Con il lancio della “cabina di regia” il governo ha messo in moto il processo per il ritorno all’atomo. Il presidente dell’Associazione italiana nucleare, che ha suggerito il percorso, spiega a Formiche.net come approntare le infrastrutture (materiali e non) per preparare il Paese. Dal fronte accademico a quello industriale, passando per la legislazione e la sicurezza
Nel programma elettorale della coalizione di centrodestra che oggi guida il Paese spiccava, alla voce energia e clima, la parola nucleare. A quasi un anno dalle elezioni, Parlamento ed esecutivo hanno posto le basi per tornare a produrre energia dall’atomo, e il lancio della Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile nei giorni scorsi ha segnato il passaggio dalla teoria alla pratica: il 21 settembre sono convocate imprese e istituzioni. Così Formiche.net ha raggiunto Stefano Monti, presidente dell’Associazione italiana nucleare, per tracciare la traiettoria delle prossime mosse.
A Cernobbio il ministro Matteo Salvini ha ipotizzato di arrivare a produrre energia dall’atomo in 10 anni, auspicando nella durata dell’esecutivo. È realistico?
Lo è nella misura in cui cominciamo appena possibile a mettere a posto, sviluppare e consolidare quelle che l’Agenzia internazionale per l’energia atomica di Vienna (Aiea) chiama le infrastrutture di base. Come Associazione italiana nucleare abbiamo presentato un position paper sulla materia, in occasione dell’evento in Parlamento dello scorso luglio, dove erano presenti i maggiori stakeholder nel campo del nucleare italiano e dove sono intervenuti i ministri Antonio Tajani e Gilberto Pichetto-Fratin. Il lancio della Piattaforma annunciata da quest’ultimo è in linea con quanto proposto da Ain: la costituzione di un “coordinatore/integratore di sistema” che riporti direttamente al decisore politico.
Ci può riassumere la proposta di Ain in relazione agli obiettivi della Piattaforma?
In primis, l’industria italiana è fortemente interessata a partecipare a progetti nucleari all’estero lungo l’intera catena del valore. Questo ci permetterebbe di rafforzare la nostra presa in qualsiasi settore, dall’estensione della vita dei reattori attuali, alla nuove realizzazioni di impianti della cosiddetta terza generazione, fino alle tecnologie di frontiera come gli small modular reactors raffreddati ad acqua, i micro-reattori e i reattori veloci raffreddati a piombo. Collaborando si crea interscambio, ricchezza per l’Italia con l’acquisizione di commesse all’estero, nuovi posti di lavoro altamente qualificati, fino alla possibilità di contratti di fornitura energetica con realtà estere per importare elettricità carbon free di origine nucleare, a prezzi stabili, sul lungo termine. Per tutto questo non serve certo aspettare dieci anni: l’industria italiana già opera da tempo ed è pronta a partecipare con successo alle commesse per reattori all’estero.
Cosa manca, dunque?
L’accompagnamento dello Stato (come peraltro avviene in tutti i Paesi che utilizzano il nucleare per produrre elettricità) per favorire le partecipazioni delle nostre aziende all’estero in maniera strategica. L’accordo siglato in primavera tra Ansaldo, Edison ed Edf sul “nuovo nucleare” in Europa dimostra che siamo già molto ben posizionati. Un altro esempio significativo è quello della start-up italiana Newcleo che ha stretto forti collaborazioni col sistema francese per un reattore di quarta generazione. Ora si tratta di individuare le misure necessarie all’industria italiana per renderla ancora più competitiva.
E sul versante nazionale?
Come ha indicato l’Ain al governo, prima di parlare di quali tecnologie si potrebbero scegliere per l’Italia servono le infrastrutture necessarie. Si tratta di infrastrutture sia materiali che immateriali, che vanno da un adeguato quadro legislativo e regolamentare alla catena di forniture, dal coinvolgimento di tutti gli stakeholder alle questioni di salvaguardia e non proliferazione, fino alle competenze necessarie per gestire il tutto in maniera armonica ed integrata. L’Aiea ne ha individuate diciannove. La prima è una chiara posizione nazionale, che si può consolidare solo dopo aver recepito le istanze degli stakeholder e dell’opinione pubblica, e dopo avere sviluppato un Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) che comprenda l’opzione nucleare e ne mostri, numeri alla mano, i vantaggi e l’impatto atteso. In particolare dovrà essere valutato e definito il ruolo del nucleare nel mix energetico italiano in termini di decarbonizzazione dell’intero sistema energetico, sicurezza dell’approvvigionamento, prezzi dell’energia stabili e competitivi.
Un percorso complesso.
È solo l’inizio. A quel punto ci vuole un quadro legislativo che permetta la realizzazione di impianti nucleari in Italia. Poi i regolamenti e le guide tecniche dell’autorità di sicurezza che fissino i criteri di sicurezza e radioprotezione per gli impianti di potenza. Da questo punto di vista è imprescindibile potenziare l’autorità di sicurezza (oggi Isin), che non essendosi occupata di autorizzazione di reattori per decenni, dovrà poter disporre delle strutture e delle risorse umane necessarie per farlo nei tempi dettati dalle esigenze del Paese. Probabilmente la nuova Isin dovrà anche avvalersi dell’aiuto delle grandi agenzie internazionali quali Aiea, Oecd-Nea, Euratom nonché di realtà estere equivalenti con grande esperienza operativa, naturalmente rimanendo nell’ambito della sfera geopolitica italiana.
Quello delle risorse umane è un tema che il ministro Pichetto Fratin ha voluto evidenziare, spiegando che la Piattaforma “sarà finalizzata anche a rafforzare il contributo dell’Italia nella ricerca e nell’alta formazione universitaria”.
Infatti l’infrastruttura principale sono le risorse umane: dobbiamo assicurarci di avere tutte quelle che servono per coprire l’intero spettro delle necessità. Dalla nuclear safety (prevenzione incidenti e mitigazione delle loro conseguenze, ndr) alla nuclear security (prevenzione e rilevamento di atti criminosi o intenzionali non autorizzati, ndr) passando per la gestione degli impianti dalla culla alla tomba, la salvaguardia ambientale, il rispetto dei trattati internazionali, eccetera. In sintesi, serve un’analisi approfondita che evidenzi lo stato attuale e tutte le possibili lacune delle nostre infrastrutture, per poi passare alle iniziative per colmarle. Su questo la Piattaforma e la futura cabina di regia potrebbero essere strumenti fondamentali.
Dove vede carenze?
Le nostre università sono ancora in grado di produrre ingegneri nucleari anche in numero significativo e di elevata qualità. Ma mancano, ad esempio, ingegneri non nucleari che sappiano operare in campo nucleare, fino a meccanici, saldatori, elettricisti… tutta una serie di figure professionali che devono essere in grado di operare nel settore. Capiamoci: a livello di dottorati l’Italia non ha nulla da invidiare all’estero, la ricerca è sempre rimasta attiva nonostante gli ultimi governi abbiano fornito risorse irrisorie, se non nulle. Né siamo a digiuno di competenze in campo di sicurezza nucleare. E anche nell’industria il livello qualitativo è molto alto, ma serve puntare anche sulla quantità se vogliamo una solida base accademica e industriale. In altre parole, serve passare da ricerca e sviluppo generica ad ampio spettro a ricerca e sviluppo applicata – e finalizzata ai bisogni dell’Italia.
Come valuta l’azione del governo attuale?
Finora il percorso dell’esecutivo è stato molto logico e coerente con quanto suggerito dall’Ain: la mozione parlamentare di maggio per avviare il dibattito, la giornata a Montecitorio dove gli stakeholder si sono espressi favorevolmente, e ora l’istituzione della Piattaforma. Per far crescere il sistema in maniera armonica serve che tutte le realtà nel settore si interfaccino: il governo ha capito che c’è bisogno di questo coordinamento. Dopodiché la Piattaforma dovrà generare una cabina di regia più snella e operativa per analizzare le infrastrutture e rispondere al decisore politico, suggerendo anche i finanziamenti necessari nelle varie aree. È tutto in linea con le indicazioni dell’Aiea, che negli ultimi anni hanno portato Paesi con esperienza pressoché nulla nel campo (come ad esempio gli Emirati Arabi Uniti) a costruire e operare le proprie centrali partendo da un’attenta valutazione delle infrastrutture e delle esigenze del Paese prima di decidere quale fosse la soluzione più consona.
Ecco: che genere di reattore risponde alle esigenze del nostro Paese?
La risposta andrà data quando avremo le basi infrastrutturali che rispettino i più alti livelli di safety, security e salvaguardia. Guardando l’esperienza di altri Paesi, l’orizzonte per arrivare a questo stadio può essere di quattro-cinque anni. A quel punto, quando una utility proporrà la costruzione di un impianto, solo allora verrà scelta la tecnologia più adatta ai bisogni e requisiti italiani, tra quelle già a disposizione e provate in Paesi di lunga tradizione nucleare. L’approccio deve essere flessibile e razionale: se siamo irragionevoli e spariamo troppo in alto, il rischio è di non riuscire a realizzare quello che gli altri Paesi fanno e hanno fatto tranquillamente nel giro di un decennio.