“Il grande banchetto. La geopolitica del cibo, il futuro dell’alimentazione” è un libro scritto da Antonio Picasso, direttore generale di Competere – Policies for sustainable development, e pubblicato da Paesi Edizioni. Un testo focalizzato su un tema di grande attualità come quello dell’alimentazione, osservato come un’emergenza geopolitica, economica e di sostenibilità. Ne pubblichiamo un’introduzione dello stesso autore
Il controllo mondiale delle materie prime è tornato a essere la causa di crisi internazionali e di conflitti aperti. Lo shortage di grano e di semi di girasole, provocato dalla guerra russo-ucraina, è un fenomeno di rilevanza strategica pari a quello della carenza di acciaio e ghisa, a seguito del bombardamento delle acciaierie di Mariupol lo scorso anno. Gli scontri a fuoco, le reciproche minacce politiche e le speculazioni finanziarie si stanno ritorcendo sulle economie che hanno maggiormente bisogno di commodity agricole. Lo si è visto con il Libano e l’Egitto, nel 2022, mentre oggi l’emergenza si sta diffondendo in quasi tutta l’Africa. Anche l’agrifood europeo, a sua volta, ne risente in termini di inflazione dei generi alimentari. Ma non è solo la guerra in corso a farci tornare a scrivere di emergenza alimentare.
Il Covid e le restrizioni dei rapporti commerciali hanno frustrato il sistema globale delle catene di approvvigionamento. Contestualmente, la corsa demografica, che lo scorso anno, ci ha portato a essere 8 miliardi di persone che popolano il pianeta, non sembra diminuire. Anzi, solo nel 2050, arriveremo a 10 miliardi.
Al mondo siamo sempre di più, quindi. E così consumiamo e produciamo rifiuti e scarti. Competere ha calcolato che, ogni giorno il pianeta deve produrre circa 20 trilioni di calorie per garantire alla popolazione mondiale una dieta sana ed equilibrata.
Ciononostante, desideriamo ridurre il nostro impatto sull’ambiente, sugli ecosistemi, sulle biodiversità.
Ma la domanda di prodotti agricoli impatta sull’ambiente tanto quanto altre filiere produttive. Mossa da un’indiscutibile e condivisibile buona volontà, l’Europa – con le sue politiche di sostenibilità – ha innescato una spirale virtuosa finalizzata a trovare un nuovo equilibrio tra uomo e ambiente. Tuttavia, le sue ambizioni rischiano di farci accelerare troppo rispetto ai nostri partner fornitori di commodity. Siamo pur sempre un’industria di trasformazione. Grano, olio di palma, zucchero o caffè sono fonti energetiche indispensabili quanto petrolio, gas e acciaio. Anziché lasciarci influenzare dai sentimenti di piazza, affrontando il problema con un approccio ideologico, dobbiamo fare della sostenibilità̀ un fattore di libera concorrenza, in cui gli investimenti stanziati dall’Europa per l’innovazione tecnologica delle nostre imprese permettano anche la crescita dei mercati più deboli. Al contrario, politiche protezionistiche e sovranismi sono barriere allo sviluppo, alimentano le diseguaglianze e generano nuovi conflitti.
Viviamo nella paradossale situazione per cui le società più avanzate sono caratterizzate da una maggiore esposizione a patologie legate alla cattiva alimentazione. Al contrario, quelle più in difficoltà sono vessate, oltre che dalla fame, dal consumo di alimenti di scarsa qualità. Il paradigma è in pratica: sei ricco quindi mangi junk food, sei povero allora ti nutri di quello che capita. Il tutto connotato da un alto livello di spreco di cibo. Questo porta un aumento delle patologie legate alla cattiva alimentazione. Uno studio pubblicato dalla rivista scientifica “Lancet” nel 2020, spiegava che l’aumento del tasso di obesità inciderà a tal punto sulla salute delle persone da ridurre le aspettative di vita fino a 2,9 anni nei Paesi ad alto reddito. È un’inversione di tendenza senza precedenti nella storia.
Tuttavia, come anche per altri settori, le innovazioni tecnologiche sono un potenziale volano di trasformazione al meglio. Il mondo del food sta cambiando a grande velocità: dalle app per le diete personalizzate al cibo coltivato in laboratorio, che può farci storcere il naso senza però censurare il diritto della scienza di proseguire nel suo compito di ricerca e sviluppo. Le società e le singole persone hanno la possibilità di acquisire l’adeguata consapevolezza di quello che si mangia. Non è solo una questione di informazione o di educazione, ma di vera e propria cultura alimentare, per prevenire e contrastare patologie e sprechi, quanto – al tempo stesso – rendere il cibo più sostenibile.