Sia la vicenda Prigozhin, sia l’improvviso e inatteso arresto di Girkin (il quale sulla base delle imputazioni avanzate rischia fino a cinque anni di carcere) appaiono come tasselli di un quadro che si va delineando sul piano giuridico e militare, ma che presenta altresì elementi per una analisi più ampiamente politica
Il fermo e quindi l’arresto avvenuto venerdì mattina a Mosca di Igor Girkin, leggendario combattente russo, ex colonnello dei Servizi di Sicurezza, ex ministro della Difesa della repubblica autonoma di Donetsk, fervente patriota e notissimo blogger, marca il primo evento importante del “dopo Prigozhin”.
Il primo episodio di una serie che era ampiamente prevedibile dopo il fallito ammutinamento, anche se molto meno prevedibile resta, a tutt’oggi, quello che ne sarà il risultato finale. Ciò che invece è già discernibile è lo sfondo di quanto accade, e cioè una situazione sociale del Paese che, anche a causa dell’andamento insoddisfacente della guerra, alimenta una domanda crescente di critica alla governance putininana.
Domanda che finora è stata soddisfatta in modo non coordinato e abbastanza slabbrato, ma che, soprattutto, si è concretizzata in manifestazioni di “dissenso” che provengono da forze che non solo non si oppongono alla guerra, ma che anzi vorrebbero combatterla con più vigore e determinazione. Sono quelli che alcuni definiscono “turbopatrioti” , e che in qualche modo si collegano idealmente alla nuova destra russa, traducendone le istanze nazionalistiche e identitarie in precise strategie espansionistiche.
Mire, tutte, messe profondamente in crisi dalla pessima conduzione della guerra in Ucraina. Sono mesi che sia Prigozhin che Girkin (uno dei fondatori del movimento Novorossiia, che per la zona del Mar Nero si rifà alle conquiste dell’Impero Russo nel XVIII secolo) esprimono con molta libertà e chiarezza critiche feroci alla gestione degli eventi bellici in Ucraina, nonché all’inettitudine e alla corruzione dell’apparato militare e del ministero della Difesa. Entrambi non hanno mai attaccato direttamente Putin, ma le accuse rivolte con grande veemenza agli apparati erano tali da meritare sanzioni molto più motivate di quelle inflitte ai tanti dissenzienti che stanno scontando pene carcerarie.
Quali sono, dunque, le differenze, tra i cosiddetti pacifisti e i due personaggi in questione, “patrioti” se mai ve ne furono? In primis, si sarebbe tentati di dire, la capacità di questi ultimi di mobilitare uomini, più che idee – leggi sempre più restrittive stanno smantellando qualunque manifestazione di dissenso ideale e intellettuale, e le uniche voci critiche parlano ormai da altri Paesi -.
Forse solo oggi il Cremlino si sta rendendo conto del proliferare recente di eserciti “privati” attivi nel Paese, tutti legati a centri di potere economico – il solo Gazprom controlla ormai cinque piccole formazioni militari, con piena capacità di azione e autonomia finanziaria.
Quali forze si siano mosse (o possano ancora muoversi) dietro Prigozhin non è ancora chiaro, ma, seppure con alcune evidenti defezioni dell’ultima ora, si tratta di potentati economico-militari di notevole peso – tra cui, sembra di capire, una parte dell’esercito ufficiale legata al generale Surovikin, la cui sorte resta tuttora oscura -.
L’ eroe e criminale internazionale Girkin (l’anno scorso il tribunale dell’Aja lo ha riconosciuto colpevole dell’attacco missilistico posto in essere nel 2014 nel Donbass contro un Boeing delle linee aeree malesi, che provocò 298 vittime) al contrario oggi non dispone di apparati combattenti operativi, e tra gli oligarchi importanti lo sostiene apertamente solo Konstantin Malofeev, uomo d’ affari molto legato alla destra ultrareazionaria e alla problematica ucraina.
Tuttavia, con la sua attività di propaganda nell’ultimo anno e mezzo si è conquistato un ampio seguito, soprattutto fra i militari.
A differenza di Prigozhin, Igor Girkin è latore di una sua ideologia e di una visione del ruolo russo nel mondo: sei anni fa, in un insolito dibattito mediatico con Navalnyi, ammise di essere stato un ammiratore fervente del primo Putin, e di aver considerato l’annessione dell’Ucraina nel 2014 come l’inizio di una sua “rivoluzione dall’alto”, segnata dalla rottura netta con l’Occidente e i suoi valori. In quell’occasione il “comandante Strelkov” si definì apertamente monarchico, e teorizzò l’assolutismo monarchico come la forma di governo più consona per una nuova superpotenza russa, in grado di travalicare e superare le storture del regime sovietico. Inutile dire che la conduzione della guerra lo ha progressivamente allontanato dal Cremlino e dalla sua leadership militare, anche da lui attaccata in termini spesso brutali.
In conclusione, sia la vicenda Prigozhin che l’improvviso e inatteso arresto di Girkin (il quale sulla base delle imputazioni avanzate rischia fino a cinque anni di carcere) appaiono come tasselli di un quadro che si va delineando sul piano giuridico e militare – non è certo chiusa la partita con i vari generali e colonnelli dell’esercito di Stato – ma che presenta altresì elementi per una analisi più ampiamente politica. A questo proposito basta solo porre mente alle tante nuove parole d’ordine espresse negli ultimi tempi da quelli che possiamo definire oppositori “patrioti” e a favore della guerra: più di una volta sia Prigozhin che Girkin hanno fatto riferimento alla necessità di combattere la corruzione degli apparati di potere, agli arricchimenti eccessivi dell’elite governativa e, addirittura, all’importanza di mantenere in vigore il principio costituzionale della libertà di parola.
Sembrano, a ben vedere, espressioni ricavate da un discorso di Navalnyi… E qui si apre quella che può essere una nuova prospettiva di analisi della complicata situazione russa, basata sulla supposizione che la progressiva caduta di quelli che erano gli “intoccabili” del sistema non sia in realtà che l’inizio di un tentativo spasmodico, da parte della leadership putiniana, di evitare che le forze di opposizione “di destra” trovino punti di incontro con quelle “di sinistra”, per unirsi in un fronte allargato contro il potere dominante. Quella, sì, sarebbe una vera sciagura per Vladimir Vladimirovich.