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La visita di Meloni a Kissinger? È il punto di partenza per i popolari

Di Giancarlo Chiapello

Sorge perplessità, agli occhi di un democratico cristiano, a leggere del colloquio tra il presidente del Consiglio e l’ex segretario di Stato statunitense. Tra i motivi di riflessione c’è il fatto che nel Dna della destra italiana non c’è sempre stato il seme dell’atlantismo. Ma dal pragmatismo meloniano emerge una dimensione politica e culturale che tende a fare dell’occidentalismo il punto focale di un’azione politica

Se ragionassimo in termini di patriottismo, grande perplessità sorge agli occhi di un democratico cristiano leggendo dell’incontro tra la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni e Henry Kissinger, per due motivi precisi. Innanzitutto perché la memoria ritorna alle letture e notizie sul viaggio nel 1974 di Aldo Moro, Ministro degli Esteri, negli Usa dove incontrò proprio l’allora Segretario di Stato americano: è il segretario dello statista democristiano, Guerzoni, a confermare le dure e minacciose parole di avvertimento contro di lui e la sua linea politica, volta ad aprire la democrazia italiana a dinamismo e alternanza, da cessare pena pagarne le conseguenze; lo scontro era duro tanto che Il Giorno non pubblicò un articolo di Moro, poco prima del rapimento e del barbaro assassinio, in cui la sua dialettica rispetto all’amministrazione statunitense non era per niente soft, confermando la posizione di alleato in piedi.

In una intervista sulla vicenda Moro su La Repubblica del 17 agosto 1978 a Miriam Mafai così si esprimeva colui che è stato un grande Ministro del Lavoro, Luigi Granelli: “Gli americani? Il termine è troppo generico per consentire una risposta. Si sa che con Kissinger non si capiva molto, e non c’è da stupirsene visto lo schematismo dell’uno e le sottigliezze dell’altro. Ricordo uno sgradevole brindisi di Kissinger, a Roma, alla fine di un pranzo e di un lunghissimo colloquio ufficiale con Moro. Abbiamo parlato a lungo della situazione dell’Italia, disse Kissinger, fino al 1947 ho capito bene tutto; poi non ha capito più niente. Moro era molto seccato”.

La storia avrebbe forse dovuto rendere improponibile l’incontro e certamente l’identità popolare e democratico cristiana lo rende un fatto che segna, al di là di ipotesi o dinieghi di alleanze possibili, confini e differenze tra destra in evoluzione conservatrice in cerca di un accreditamento internazionale, che tende a dimenticare la difesa morotea della sovranità italiana ed europea, e Popolari veri. Il secondo motivo che suscita perplessità un po’ si collega al primo e lo si può considerare partendo dall’articolo di Francesco De Palo, “Così la destra atlantista si è fatta strada in Europa”: al netto del ricordo del dna della destra italiana che proprio sempre il gene dell’atlantismo non ha avuto (“ricordiamo allora che nel 1949 il partito della fiamma si oppose alla ratifica del trattato che istituiva il Patto Atlantico. Proprio in quell’anno, tra la fine di giugno e gli inizi di luglio, si svolse a Roma il secondo congresso del partito, che confermò la leadership di Almirante e sancì la linea anti-americana. E non è certo difficile capire perché: costituito in gran parte da ex combattenti della Rsi, poteva mai, il partito nato nel 1946, accettare un’alleanza militare tra il nostro Paese e i nemici di pochi anni …?”, da “I 70 anni della Nato visti da destra; perché il Msi si oppose e poi cambiò idea. Un grande dibattito”, di Aldo Di Lello, Il secolo d’Italia, 5 aprile 2019) e concordando sull’analisi del pragmatismo meloniano emerge una dimensione politica e culturale che tende a fare dell’occidentalismo il punto focale di un’azione politica.

Qui c’è naturalmente lo stretto collegamento con la ricerca di accreditamento internazionale: ciò che, però, interessa davvero, è che c’è un’altra distinzione rispetto alla tradizione, storia e identità popolare e democratico cristiana, ossia la prevalenza, per questa della centralità dell’Europa rispetto al tentativo di fare assurgere la geografia a ideologia con il rientro dalla finestra di ciò che si dichiara di voler tenere lontano dalla porta, ossia cultura woke e transumanesimo che stanno spirando dall’anglosfera e rispetto a cui troviamo la messa in guardia del Pontefice ai cattolici col riferimento alle colonizzazioni ideologiche.

Si innesta anche in questa diversità, il documento di Popolari di diversa provenienza (rintracciabile sul profilo twitter di Italia Popolare che funge da segreteria tecnica e richiedibile su www.popolaritaliani.it) a sostegno del messaggio di Papa Francesco al Ppe, un testo storico che spazza via azioni dei neo-melodici, leggende sull’unica possibilità di nidi del cucùlo in partiti grossi, che ovunque si possa essere popolari riprendendo posizioni parziali di sinistre, destre centri interni alla vecchia Dc.

Innanzitutto quello che riporta De Palo sulla dimensione culturale liberal-conservatrice, che fa il paio col turbo progressismo radicale a sinistra, indica che urge la rimessa in ordine dell’area popolare e del Ppe in Italia che non può limitarsi a gestire un declino: in questo le parole del Papa aiutano indicando una direzione perché fornisce le coordinate di un impegno ed una rinnovata presenza popolare che ha il Vangelo come stella polare, la Dottrina Sociale della Chiesa come bussola ritrovando così la richiamata tradizione e storia democratico cristiana che ha forgiato il pensiero popolare e ha posto le fondamenta della casa comune Europa come traccia: solo innanzitutto chiari nell’identità possiamo essere efficaci nella collaborazione con chi ha varia e diversa affiliazione”.

Chiavi di volta? “Il “pluralismo interno” che è fonte di dibattito consapevole che ha un limite, infatti “su alcune questioni in cui sono in gioco valori etici primari e punti importanti della dottrina sociale cristiana occorre essere uniti’”, la serietà del politico cristiano, la dinamica virtuosa tra solidarietà e sussidiarietà, la visione dell’Europa, la costruzione della Pace. Anche grazie a questa chiarezza è possibile una sana dialettica, non incagliata nel frontismo ormai senza ideali destra-sinistra, difeso a scapito dei pensieri e delle famiglie politiche, tra diversi fosse pure per far comprendere cosa significhi davvero un incontro, che confine determina, che linea d’appoggio al Papa porta con sé (anche in vista delle elezioni europee, per la corretta meditazione dei vertici del Ppe).

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