da Napolitano nel marzo 2013 hanno ritenuto (cfr. il punto 19 della Relazione sulle riforme istituzionali) ormai priva di giustificazione una simile prerogativa.

Forse aveva quindi ragione l’onorevole Gaspare Ambrosini, che durante i lavori dell’Assemblea Costituente rilevò “che la questione non va impostata dal punto di vista della sovranità dell’Assemblea, che è fuori discussione. Tale sovranità si esplica nell’attività legislativa e nella funzione di controllo sugli atti del potere esecutivo, che è propria di ogni Assemblea parlamentare. Qui invece si tratta soltanto di accertare se le operazioni elettorali si siano svolte in conformità della legge e se colui che è stato eletto deputato possegga tutti i requisiti richiesti. È una questione quindi di accertamento giuridico. Ciò considerato, se si vuole valorizzare l’attività giurisdizionale, senza menomare nello stesso tempo l’autorità dell’Assemblea, non c’è ragione di preoccuparsi per una eventuale modificazione dell’ordinamento esistente in materia di verifica dei poteri. Non è quindi contrario a che il giudizio in questo campo sia deferito ad un organo costituito da esponenti del potere giurisdizionale, pur con una notevole rappresentanza di membri dell’Assemblea legislativa”.

Cosa accadrà con Silvio Berlusconi, dunque?
I problemi giuridici sono molti e di una certa rilevanza. L’incandidabilità della Legge Severino è qualcosa di diverso dall’ineleggibilità di cui parla l’art. 66? L’incandidabilità è nella sostanza una “pena”, o attiene solo ai requisiti richiesti dalla legge per accedere ad una carica elettiva? E’ ammissibile che una simile conseguenza discenda da fatti commessi prima della sua introduzione (la c.d. retroattività)? Qual è la diversa portata dell’art. 65 Cost. rispetto all’art. 51? E’ ammissibile sottoporre queste valutazioni alla Corte Costituzionale?
Accadrà che la ragion di stato porterà la Giunta a rimettere tali valutazioni alla Corte Costituzionale. La maggioranza che sostiene il governo Letta non può permettersi, oggi, un “giudizio” personale sulla decadenza e cercherà di giustificare le proprie valutazioni con un auspicato intervento del giudice delle
leggi.

Un’abdicazione della “giustizia politica”? Forse, ma al tempo stesso anche la precisa e libera scelta – comunque politica – di non intestarsi il “giudizio” finale.
“Nella giustizia c’è sempre pericolo: se non per la legge, certo per i giudici” diceva Henry Bordeaux ne La petite mademoiselle.
Certo, così si dimostrerebbe una volta di più che il nostro ordinamento è pronto ed anzi necessita di cancellare la prerogativa dell’art. 66. E se la Corte Costituzionale dovesse dichiarare la propria incompetenza sul punto perché il “giudizio” nel corso del quale, secondo la legge, può essere sollevata una questione di legittimità costituzionale è da intendersi solo il “processo” vero e proprio e non quello radicato in Parlamento?

A quel punto, il Senato dovrà dare la sua interpretazione di tutte le questioni giuridiche sul tavolo. E sarà un’interpretazione esclusivamente politica.


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