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Vi racconto Forlani, sempre discreto nell’efficace servizio al Paese

Di Giorgio Girelli

Alla sua scomparsa, le istituzioni hanno risposto bene al doveroso impegno di rendere onore ad una personalità che ha fatto tanto per l’Italia, senza esibizione mediatica. E con lui, in fondo, alla stessa prima Repubblica di cui egli è stato protagonista e simbolo. Il ricordo di Giorgio Girelli, Coordinatore Centro Studi Sociali Alcide De Gasperi

Arnaldo Forlani, alle cui esequie il Centro Studi Sociali A. De Gasperi si è unito con animo dolente e grato, ha avuto un lungo e determinante ruolo nella guida del Paese e della Democrazia Cristiana assicurando la unità e la collaborazione delle sue componenti. Era “baricentrico” e prescelto perché personaggio di garanzia, distante da personalismi ed esibizionismi. Non a caso un suo libro autobiografico reca il titolo “Potere discreto”.

Insisteva sulla “centralità” del partito: che, come lui spiegava, non andava intesa come “centrismo” conservatore ma quale Dc architrave essenziale della democrazia e del progresso in Italia. Del resto fu il primo segretario provinciale della Cisl ai tempi del sindacato unitario ed in politica si allineò subito a Fanfani, deciso riformista e animatore di politiche sociali innovatrici. Soprattutto all’ “aretino” infatti si deve il principio che l’Italia è una “Repubblica fondata sul lavoro” nonché, ad esempio, la “storica” legge sulle lavoratrici madri del 1950 che introdusse diritti per le donne di marcata sensibilità sociale.

Pochi poi ricordano il convegno “progressista” di Pesaro con Gronchi promosso nel novembre 1948 da Forlani. Gli furono affidate responsabilità governative elevatissime. E pensare che, come ogni genitore, la mamma, quando egli era agli esordi dei suoi impegni a Roma, manifestava preoccupazione perché ambiva vedere il figlio “sistemato”. Da bambino, spedito da mia madre per un acquisto presso il verduraio, lo stesso frequentato dalla signora Forlani, a richiesta di notizie sui figli, la sentii esporre valutazioni molto soddisfatte su Romolo, il fratello, già “a posto” quale maestro elementare , mentre scuoteva la testa su Arnaldo perché… “perdeva il tempo con la politica”.

Forlani ricorreva sovente al concetto di “coesione” per richiamare la necessità di una società nazionale non conflittuale, il più possibile unita nel perseguire gli interessi essenziali del Paese. Anche se non gli sfuggiva l’immanenza della dialettica politica che vedeva avversari permanenti (non nemici !) i comunisti. Con i quali riteneva che andasse intrattenuto un rapporto non aggressivo, attento appunto alla “coesione” nazionale. Lo certificarono anche piccoli episodi, come quando mi trovai ad introdurre un suo comizio, in sede di campagna per le elezioni politiche , nella gremita Piazza del Popolo di Pesaro. Usai toni da arringa, graditi alla folla, anche se non sempre in linea con l’effettivo pensiero dell’oratore.

E nel corso del suo discorso Forlani corresse: “ Ho udito toni aspri nei confronti dei comunisti. Ma non siamo più nel 48 !”. Un democristiano, sotto il palco, sbottò:” Lu ‘lparla ben perché el sta a Roma. Ma noantre machè…” (Lui parla bene perché sta a Roma: Ma noi qui…”). In una parte consistente della base DC di Pesaro – città sempre ”rossa” dal dopoguerra – dove la stessa “apertura a sinistra” faticò ad imporsi, lo scontro era recepito meglio del confronto dialettico. Comunque quando chiedevo consiglio circa gli insistenti inviti del PCI alla partecipazione a manifestazioni sulla Resistenza, sulla “Pace”, ecc.. mi rispondeva:” Vai se ci sono anche i Liberali”.

Pure eventi storici offrono dimostrazione della linea forlaniana: fu con lui ministro degli esteri – puntualizza Maurizio Eufemi – che fu approvata la risoluzione Piccoli-Natta “con il riconoscimento della politica estera e della Alleanza Atlantica” da parte dei comunisti. Il Pci avanzava su un terreno nuovo. Anche se si oppose ai missili Nato e votò contro lo Sme. Certo, corresponsabile nello sviluppo in un quadro di coesione nazionale con cui confrontarsi con toni pacati, ma alternativo, non ancora accostabile a responsabilità di governo soprattutto per gli assetti internazionali – la cui intangibilità Forlani era chiamato a garantire quale ministro degli esteri in un governo di solidarietà nazionale – come i casi Berlinguer e Moro rimarcavano.

E del suo impegno anche su Moro, speso sempre con il consueto costume discreto, se ne saprà di più quando saranno disponibili le carte degli archivi di taluni paesi esteri. Senza se e senza ma, era fortemente legato ai principi democratici: nessuna indulgenza neppure a possibili equivoci in materia. Fu lui a recare a Tambroni il messaggio che con l’appoggio della destra di allora il suo governo non poteva più contare sul sostegno della Dc.

Rifiutò i voti, come ricorda Casini, del Movimento Sociale sufficienti a farlo eleggere Presidente della Repubblica. Attesta in proposito il giornalista Leonardo Mattioli, figlio del compianto Caterbo Mattioli, direttore del Corriere Adriatico:” Fui proprio io a ricevere da Gianfranco Fini, tramite il suo capo ufficio stampa Massimo Magliaro, la proposta di poter far convergere su Forlani 49 dei 50 parlamentari del Msi. Ne parlai con mio padre e poi andammo da Forlani che rifiutò in toto la proposta”. Il funzionario Onu Andrea Angeli, destinato in Cile, riscontrò che “ tra i tre nomi di politici italiani che per tanti anni avevano sostenuto l’opposizione al regime militare c’era quello di Forlani.”

Rispettava le Istituzioni e coloro che operavano al loro servizio, senza “invadenze” della politica. Non assecondò il desiderio di Gianni Agnelli – come ascoltai dalla sua voce – di rivestire la carica di ambasciatore a Washington, ritenendo che quel posto dovesse essere ricoperto da un diplomatico di carriera. Era favorevole al finanziamento pubblico dei partiti. A me, giovanissimo, sembrava che i partiti dovessero essere sostenuti con gli apporti dei propri iscritti. Lui spiegava come quel contributo fosse del tutto insufficiente e che il finanziamento pubblico avrebbe consentito di contestare i comportamenti di chi alimentava contribuzioni illecite.

Posso testimoniare che Fanfani, personalità integerrima, cercava di alimentare la attività della sua corrente “Nuove Cronache” con sostegni volontari ed incondizionati di soggetti amici. Forlani, numero due della corrente, non era solerte neppure in questa limpida promozione. E Fanfani, contrariato, un giorno sbottò proprio con me: “ Ed è ora che la smetta di fare l’angioletto! “ . Sempre a me capitò di ricevere da Forlani un consistente contributo per iniziative della Dc in provincia di Pesaro e Urbino. Alla mia domanda su chi avrei dovuto ringraziare esclamò: “Ringraziare ? Di qui, vengono, di qui !!”, battendo ripetutamente con il palmo della mano la parte dove solitamente viene allocato il portafoglio. Si trattava di quasi la metà della sua indennità parlamentare. E, ironia della sorte , fu proprio una di quelle contribuzioni improprie a procurargli il più forte dispiacere della sua vita politica.

Oggi Piero Sansonetti ripropone su l’Unità un suo articolo di otto anni fa in cui deplorava: “Il reato per il quale Forlani è stato condannato è quello di ”finanziamento illecito dei partiti”. Forlani non è stato mai accusato di avere messo in tasca una lira, una sola lira, ma di avere “oggettivamente” favorito il finanziamento del suo partito. “Oggettivamente”, nel senso che non risulta che Forlani chiese soldi a qualcuno, ma il tribunale accettò la formula famosa del “non poteva non sapere”. Che, come chiunque sa, non equivale a “sapeva”. Non ci sono prove che sapesse”. Quindi condanna su una supposizione, nonostante peraltro che lo statuto del partito escludesse ogni competenza del segretario in tale materia della quale doveva occuparsi solo il segretario amministrativo. E comunque, senza prove, il codice penale non consente condanne.

Ora, alla sua scomparsa, le istituzioni hanno risposto bene al doveroso impegno di rendere onore ad una personalità che ha fatto tanto per l’Italia, senza esibizione mediatica. E con lui, in fondo, alla stessa “prima Repubblica” di cui egli è stato protagonista e simbolo.
Nell’epoca della cosiddetta “immagine” la sua discrezione non ha reso evidente a tutti il suo operato. Ci penserà la Storia a rendergliene testimonianza e merito.

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