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Il post Prigozhin. Più o meno instabilità per la Russia? L’analisi di Giorgio Cella

Di Giorgio Cella

Dietro la morte del capo della Wagner non c’è solo uno scontro individuale tra due personalità ma uno scontro di potere tra apparati e oligarchi. Le conseguenze del post Prigozhin, la questione bielorussa e i Brics spiegati da Giorgio Cella, analista di politica internazionale e autore del libro Storia e geopolitica della crisi ucraina

La lotta di potere dietro la morte di Prigozhin

Aldilà delle dinamiche ancora avvolte nel mistero e nell’opacità informativa russa, il caso della morte di Prigozhin deve fare trarre alcune riflessioni. Tale episodio, simile a varie fasi storiche russe dove il potere centrale degli zar si scontrava con boiari desiderosi di posizioni sempre più influenti, disegna una nuova situazione plasmata dalla fine delle fazioni paramilitari e compagnie di contractors in Russia così come le abbiamo sinora conosciute; segna un momento di scontro massimo all’interno della sanguinaria saga di quel processo di riordino della galassia di poteri interni al mondo politico-militare russo innescata dall’evoluzione del conflitto in Ucraina e da ultimo marca plausibilmente la fine del momento insurrezionale della Wagner, sebbene su quest’ultimo punto torneremo in seguito. Un processo già in moto da qualche tempo – è del giugno scorso l’ordine di firmare entro il primo luglio un contratto con il ministero della Difesa per regolamentare tutte le formazioni volontarie, al tempo rifiutato da Prigozhin e accettato invece dai ceceni – accelerato da Putin proprio all’indomani dell’imprevedibile strappo attuato dai vertici Wagner con il tentato (fallito) golpe del 23 giugno.

Altrettanto importante è comprendere come questo scontro non sia solamente uno individuale di personalità tra Putin e Prigozhin, bensì uno scontro tra fazioni di potere: un seppur fallito tentativo di golpe non sarebbe mai stato possibile senza la condivisione, o quantomeno la connivenza, di taluni apparati di potere o delle oligarchie, come del resto dimostra la destituzione del generale Surovikin, apparentemente una quinta colonna wagneriana o, quantomeno, un simpatizzante dell’orchestra. Si può altresì leggere come una prova di forza del regime per mostrarsi ancora in pieno controllo del potere e ad un tempo un messaggio minaccioso rivolto a chi dovesse prossimamente decidere di sfidare il potere costituito. La volontà del Cremlino è stata fin da subito quella di cogliere l’occasione per ripristinare un controllo più forte dello Stato russo su tutte le sue articolazioni militari non ufficiali, prima che esse divenissero gruppi di potere troppo forti, popolari e difficilmente controllabili; ciò senza disperdere la Wagner ma piuttosto integrandola con nuove leadership riformate o di assoluta fiducia (da qui l’obbligo di giuramento di fedeltà verso lo Stato russo all’indomani della scomparsa dei vertici Wagner nei cieli di Tver).

Non dimentichiamo che questo processo di ripulisti in stile sovietico è stato preceduto da una logica similare che ha visto una lunga scia di morti tra oligarchi, scienziati e politici evidentemente ritenuti in qualche modo pericolosi per la sopravvivenza stessa del potere putiniano e dannosi per il corso dell’”operazione militare speciale”, elementi del potere che avevano evidentemente passato una linea rossa. Quella linea rossa che, tornando brevemente ai primi anni del regime putiniano, fu proprio lo stesso presidente russo a porre come regola suprema della sua azione autoritaria di governo: nessuna intromissione nella sfera politica da parte degli oligarchi in cambio della libertà massima in campo economico-finanziario. Evidentemente, appare ora chiaro come tale dettame fosse declinabile anche ai futuri capi di unità militari private o paramilitari, come nel caso del fu Prigozhin, imprenditore prestato al business bellico o come in quello del misterioso siberiano Dimitri Utkin, capo militare della Wagner (anch’egli deceduto nello schianto aereo), rei di aver preso iniziative di natura eminentemente politica.

I possibili futuri del gruppo Wagner

Ora, quello che molto plausibilmente vedremo, sarà una Wagner tout court riformata, in specie nei suoi vertici e nella (nuova) figura apicale che dovrà sostituire la personalità di Prigozhin. Dal punto di vista di Mosca, le articolazioni, la presenza, e l’influenza raggiunti dalla compagnia di mercenari in vari quadranti geopolitici fuori dall’area ex-sovietica (Siria Mali, Libia, Repubblica Centrafricana, Niger et cetera) fa della stessa un asset primario nella proiezione di potenza russa: questo implica che vi dovrà essere un avvicendamento in tempi molto rapidi dei vertici militari della compagnia. Si è già parlato di Victor Bout come sostituto leader, una figura controversa ma per il Cremlino di totale fiducia: ex tenente colonnello dell’esercito russo e famigerato mercante d’armi, rilasciato nel 2022 dopo anni di prigionia negli Stati Uniti, in cambio della giocatrice di basket americana Brittney Griner (trovata in possesso di olio cbd), detenuta forse proprio con l’intento, a monte, di riportare a casa Bout. Paradossali e in un certo senso profetiche suonano ora le dichiarazioni al tempo del rilascio di Bout da parte dello stesso Prigozhin, il quale sostenne con entusiasmo che Bout farà sicuramente bene a capo di un partito politico o di un qualsiasi movimento. Altra figura sostituiva di cui si vocifera, potrebbe essere Andrey Troshev, pluridecorato ex membro delle forze speciali russe, eroe della Russia per aver guidato le operazioni a Palmira in Siria contro Isis. Si noti come, denominatore comune di entrambi i candidati, trattasi di siloviki, di personalità interne al sistema di potere politico, militare, securitario, nessuna figura stravagante ed estranea al sistema, come lo fu Prigozhin: ex criminale e carcerato, poi reinventatosi chef e imprenditore prima nel campo dei servizi alimentari e da ultimo nel mercenariato.

Le conseguenze del post Prigozhin: più o meno instabilità per la Russia? La questione bielorussa e i Brics

L’analisi, rispondente a tale quesito strategico, si divide necessariamente in due aree: domestica ed esterna. In seguito alla scomparsa della mina vagante Prigozhin, sul fronte interno le vicende degli ultimi giorni potrebbero portare a una situazione di rafforzamento del regime di Putin con un quadro securitario relativamente più stabile, con un più esteso controllo massivo e capillare del ministero della Difesa sulle varie agenzie private e formazioni paramilitari. Sempre sul piano interno, come elemento in questo caso di instabilità potenziale, aleggia la variabile di possibili reazioni sovversive o di disordini sociali e sicurezza interna da parte di membri del gruppo Wagner – come noto formata da ex criminali, così come da esperti ex militari e membri delle forze speciali – ora orfane del loro capo carismatico, tramite vendette mirate o nuove azioni golpiste. Possibilità concrete? Non da escludere ma assai ardue: più probabile un adeguamento al nuovo corso, specie se sotto un nuovo leader legato a doppio filo al Cremlino, e ancora più ardue se pensiamo al dislocamento geografico odierno della Wagner attuato dal Cremlino per scoraggiare potenziali azioni sovversive: una parte dei membri Wagner sono difatti ancora in Bielorussia – con forti timori specie di Varsavia dei Baltici riguardo le migliaia di unità Wagner ivi presenti non lontani dai propri confini – una parte in Africa, altri ancora in varie aree della Federazione Russa.

Per quanto concerne la dimensione esterna invece, questo continuo tumulto interno non giova affatto ad un’aura di potenza globale, così agognata nel sentimento imperiale russo, aura già ammaccata dall’andamento del conflitto in Ucraina. Tale spirale di violenza interna va ancora più a detrimento della reputazione di potenza internazionale proprio in questo frangente nel quale, come sappiamo, si sta gradualmente rafforzando e ampliando il gruppo dei Brics, un fronte alternativo al mondo occidentale a guida statunitense, nel quale Mosca ambisce a giocare un ruolo di primissimo piano, insieme a Pechino. Anche in questo nuovo importante movimento economico e geopolitico Mosca rischia tuttavia di lasciare un’influenza decisiva e uno spazio di manovra supremo all’impero celeste, attore dello scacchiere internazionale che ad oggi continua a trarre vantaggi strategici ed esperienziali significativi dall’invasione russa dell’Ucraina e da tutti gli sconvolgimenti e ripercussioni che essa ha generato e che continuerà a generare ancora nel medio e lungo termine.

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