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Phisikk du role – Renzi e l’ossessione del Centro

Il Centro deve cercare il suo popolo, che è un nuovo popolo, non più fidelizzato ma disposto a votare ogni volta in base a programmi e a visioni della società in cui democrazia, liberalismo e socialità sappiano mescolarsi in modo convincente. Se non fosse stato banalizzato a furia di improprie citazioni, basterebbe il catalogo valoriale della Costituzione, che vide le culture centriste determinanti nella stesura della prima parte. La rubrica di Pino Pisicchio

Qua e là, anche per rompere l’andamento conformistico-vacanziero della cronaca politica ordinaria, è spuntato nell’arroventamento estivo qualche amarcord sulla fine della Dc.

Era il luglio del 1993, trent’anni e qualche era glaciale fa, una cifra tonda che calza perfetta a farcire il gusto anniversario dei giorni in cui è scarsa la notizia del presente. Un mondo difficile da raccontare ai contemporanei, che vide protagonista un intellettuale dall’aria svogliata e dall’eloquio manzoniano, Mino Martinazzoli, nell’immaginario dell’epoca una specie di marziano, costruito all’incontrario rispetto al modello di politico corrente. A partire dall’indolenza naturale rispetto alle scalate del potere. Per trent’anni si è assistito ad un ossessionante richiamo a quell’età dell’oro della Dc, ragionando su un’equazione basata sull’idea che quel popolo di centro che aveva sempre offerto al partito maggioritario un consenso non inferiore al 38%, si fosse preso solo una piccola vacanza per punire i cattivi, e, oggi fosse desideroso di riaccasarsi sotto i rassicuranti stemmi degli anni d’oro. E così per decenni abbiamo visto un rutilare di sigle, scudi e scudetti crociati appena usciti un po’ stinti dai tribunali, alzate d’ingegno di questo o di quel curatore fallimentare, annunci roboanti del grande comunicatore, tutti, ahimè, miseramente ignorati dal corpo elettorale, salvo le riserve garantite dalla buonanima di Silvio Berlusconi a qualche sodale minore accolto sotto la sua ala generosa.

La coazione a ripetere si presenta oggi sottoforma di un annuncio renziano: faccio io il Centro. Bene. Cerchiamo allora di capirci guardando ai perché nell’ultimo trentennio i mille tentativi di imitazione, come per la famosa enigmistica, non hanno avuto successo.

La prima ragione è che, con la caduta del Muro di Berlino, nel 1989, caddero anche i partiti ideologici. E la Dc non era solo pragmatismo ma aveva un solido impianto “ideologico”. E, pur non essendo solo “anticomunismo”, una parte importante del corpo elettorale la votava per questo. Finito il comunismo, finita quella spinta (che venne, comunque, raccolta , fuori tempo massimo, dall’inventore di Forza Italia).

Seconda ragione: la Dc nasce col proporzionale e si estingue con la fine del proporzionale. Per capirci: se nel 1994 l’erede della Dc, il Partito popolare di Martinazzoli, che raccolse in regime maggioritario quasi il 16% dei voti e alla Camera solo 33 seggi, fosse andato al voto col sistema elettorale proporzionale, di seggi ne avrebbe presi più di cento, modificando il verso della Storia. Il maggioritario creò anche una mentalità diversa nel corpo elettorale che cominciò a conoscere le liste bloccate e il leaderismo, insediati ormai da trent’anni nel nostro sistema politico.

Terza ragione: c’è un problema generazionale che rende incomprensibile a chi ha meno di 55-60 anni, il senso di un richiamo al Centro. Ora, è pur vero che l’invecchiamento della popolazione fa degli ultrasessantenni un segmento elettorale assai importante, ma forse un partito dovrebbe essere qualcosa di più che la raccolta delle generazioni un po’ age’.

L’ultima ragione è poi nella parola “partito”: il Centro per sua natura poggiava su leadership plurali, intercambiabili, elette su base democratica. Che non sono più alle viste.

Allora non c’è proprio niente da fare per dare una nuova cittadinanza a questo Centro polverizzato e ridimensionato in tutte le storie?

Certo che si può, a certe condizioni, però. Il Centro deve cercare il suo popolo, che è un nuovo popolo, non più fidelizzato ma disposto a votare ogni volta in base a programmi e a visioni della società in cui democrazia, liberalismo e socialità sappiano mescolarsi in modo convincente. Se non fosse stato banalizzato a furia di improprie citazioni, basterebbe il catalogo valoriale della Costituzione, che vide le culture centriste determinanti nella stesura della prima parte. E poi sarà necessario capire che la diaspora ammazza ogni velleità ricostruttiva: se sei già in partenza una piccola nebulosa fatta di pulviscolo stellare, e poi ti metti a spaccare quel poco, beh, non mi pare che si profili una grande strada. Ma questo è anche il peccato originale del Centro dopo la Dc. Guarire sarebbe la vera novità. Diversamente resterà la strada minore: due centrini nell’orbita dei pianeti Dextĕra e Sinistra. Non una gran cosa.

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