“La Dc è come un vetro infrangibile. Quando si rompe va in mille pezzi e non è più ricomponibile”, diceva lo storico leader Guido Bodrato, recentemente scomparso. Parole essenziali che racchiudono una profonda verità. La Democrazia Cristiana è stata un “fatto storico”, un prodotto politico concreto di una precisa e irripetibile fase italiana. Non a caso, continuano ad esistere i “democristiani” ma non esiste più la Dc. Il commento di Giorgio Merlo
Purtroppo è un vizio che non demorde. Sono passati 30 anni da quando ha chiuso definitivamente i battenti ma la voglia di continuare a denigrare, a ridicolizzare se non addirittura a criminalizzare politicamente la Democrazia Cristiana è una tentazione troppo forte da poterci rinunciare.
È appena sufficiente scorrere alcuni recenti commenti – tra tutti quello di Michele Serra su Repubblica – per rendersene conto. Insomma, la Dc è stata un incidente della storia, nella migliore delle ipotesi. Un partito che, secondo la vulgata principale, si è limitato ad essere un mero “partito di potere” che ha governato coprendo e favorendo vari scandali e che sarebbe tramontata perchè travolta, appunto, dagli scandali.
Una lettura, come ovvio, del tutto strumentale e infarcita di pregiudizi morali, culturali e politici che non tramontano. Mai. Anzi, si rafforzano negli anni e che fanno della Dc un partito – secondo l’interpretazione di questi singolari interpreti – che non merita neanche di essere ricordato, se non per l’esperienza nefasta che l’ha caratterizzato per quasi 50 anni. Ma, al di là di queste interpretazioni strumentali e radicalmente faziose nonché ancora cariche di rancori e di pregiudizi, non possiamo non ricordare che la fine della Dc non poteva non terremotare l’intera politica italiana. E così è stato. E questo al di là delle motivazioni specifiche, a tutti ben note anche se restano ancora avvolte in un alone di mistero, che hanno portato alla conclusione traumatica di quel partito.
Ora, al di là delle letture strumentali e politicamente fuorvianti, possiamo dire con chiarezza e senza tema di essere smentiti che la Dc come partito organizzato appartiene alla storia politica italiana ma la sua cultura, i suoi valori, lo “stile” dei suoi leader e statisti e lo stesso modello organizzativo di quel partito non sono affatto storicizzati. Anzi, conservano una bruciante attualità nella cittadella politica italiana anche se quel partito appartiene, come dicevo poc’anzi, alla storia del nostro Paese.
Al riguardo, non possiamo non far nostre le parole, come sempre puntuali e precise, pronunciate anni fa da Guido Bodrato (in foto), uno dei principali leader e statisti della Democrazia Cristiana scomparso alcune settimane fa. Diceva Bodrato che “la Dc è come un vetro infrangibile. Quando si rompe va in mille pezzi e non è più ricomponibile”. Parole semplici, le sue, ma essenziali e come sempre intelligenti che racchiudono una profonda verità. E cioè, la Dc è stata un “fatto storico”. Ovvero, un prodotto politico concreto di una precisa e irripetibile fase storica italiana. Non a caso, continuano ad esistere i “democristiani” ma non esiste più la Dc. E, pertanto, tutti i tentativi – goffi e anche un po’ patetici – di candidarsi ad eredi esclusivi o parziali della Dc, oltre ad essere un’operazione irrituale e anti storica, rende anche un cattivo servizio al ruolo politico, culturale, istituzionale e di governo esercitato per quasi 50 anni dalla Democrazia Cristiana nel nostro Paese.
Ma quello che va battuto, senza indugi anche se aperti sempre al dialogo e al confronto, è il tentativo di offrire in modo permanente una visione distorta del ruolo politico, culturale e di governo della Democrazia Cristiana nello scacchiere politico nazionale. Ovvero coloro che, ieri come oggi, continuano a individuare nella Dc e nella sua straordinaria classe dirigente una esperienza o “criminale” o semplicemente “nefasta” per la salute della democrazia italiana, per la credibilità delle nostre istituzioni e per il governo del Paese.
Una narrazione che appunto, ieri come oggi, è riconducibile prevalentemente al campo della sinistra politica, culturale, editoriale, intellettuale ed accademica e ad alcuni settori marginali della destra. Un campo che non riesce a spogliarsi di questa visione caricaturale. Eppure, la storia e l’esperienza della Dc non solo hanno garantito una lunga stagione di democrazia, di benessere e di crescita all’intero Paese in un periodo carico di difficoltà e di contraddizioni ma, soprattutto, hanno saputo dispiegare – seppur tra alti e basi – un “progetto di società” capace di coniugare sviluppo e giustizia sociale, libertà e autonomia, dritti e doveri, pluralismo e rispetto dell’azione di governo.
Insomma, una visione complessiva della società che affondava le sue radici nel patrimonio culturale e storico del cattolicesimo democratico, popolare e sociale. Per dirla con parole più semplici, nella storia e nell’esperienza del cattolicesimo politico italiano. Il tutto, come ovvio, con una classe dirigente di grande autorevolezza e di rara qualità. È appena sufficiente scorrere i nomi e i cognomi dei leader storici delle tanto vituperate “correnti” – che, è sempre bene ricordarlo, erano strumenti democratici di elaborazione politica e culturale e, soprattutto, rappresentavano pezzi di società e legittimi interessi sociali – per rendersi conto che la classe dirigente della Dc non è più stata eguagliata nel tempo.
Certo, sarebbe offensivo anche solo il confronto con quella della seconda Repubblica per non parlare del “niente della politica”, per dirla con Mino Martinazzoli, che ha caratterizzato la stagione populista, anti politica, demagogica e qualunquista di questi ultimi anni dominata dal partito populista per eccellenza, cioè i 5 Stelle. Ecco perché le parole che ho richiamato di Bodrato sono e restano inappellabili. Ma è anche per questa ragione che è compito e dovere di noi cattolici democratici, popolari e sociali far sì che, oggi, la storia e l’esperienza della Dc non continuino ad essere infangati e derisi da un lato e che, dall’altro, quei valori e quella cultura abbiano ancora piena ed attiva cittadinanza nella cittadella politica italiana.