I voti dell’Agenzia internazionale dell’energia, presentati alla Fondazione Eni Enrico Mattei, sono solo parzialmente positivi. Ottimi gli sforzi di riduzione dei consumi (con lode sul distacco dal gas russo) e buone le premesse sulle rinnovabili; insoddisfacenti l’installazione e le politiche per decarbonizzare in tempo. Gli interventi di Giovannini, Gracceva, Scanziani e Scarpa
Negli ultimi anni il Belpaese ha alzato l’ambizione sul fronte del clima, allineandosi agli obiettivi europei per decarbonizzare il sistema energetico e raggiungere la neutralità emissiva entro il 2050, con una tappa intermedia al 2030. Secondo l’ultimo country report dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), l’Italia è sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi di fine decennio: “il governo ha adottato misure incoraggianti per superare le lunghe procedure di autorizzazione, gli oneri amministrativi e la crescente opposizione locale che hanno ritardato l’installazione di nuovi impianti da fonti rinnovabili”.
MENO RUSSIA, PIÙ SICUREZZA ENERGETICA
Il quadro di partenza è positivo, da quanto emerge alla presentazione del country report organizzata dall’Iea e dalla Fondazione Eni Enrico Mattei. Le emissioni climalteranti si sono ridotte drasticamente dal picco del 2005, ha sottolineato in apertura Alessio Scanziani (Policy e Data Research Lead presso lo Strategic Initiative Office dell’Iea). E va riconosciuto anche lo sforzo di ridurre la dipendenza dal gas russo, dal 38% di fine 2021 al 9% del secondo trimestre del 2023. Ottimismo anche per il futuro: ad oggi le riserve statali sono già piene all’86% (l’obiettivo europeo è arrivare alla stagione fredda col 90%), cosa che potrebbe aiutare Roma a diminuire il ricorso al gas russo e rispettare l’obiettivo di abbandonarlo completamente nel 2025.
Lo sforzo è complementare all’accelerazione sul versante dell’efficientamento energetico e delle rinnovabili, che gradualmente stanno sostituendo sempre più l’energia da fonti fossili – benché nel 2022 si sia dovuti ricorrere a più carbone, che verrà abbandonato sempre nel 2025 secondo i piani dell’esecutivo. A ogni modo, ha rilevato Scanziani, il 50% dell’energia elettrica italiana arriva ancora dal gas, e così sarà per diversi anni, data la mancanza di energia baseload pulita (come il nucleare).
In questo senso vanno accolti con soddisfazione gli sforzi per diversificare la fornitura, anche grazie a due nuovi rigassificatori galleggianti (quello di Piombino, entrato da poco in funzione, e quello di Ravenna atteso per l’anno prossimo). E nel solco della sicurezza energetica si collocano i progetti italiani di diventare un hub del gas dal Nord Africa verso l’Europa, parte del Piano Mattei che verrà presentato al Summit Italia-Africa del prossimo ottobre.
STRADA IN SALITA PER LA DECARBONIZZAZOINE
La fotografia si fa più cupa se si guarda all’adozione delle tecnologie rinnovabili. L’Italia, ha sottolineato Scanziani, sta aggiungendo in media 5 gigawatt all’anno – la metà della media europea e molto meno di quanto prevedono gli obiettivi – a fronte di oltre 100 GW di interconnessioni richieste, ampiamente sufficienti per rispettare gli obiettivi di decarbonizzazione. L’ostacolo sono le procedure di approvazione, che l’Iea esorta di velocizzare attraverso un pacchetto di riforme. La rete è sempre più pronta, ha detto più tardi Elisa Scarpa (Edison), considerando che l’Italia è leader nell’adozione di smart meters e sistemi intelligenti di gestione.
Si va piano anche sulla decarbonizzazione dei trasporti, dove la soluzione passa da politiche volte a ridurre il ricorso al petrolio favorendo la diffusione di auto elettriche e combustibili alternativi anche grazie a un regime di tassazione preferenziale, spiega il rapporto Iea. Benzina e diesel alimentano ancora l’89% del trasporto italiano e si vendono poche auto elettriche rispetto agli altri Paesi europei, nonostante gli sgravi. L’ideale sarebbe raggiungere 6 milioni di vetture elettriche al 2030, ha detto Scanziani.
Serve l’attenzione dello Stato anche sul versante dell’efficientamento energetico, dove il suggerimento dell’Iea è rivedere il Superbonus 110% – ritenuto troppo dispendioso e poco centrato sulle fasce più deboli della popolazione, a fronte di guadagni marginali in termini di efficienza. Serve “massimizzare i risparmi energetici per ogni euro speso” e ideare uno schema di supporto per famiglie a basso reddito. Stessa linea sulla povertà energetica: aiuto ai consumatori più deboli combinato a un approccio leggero sulle politiche di razionamento.
LA NECESSITÀ DEL DIALOGO…
Nel panel che ha fatto seguito alla presentazione è intervenuto l’ex ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibile Enrico Giovannini, oggi nel Dipartimento di Economia e Finanza dell’Università di Roma Tor Vergata. Il suo messaggio: la discrepanza tra destra e sinistra nel trattare il tema della decarbonizzazione non sta favorendo l’emersione di un piano che possa resistere ai cambi di governo. I sondaggi, ha detto, mostrano che il 30% degli italiani prioritizza la lotta al cambiamento climatico e 30% lo sviluppo economico, ma solo il 20% crede che le due strade siano compatibili – un errore, ha sottolineato, considerando che i risparmi generati da rinnovabili ed efficientamento superano di gran lunga i costi legati alla transizione, specie per le fasce più deboli della popolazione.
Il Piano nazionale integrato energia e clima inviato all’ultimo momento da Roma a Bruxelles “non alloca una quantità chiara di risorse alle diverse azioni”, ha continuato Giovannini, benché le aziende italiane siano già ben proiettate in avanti – e anzi vogliano essere leader nel settore dell’energia globale. Scarpa ha poi sottolineato che la volatilità estrema del mercato non aiuta i piani, come emerso con la decisione del titano eolico Vattenfall di cancellare una parte dei piani di installazione nel Regno Unito a causa dei costi aumentati del 40%: dunque “serve ancorare gli investimenti” per assicurarsi che il sentiero rimanga percorribile.
… E LE SFIDE DELL’INDUSTRIA
L’ultimo oratore, Francesco Gracceva (Enea), ha portato l’attenzione sulla ricerca e lo sviluppo dell’industria nel campo delle tecnologie verdi. I dati sono sconfortanti: il presidio italiano è pari all’1,3% (meno delle altre grandi economie europee) e in decrescita, mentre la quantità di brevetti italiani è pari allo 0,6% di quelli globali (sempre in decrescita). Anche la bilancia commerciale pende a sfavore dell’Italia nel campo delle tecnologie energetiche. I motivi sono parzialmente strutturali – scarsa digitalizzazione, poca cooperazione tra stakeholder, accesso insufficiente ai fondi.
L’altro grande ostacolo è la prevalenza di piccole e medie imprese nel tessuto economico italiano, che mal si sposa con le economie di scala, ha spiegato Gracceva. Citando uno studio di Althesys, che ha mappato la catena di produzione delle tecnologie cleantech, emerge che solo il 7% delle realtà italiane sono grandi imprese – e solo il 4% si dedica allo sviluppo di tecnologie di frontiera, quelle più immature, più rischioso ma in grado di garantire una vera accelerazione in termini di innovazione. Richiamando le lezioni dell’economista italo-statunitense Mariana Mazzucato, l’esperto di Enea ha suggerito il ricorso a un portafoglio compatibile con il rischio di fallimento che comporta la ricerca d’avanguardia, perché rimane necessaria per raggiungere una svolta.