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Zero fame, Maurizio Massari spiega perché il vertice di Roma

Di Maurizio Massari

Cosa è cambiato a distanza di due anni dall’ultima riunione? Come possiamo eradicare la fame e la malnutrizione dal mondo quando mancano solo sette anni alla scadenza del 2030 e il loro livello non accenna a migliorare? L’analisi di Maurizio Massari, rappresentante permanente d’Italia alle Nazioni Unite, alla vigilia del vertice internazionale in programma dal 24 al 26 luglio a Roma

L’obiettivo numero due dell’Agenda Onu 2030, “Zero fame”, non è mai stato così lontano. Come possiamo eradicare la fame e la malnutrizione dal mondo, con tutte le loro drammatiche conseguenze, quando mancano solo sette anni alla scadenza del 2030 e il livello di fame nel mondo non accenna a migliorare e anzi è tornato pari a quello del 2005?

Si tratta di una corsa a ostacoli per le Nazioni Unite e per i suoi Stati membri e l’Italia è indubbiamente tra gli “atleti” più allenati. Nel 2021 a Roma si è tenuto il pre-vertice sui sistemi alimentari delle Nazioni Unite. In quella occasione tutti i governi e le parti interessate hanno dato un impulso globale alla trasformazione dei sistemi alimentari, con centinaia di impegni assunti, molti “percorsi d’azione” e coalizioni istituite. Ma l’attuazione degli impegni va monitorata.

Per questo il segretario generale Onu Guterres si è impegnato a convocare ogni due anni una riunione globale di valutazione per esaminare i progressi compiuti. Questo sarà lo Stocktaking moment che si terrà a Roma tra pochi giorni. Cosa è cambiato a distanza di due anni dall’ultima riunione?

Nonostante lo slancio e l’impegno per “ricostruire meglio” seguito alla crisi pandemica, il quadro globale è peggiorato a causa dell’esacerbarsi di conflitti – e della nascita di nuovi – e dei loro effetti globali o localizzati che causano crisi alimentari diffuse, e a causa del deterioramento dei territori (siccità, disastri naturali eccetera) legato al cambiamento climatico.

Pensiamo, nel primo caso, all’insicurezza alimentare (ed energetica) oltre che all’inflazione innescata dalla guerra di aggressione russa contro l’Ucraina, di cui i Paesi poveri e soprattutto l’Africa hanno pagato il prezzo più alto. Le loro speranze sono appese al filo della cosiddetta Black sea (Grain) initiative, che dal suo avvio ha consentito di sbloccare oltre trenta milioni di tonnellate metriche di grano ucraino e di altri alimenti.

Nel secondo caso pensiamo al triste primato nella regione del Corno d’Africa, afflitta da una siccità che non trova precedenti negli ultimi decenni per gravità e persistenza. L’Onu stima in 43,3 milioni le persone che, specialmente in Etiopia, Kenya e Somalia, necessitano di aiuti-salvavita e in 23,5 milioni quelle che soffrono di grave malnutrizione.

È come se una popolazione simile per dimensione a quella italiana stesse per essere spazzata via dalla carta geografica. Oltre tre milioni sono poi i rifugiati e gli sfollati. Anche su questa crisi l’Onu può fare la differenza e mitigare l’impatto, creando le condizioni affinché le popolazioni interessate non siano costrette a lasciare le proprie terre in cerca di una vita più sicura altrove.

Per farlo, è urgente rifinanziare i programmi umanitari Onu nella regione. Per questo l’Italia ha organizzato il 24 maggio prossimo a New York una conferenza di raccolta fondi insieme con l’ufficio Onu per gli Affari umanitari, gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Qatar in collaborazione con i governi di Etiopia, Kenya e Somalia. Muovendoci dal contesto regionale a quello mondiale, i dati Onu non sono più confortanti.

Una persona su tre nel mondo si trova in condizioni di moderata o grave insicurezza alimentare. Nel 2022, almeno 258 milioni di persone in 58 Paesi hanno sofferto di “insicurezza alimentare acuta” definita come fame così grave da mettere a rischio la vita. Si tratta di una cifra cresciuta di 193 milioni rispetto al 2021.

Lo scorso anno, almeno 148 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni sono stati colpiti da arresto della crescita. Nel prossimo futuro il rischio che corriamo è di passare da una crisi di accessibilità delle risorse a una crisi di disponibilità, a meno che non vengano intraprese azioni sistematiche per garantire la resilienza delle catene di approvvigionamento, la stabilità dei prezzi, l’accesso ai finanziamenti, la localizzazione delle produzioni e la sostenibilità dei sistemi alimentari.

Dobbiamo aumentare l’intensità della nostra azione e per questo lo Stocktaking moment di Roma ha l’ambizione di essere l’acceleratore a disposizione della comunità internazionale per trasformare i sistemi alimentari in modo sostenibile e inclusivo. Il successo del vertice di luglio dipenderà dal contributo di tutti coloro che hanno interessi in gioco, inclusi gli attori non-statali come il settore privato, la società civile, il mondo accademico, le donne e i giovani delle aree rurali: ognuno può e deve fornire soluzioni.

Lo Stocktaking moment giunge in un momento cruciale, a soli 53 giorni dal vertice Onu sugli Sdg che si terrà a settembre a New York. Non sfugge la sua importanza quale tappa intermedia. Senza la sicurezza alimentare e la nutrizione per tutti, senza mantenere la promessa “Fame zero”, non possiamo realizzare nessuno degli altri obiettivi dell’Agenda 2030.

Il fatto che questo importante appuntamento si svolga a Roma conferma il ruolo-guida dell’Italia a livello globale su questi temi, anche quale Paese ospite del polo agro-alimentare delle Nazioni Unite e di presidente del Gruppo di amici della sicurezza alimentare e della nutrizione all’Onu.

Dalla nostra prospettiva la lotta contro la fame e lo Stocktaking moment rivestono un’importanza particolare anche nel quadro dei rapporti e della solidarietà con il “sud globale”, che l’Italia vuole rafforzare. Il messaggio dell’Italia per questo vertice è: contate su di noi.

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