L’ambiente in questi 30 anni è passato da argomento politico a prodotto industriale e ancora una volta ciò che non è riuscito a fare il Parlamento è stato realizzato dalle aziende. Pubblichiamo un estratto dal volume “Chi ha cambiato l’Italia? Politica o Economia: chi c’è dietro le grandi trasformazioni della società negli ultimi 30 anni 1993-2023”, firmato da Antonio Noto ed edito da Rubbettino
L’evoluzione e la diffusione di una maggiore sensibilità dell’impatto dei propri comportamenti sull’inquinamento e sul cambiamento climatico ha progressivamente modificato nell’ultimo trentennio le abitudini e gli stili di vita degli italiani, ma soprattutto i consumi. Secondo l’EY Future Consumer Index sui comportamenti green, il 74% della popolazione del bel Paese si preoccupa per il pianeta e il 65% acquista in base all’impatto ambientale. Se pensiamo che nella maggior parte dei casi consumare in maniera sostenibile vuol dire efficientare, riutilizzare, riciclare si comprende anche il dato emerso dal Circular economy report 2022 di energy & strategy – school of management politecnico di Milano che stima a 14,4 miliardi i risparmi grazie all’applicazione di pratiche di economia circolare nel 2021. Tale risparmio, secondo le stime, sarebbe una minima parte, solo il 14%, di quanto si potrebbe risparmiare al 2030 con la piena applicazione dell’economia circolare. Gli anni ’90 sono stati caratterizzati dal consumismo, della quantità, dell’usa e getta. La plastica si accumulava nelle case, fra i rifiuti, negli oceani. Solo successivamente cresce la consapevolezza dell’impatto sull’ambiente, della necessità di riciclare, della possibilità di sostituire la plastica con materiali a minor impatto ambientale. Un processo ancora in corso che sta progressivamente orientando al riuso e alla riduzione dei materiali più inquinanti, dalle bottiglie di plastica alle borracce, dai bicchieri di plastica a quelli di carta.
Batterie, cartucce di inchiostro, prodotti per l’igiene personale: questa trasformazione riguarda tutto il largo consumo e rappresenta una pressione costante alla conversione delle produzioni e all’utilizzo di nuovi materiali. Non solo cosa ma anche come, i consumatori vogliono essere informati sempre di più sui processi di lavorazione dalla materia prima al prodotto finale e sull’impatto ecologico di ognuna delle fasi. Sono i consumi a imporre nuovi modelli produttivi. Nella fase di acquisto si guarda l’etichetta, i materiali, l’imballaggio e si bada a come smaltire i prodotti una volta consumati. Si prediligono prodotti costituiti da materiali riciclabili o riciclati, fabbricati utilizzando energia rinnovabile o frutto di produzioni etiche, rispettose non solo degli ambienti ma della scarsità di risorse e materie prime e della manodopera. Il marketing cerca di adeguarsi promuovendo l’immagine di prodotti che corrispondono a questa nuova esigenza dei consumatori. Nelle pubblicità aumentano i termini legati al riciclo e all’impatto ambientale, e crescono anche le certificazioni green. Non si perdona il greenwashing, l’ecologismo di facciata che utilizza messaggi privi di fondamento o affermazioni troppo generiche per essere verificate. L’utilizzo smodato di termini come “naturale” o di obiettivi pressoché irraggiungibili, come “impatto zero”. I consumatori ricercano sempre di più chiarezza e certificazioni di enti riconosciuti. Intanto, la raccolta differenziata dei rifiuti entra a far parte della quotidianità degli italiani e la quota cresce di anno in anno, dal 17,39% del 2001 al 64% del 2021. Gli anni ’90 hanno visto il boom dei centri commerciali che non interrompono la loro fase di crescita neanche negli anni successivi, oggi è lo shopping online a registrare l’aumento costante. Nel 2022, secondo l’Osservatorio eCommerce B2C, gli acquisti online valgono 48,1 miliardi di euro, di cui 33,2 miliardi di euro di prodotto, con una crescita rispetto all’anno precedente di 8 punti percentuali, e 14,9 miliardi di servizi, che registrano un +59% dovuto al riavvio del settore turistico dopo la crisi pandemica.
Sul complesso del retail l’online vale l’11% sui prodotti e il 14% sui servizi. I consumi diventano un fenomeno collettivo grazie all’organizzazione di gruppi d’acquisto e di piattaforme di scambio di prodotti di seconda mano. Quelli che prima erano fenomeni legati solo al risparmio diventano bandiere dell’ecologismo. L’attenzione è rivolta in generale a prodotti più naturali, si bada alla stagionalità del cibo e anche alla logistica dei prodotti. Il trasporto delle merci rappresenta infatti uno dei processi maggiormente inquinanti in termini di produzione di Co2. Ma qui nasce la prima contraddizione fra le due direttrici: se da un lato infatti si cerca il prodotto a km0, dall’altro aumentano gli acquisti online. Secondo una ricerca di Into the Minds, nel 2021, il 78,9% dei consumatori ha dichiarato di prediligere i prodotti locali, allo stesso tempo però, la stessa ricerca stima una diminuzione di più del 38% delle esperienze di acquisto nei negozi fisici, un dato che porta a stimare a 5 anni la riduzione del 50% delle visite. Anche la crisi pandemica ha influenzato le abitudini di acquisto. Il ricorso all’online non si è limitato al solo periodo del lockdown e ha spinto alla digitalizzazione di molte realtà aziendali e commerciali. La rete ormai risulta un canale aggiuntivo all’offline, non più in un rapporto di competizione, e nasce il Digital Retail in cui l’esperienza di acquisto è ibrida.
L’impostazione strategica Crosscanale della vendita al dettaglio è volta a valorizzare le piccole catene commerciali altrimenti destinate ad avere una clientela limitata al territorio dove insistono. Il negozio fisico mantiene con affanno un ruolo chiave. Il Retail svolge anche una funzione di volano dell’innovazione tecnologica e della digitalizzazione dei consumatori, sfruttando la presenza capillare sul territorio. Parallelamente muta anche la funzione dei centri commerciali che non sono più esclusivamente un luogo per lo shopping, ma per l’intrattenimento e la fruizione di servizi. Il consumismo diventa etico, sostenibile e digitale: il risparmio non è più economico ma ecologico.
La spesa che aumenta in maniera costante dal 2000 è quella per le connessioni e i dispositivi digitali, anche durante e dopo la pandemia. Ma si è disposti a pagare di più per prodotti rispettosi dell’ambiente, o eticamente impegnati. Sono queste due le direttrici principali sulla base delle quali si è generato il maggior cambiamento negli stili di vita degli italiani in questi ultimi 30 anni: la diffusione delle tecnologie e dei dispositivi digitali e l’aumento della sensibilità sulle tematiche ambientali.
Questi due aspetti hanno esercitato la loro influenza a tutti i livelli della vita personale, sociale e professionale, modificando radicalmente le abitudini e facendo emergere nuovi bisogni e necessità. Un’evoluzione ancora in corso e di cui si possono stimare i risultati a breve e medio termine. La rivoluzione più radicale, partita proprio negli anni ’90, e incredibilmente rapida nelle sue dinamiche di crescita e diffusione, è quella digitale, ma la sostenibilità sta accelerando in maniera vertiginosa il proprio ritmo. La correlazione fra tematiche ambientali e digitale non è priva di contraddizioni. Se le nuove tecnologie vengono spesso applicate ai sistemi produttivi e logistici per efficientare i consumi, si pensi anche all’agricoltura 4.0, allo stesso tempo non si deve dimenticare che anch’esse aumentano le emissioni di Co2.
Secondo il report Lean Ict – Towards Digital Sobriety, nel 2008, computer, dispositivi elettronici e infrastrutture digitali hanno contribuito per il 2% alle emissioni globali di Co2. Un dato cresciuto fino al 3,7% nel 2020 e che si prevede possa raggiungere l’8,5% nel 2025. Navigare, su internet, inquina, si potrebbe dire. Così come “ricordare”: la nuvola, eterea e immateriale dove immagazziniamo dati, in realtà si sostanzia di enormi server, che, per funzionare, hanno bisogno di essere costantemente raffreddati, consumando ingenti quantità di energia. Lo sviluppo delle attività digitali, della realtà virtuale e dell’intelligenza artificiale, non è dunque a impatto zero, anzi, basti pensare che nel 2022 il Kazakistan, fra i maggiori esportatori di energia, ha subito una serie di blackout ai danni dell’intera popolazione a causa dei consumi per il mining di criptovalute.
La cosiddetta crisi del bitcoin ha acceso un faro sulla questione che rimane però insoluta. Per l’adozione di comportamenti sostenibili, un ruolo decisivo lo hanno avuto l’introduzione della raccolta differenziata dei rifiuti e l’imposizione di zone a traffico limitato nei centri urbani o anche le “domeniche ecologiche”: laddove non è arrivata la consapevolezza, è arrivato l’obbligo di legge. L’effetto di norme di questo tipo è duplice: quello diretto, sulla riduzione del livello delle polveri sottili, grazie alle limitazioni al traffico, e sull’aumento del riciclo dei rifiuti, grazie alla differenziata; e quello indiretto, sulla sensibilizzazione dei cittadini alle problematiche ambientali. Anche l’erogazione di incentivi pubblici, alle imprese o agli utenti, come quelli all’efficientamento energetico o alla sostituzione del parco auto con modelli sempre meno inquinanti, ha rappresentato una forte spinta alla riduzione dell’impatto ambientale e alla maggiore conoscenza del tema. Ma è proprio negli anni ’90 che l’ambientalismo entra a fare parte della politica, in termini di azione e di rappresentanza, con l’arrivo dei Verdi di Alfonso Pecoraro Scanio in Parlamento e con l’introduzione di diverse riforme ambientali, alcune delle quali frutto del recepimento di direttive europee.
In quegli anni si trattava però di interventi rivolti a settori specifici, come l’agricoltura, il nucleare, la costituzione di aree protette, che avevano lambito senza scuotere la quotidianità. L’inquinamento e i disastri ecologici che assurgevano agli onori della cronaca non sembravano mai riconducibili ai comportamenti individuali, quanto a mancati controlli pubblici o attività illecite. È solo negli anni successivi che inizia a diffondersi la consapevolezza che anche modificando le abitudini quotidiane si può contribuire alla salvaguardia del pianeta. Una consapevolezza che ha portato di nuovo i giovani in piazza: i Friday4future lanciati da Greta Thunberg non hanno solo sollevato il tema ambientale, hanno anche messo in evidenza un’esigenza di partecipazione attiva, soprattutto dei più giovani, non soddisfatta dalla politica.
Alfonso Pecoraro Scanio, primo leader dei Verdi italiani, nonché due volte ministro, mi ha dimostrato che mentre negli anni ’90 il green era un argomento politico con una chiara connotazione di sinistra, oggi non solo è diventato trasversale politicamente ma sono state proprio le aziende a intestarsi la tematica ambientale e ad operare nel mercato con questa filosofia. L’ambiente in questi 30 anni è passato da argomento politico a prodotto industriale e ancora una volta ciò che non è riuscito a fare il Parlamento è stato realizzato dalle aziende. Come vedremo dopo, oggi la sostenibilità è fra gli obiettivi del più grande piano di trasformazione dell’economia e della società: il Next Generation Eu.