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Malattie rare, il modello Toscana (e Piemonte). Parla Boschi

Di Rossana Rubino

Il nostro sistema costituzionale consente una grande eterogeneità a livello regionale in materia sanitaria. I cittadini non sono uguali in tutte le regioni. “Sarebbe importante quanto meno avere una indicazione a livello nazionale che possa tutelare tutti i malati, ovunque risiedano”. Conversazione con la deputata di Italia Viva, anche sul tema dell’oblio oncologico

Maria Elena Boschi è contenta per la mozione approvata in Toscana che riconosce l’insufficienza intestinale cronica benigna come malattia rara. Significa introdurre molti vantaggi per i pazienti, e sono tanti, che soffrono questa patologia. Boschi si è molto battuta per questo risultato. E a livello nazionale, insieme ai colleghi dell’intergruppo parlamentare per le Malattie rare, sta facendo lo stesso: “Sarebbe importante quanto meno avere una indicazione a livello nazionale che possa tutelare tutti i malati, ovunque risiedano”.

Grazie all’approvazione della mozione Scaramelli in Giunta regionale, l’insufficienza intestinale cronica benigna potrà essere stata riconosciuta come malattia rara in Toscana. Tradotto, cosa vuol dire per i pazienti della regione?

L’insufficienza intestinale cronica benigna comporta la necessità di una integrazione per via venosa della nutrizione perché l’intestino non è più in grado di svolgere la sua funzione primaria. Questo richiede molti specialisti coinvolti, un trattamento terapeutico domiciliare e spesso anche la necessità di una assistenza sociale e lavorativa. Questo riconoscimento comporta che almeno in Toscana ci potrà essere un accesso agevolato ai trattamenti, nonché alla fase diagnostica e avere accesso ad una assistenza sociale oltre che sanitaria. Un ringraziamento va a Stefano Scaramelli per l’attenzione al tema e ai consiglieri regionali che lo hanno sostenuto. Un primo passo avanti importante.

Lei si è molto impegnata su questo fronte. Come funziona nelle altre regioni?

Per me è stato fondamentale l’incontro con le associazioni che si occupano di questa malattia rara, in particolare la onlus “un filo per la vita” che mi ha aiutato a comprendere meglio la quotidianità e le difficoltà di queste persone. La regione Piemonte è stata la prima a riconoscere tra le malattie rare la Iicb, ma in molte regioni siamo a zero. Questo anche per colpa del nostro sistema costituzionale che di fatto consente una grande eterogeneità a livello regionale in materia sanitaria. I cittadini non sono uguali in tutte le regioni. Sarebbe importante quanto meno avere una indicazione a livello nazionale che possa tutelare tutti i malati, ovunque risiedano.

Secondo lei i fondi destinati alle malattie rare sono sufficienti?

Apprezzo che il governo abbia approvato un nuovo piano per le malattie rare ma purtroppo le risorse stanziate, ossia 25 milioni all’anno per due anni, sono sicuramente insufficienti. Teniamo conto che i malati rari in Italia sono circa 2 milioni. Per questo, più volte ho presentato proposte in Parlamento per ampliare in modo significativo i fondi. E soprattutto è stata davvero una occasione persa per la sanità italiana rinunciare definitivamente ai 37 miliardi del Mes sanitario che noi di Italia Viva abbiamo chiesto con insistenza a tutti i governi.

Quali sono le sfide che l’Intergruppo malattie ha attualmente all’orizzonte? 

Presidiare l’attuazione del testo unico per le malattie rare, approvato nella scorsa legislatura, che necessita ora dei decreti attuativi del governo e che mancano ancora quasi tutti all’appello. Chiedere più risorse perché il piano per le malattie rare non resti solo un libro di buone intenzioni e soprattutto cercare di avere una omogeneità su tutto il territorio nazionale nel trattamento dei malati rari. Specie per gli screening neonatali a cui molto abbiamo lavorato con l’on. Lisa Noja in passato. Da una diagnosi precoce dipende in molti casi la vita o la morte o comunque la qualità della vita, ad esempio per una respirazione autonoma. È inaccettabile che anche su questo ci siano differenze tra regione e regione.

Il suo impegno parlamentare in questi giorni è incentrato sul cosiddetto diritto all’oblio oncologico. Di cosa si tratta e cosa prevede la sua proposta di legge?

Si tratta di superare una vera e propria ingiustizia. Oggi un ex paziente oncologico guarito non può adottare un bambino o contrarre polizze assicurative, accedere a mutui o prestiti. O è sottoposto a oneri maggiori rispetto a qualunque altra persona. Non è accettabile e non c’è una base scientifica per questa discriminazione. Con la legge che ho presentato e che è sostenuta in modo bipartisan, si elimina questa ingiustizia.

Ci sono convergenze in parlamento su questa proposta di legge? È fiduciosa?

Il testo unificato a cui abbiamo lavorato con la collega Marrocco è stato condiviso da tutti i gruppi, alla unanimità, in commissione. Mi auguro che lo stesso avvenga in aula. Sarebbe un bellissimo segnale se prima della fine dell’anno anche il nostro Paese avesse una legge sull’oblio oncologico come già esiste, ad esempio, in Francia, Lussemburgo e Portogallo.

Lo scorso 28 febbraio è stata approvata una mozione sulle malattie rare in Aula alla Camera a sua firma. Quali sono gli impegni principali sui quali occorre concentrare gli sforzi?

È stato un lavoro condiviso coi colleghi di tutti i partiti nell’intergruppo malattie rare e votata alla unanimità. Ora però dobbiamo trasformare quei traguardi ambiziosi in realtà per i 2 milioni di italiani con malattie rare. Investire risorse nella ricerca perché dai progressi scientifici passa la possibilità di una diagnosi e di una terapia e poi una presa in carico complessiva della persona. I bisogni spesso non sono legati solo alle cure ma anche alla assistenza domiciliare, alle diverse esigenze lavorative, ad un supporto psicologico. Senza dimenticare che una malattia rara cambia la vita di tutta la famiglia.

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